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 2024  agosto 28 Mercoledì calendario

Complottismi su Pavel Durov: e se si fosse consegnato ai francesi apposta per sfuggire a Putin?

Una cella della polizia francese è il posto giusto per sfuggire al castigo di Vladimir Putin? Forse se lo è chiesto Pavel Durov, fondatore della messaggeria Telegram, in stato di fermo provvisorio a Parigi da sabato. Di sicuro se lo stanno chiedendo molti suoi utenti e sostenitori. Da quando è scattata la sua custodia giudiziaria all’aeroporto di Le Bourget, fiorisce questa dietrologia: Durov avrebbe scelto di farsi arrestare in Francia per non fare la fine di Aleksei Navalny, il dissidente russo morto in carcere. Si affianca a un’altra teoria del complotto, cavalcata da Elon Musk (fra l’altro padrone di X, ex Twitter): Durov sarebbe invece una vittima dell’establishment occidentale progressista deciso a soffocare la libertà di espressione.
Ad alimentare i retroscena c’è l’enorme ambiguità del personaggio e della sua piattaforma digitale. È un piccolo Musk o Zuckerberg russo, con un patrimonio stimato a nove miliardi di dollari, e un vero talento tecnologico. La sua prima messaggeria, VKontakte, divenne dominante in Russia e presto finì nel mirino delle autorità. Come lui stesso, colpevole fra le altre cose di aver investito un poliziotto a San Pietroburgo. Tant’è che lasciò il suo paese natale per trasferirsi a Dubai. Attualmente ha tre nazionalità, russa, emiratina e francese. Secondo una ricostruzione del New York Times si sposta di continuo con una squadra di tecnologi fedelissimi. Barcellona, Bali, Berlino, Helsinki e San Francisco le sue ultime tappe. A giugno annunciò che «a Dubai comincia a fare caldo, i miei amici si spostano nel Sud della Francia, è la migliore destinazione per le vacanze». O per qualcos’altro.
La giustizia francese ha aperto un’inchiesta preliminare dove si elencano diversi possibili reati commessi su Telegram, inclusa la pornografia infantile, traffico di droga, riciclaggio di denaro sporco, terrorismo. Non commessi da lui, però. Sembra che l’accusa al fondatore e proprietario sia quella di aver consentito che le attività criminali si svolgessero sulla sua piattaforma. È l’aspetto che ha scatenato l’ira di Musk, convinto che le autorità usino due pesi e due misure, mostrandosi più indulgenti verso i social media «progressisti» come Facebook, Instagram, la galassia Alphabet Google, mentre criminalizzano Telegram per i contenuti che vi transitano.
L’ambiguità di Telegram però va ben oltre l’assenza di una censura. Ha una dimensione geopolitica. Ha 900 milioni di utenti; è popolarissima in grandi democrazie come l’India e in regimi autoritari tra cui l’Iran. In particolare, è rimasta la piattaforma favorita sia in Russia che in Ucraina. Dopo che Putin ha lanciato l’invasione, Telegram si è conquistata un ruolo inedito: è su questa messaggeria che transitano gran parte delle informazioni sui combattimenti. Da una parte e dall’altra del fronte. La popolazione russa ha notizie sull’andamento della guerra attraverso Telegram, mentre i social media occidentali sono vietati. Perfino i soldati russi la usano tra loro, a volte perfino per informazioni operative. Mentre sul fronte ucraino sembra che Telegram comunichi le allerte per bombardamenti più velocemente della app governativa. 
Se qualcuno riesce a controllare e manipolare Telegram, probabilmente non è a senso unico. Su questa piattaforma compaiono voci di dissenso nei confronti di Putin, a fianco alla propaganda nazionalista e alle fonti legate ai servizi segreti. Nell’estate scorsa l’allora capo della Divisione Wagner, Yevgeny Prigozhin, usò Telegram per annunciare la sua ribellione e diffonderne la cronaca quando si diresse verso Mosca. L’ambiguità di Telegram – favorita dal fatto che ospita chat di gruppo fino a duecentomila utenti – può essere stata utile a Putin, e può essergli diventata improvvisamente sgradita per qualche ragione che non conosciamo? Il New York Times attira l’attenzione su un’improvviso allarme dell’agenzia d’intelligence russa Baza che ha invitato a «non usare Telegram per comunicare informazioni sensibili». Emblematica questa uscita di Dmitri Medvedev, ex presidente e oggi megafono di Putin: «Durov voleva essere un brillante uomo cosmopolita e senza patria, ma ha sbagliato i suoi calcoli. Sarà sempre un russo, pertanto imprevedibile e pericoloso».
Dopo queste parole forse una cella della polizia francese è un luogo rassicurante.