Corriere della Sera, 28 agosto 2024
I paesi neutrali fanno affari vendendo TNT all’Ucraina
Poiché il denaro non ha odore né bandiere, sui mercati mondiali esiste un prezzo per tutto. Eppure per le democrazie occidentali la scarsità di esplosivo è arrivata a un punto tale che Kiev sta comprando – in segreto – munizioni prodotte poco dopo la Seconda guerra mondiale da Paesi oggi neutrali fra Russia e Ucraina. Non dai suoi alleati. Quei governi neutrali, per non compromettere i rapporti con Mosca, non vogliono che si sappia. Ma Kiev dei proiettili ha bisogno per riequilibrare il confronto di artiglieria nel Donbass, dove i suoi uomini spesso riescono a tirare un solo colpo ogni quattro o cinque dei nemici.
Quelle munizioni di 70 anni fa, rilevate per pochi dollari, non entreranno mai nei cannoni ucraini. Piuttosto verranno smontate e svuotate: il ministero delle Industrie strategiche di Kiev ha inventato un’economia circolare delle armi pur di procurarsi il trinitrotoluene, meglio noto come tritolo o Tnt: il cuore dei missili, dei proiettili e di parte dei droni che il conflitto sta consumando a milioni di pezzi.
Il Tnt oggi è l’ingrediente più ricercato dai Paesi democratici. Per loro è così introvabile che la sua stessa scarsità ne fa impennare il prezzo: da quando Vladimir Putin ha ordinato l’invasione totale dell’Ucraina, la spesa per fabbricare un proiettile da 155 millimetri è raddoppiata da 2.000-3.000 dollari a pezzo a una media di 5.000 dollari, con punte da 8.000.
Gli ucraini lo sanno bene, perché dal 2022 hanno creato quasi dal nulla un’industria bellica sorprendente. Nei giorni scorsi, dei missili-droni hanno colpito prima Murmansk a 1.700 chilometri dalla frontiera, quindi Omsk a 3.000 chilometri. La condizione però è disporre dei materiali necessari. «Stiamo producendo armi per sei miliardi di dollari l’anno – ha detto di recente al Corriere il ministro per le Industrie strategiche, Oleksandr Kamyshin – ma se ci fossero forniture sufficienti avremmo una capacità tre volte superiore».
Ciò che manca, in gran parte, è proprio il Tnt. Un solo proiettile di artiglieria da 155 millimetri ha bisogno di una decina di chili di tritolo e gli ucraini hanno bisogno di spararne migliaia tutti i giorni. Ma benché questo esplosivo sia la base di qualunque industria bellica, i Paesi Nato hanno smesso quasi completamente di produrlo. Da decenni. La fabbricazione di Tnt era e resta profondamente impopolare nelle democrazie, per la sua tossicità e i rischi ambientali. L’ingrediente di base del tritolo, in particolare, è la nitrocellulosa (il cosiddetto «fulmicotone»), una sostanza che implica dei processi chimici molto nocivi per l’ambiente e anche per i lavoratori, in caso di contaminazione. Per questo i principali Paesi democratici hanno chiuso i loro stabilimenti di Tnt fin da prima della fine della Guerra fredda, contando di poterne importare dall’estero. Da allora la produzione si concentra in Russia o nei Paesi del Sud del mondo schierati con Mosca in questo conflitto o, al più, neutrali: Cina, India, Turchia.
L’unico grande stabilimento di Tnt rimasto nei Paesi Nato è in Polonia e ha una storia complessa: nato in epoca staliniana in una località chiamata Bydgoszcz, da quel che restava di una fabbrica di polvere da sparo utilizzata in tempo di guerra dai nazisti per alimentare l’invasione dell’Ucraina e della Russia. Oggi l’impianto, controllato dal governo di Varsavia, lavora a pieno regime: ma produce quantità di Tnt appena sufficienti per sostenere quattro o cinque mesi di combattimenti in Ucraina, senza contare la domanda di tritolo da parte di tutti i Paesi occidentali. Gli Stati Uniti hanno cessato la loro produzione nel 1986, la Germania ha chiuso la sua ultima fabbrica a Schönebeck (in Sassonia-Anhalt) nel ‘90, la Gran Bretagna ha abbassato le saracinesche sulla sua ultima fabbrica nel Somerset nel 2008.
L’illusione dell’Occidente era la stessa che ha portato le democrazie a trovarsi senza mascherine né farmaci di base all’inizio della pandemia: tutto poteva essere delocalizzato in Paesi lontani, tutto poteva essere strutturato in catene di fornitura lunghe, fragili e a basso costo finanziario o ambientale. O così si credeva, almeno. Secondo Reuters, nel 2021 l’esercito americano ha persino iniziato a importare Tnt proprio da un impianto in Ucraina: si trovava a Rubizhne, nel cuore del Lugansk travolto dall’avanzata russa nel marzo del 2022; l’esercito di Kiev in ritirata ha appena avuto il tempo di distruggere la fabbrica e ora l’America ha un fornitore in meno.
Di recente, certo, gli alleati stanno correndo ai ripari. Il gruppo Leonardo ha una propria piccola produzione in Italia, della Oto Melara. La tedesca Rheinmetall ha concluso contratti con produttori africani. A Kiev il ministro Kamyshin, incaricato di rilanciare la produzione militare, nota: «Certo, l’Ucraina continuerà a dipendere dalle forniture occidentali. Ma l’esperienza che stiamo facendo con la Russia servirà a tutti».