Corriere della Sera, 28 agosto 2024
Consigli non richiesti a Giorgia Meloni, da parte di Galli della Loggia
Non sappiamo che fine farà la proposta dello ius scholae volta a concedere la cittadinanza italiana a tutti i giovani immigrati che hanno compiuto un ciclo scolastico in Italia. La proposta, come si sa, è stata avanzata dall’opposizione e, ben accolta da Forza Italia, è invece vivamente osteggiata solo dalla Lega, mentre FdI appare chiusa finora in un enigmatico silenzio. Qualcuno nella maggioranza, nel solito tentativo di rinviare le questioni che minacciano di dividerla, ha sostenuto che non si tratta di una questione urgente. Mi pare un’affermazione alquanto sorprendente. Infatti, insieme al debito pubblico astronomico e all’evasione fiscale massiccia, la denatalità indomabile – e quindi l’assoluta necessità di garantire all’Italia un’accettabile patrimonio demografico – è una delle tre questioni vitali da cui dipende il nostro avvenire. E non sarebbe una questione del genere una questione urgente? Certo non lo è se, come disse una volta De Gasperi, chi governa non ragiona da statista pensando cioè al futuro del Paese bensì pensando alle prossime elezioni. Proprio in un’ottica capace di guardare lontano credo che dal punto di vista di Giorgia Meloni la proposta dello ius scholae, lungi dall’essere vissuta come un inciampo pericoloso per il governo, dovrebbe essere considerata, viceversa, come un’occasione importante. Davvero nessuno potrà mai accusarla di aver avuto una politica compiacente verso il fenomeno migratorio, di non aver fatto di tutto – in gran parte riuscendoci – per limitarne la portata.
Chi più di lei, dunque, ha le carte in regola per avviare a soluzione senza timori, – almeno iniziare a farlo! –, anche l’altro aspetto cruciale della questione, e cioè la regolarizzazione del gran numero di immigrati presenti nella nostra Penisola? Sì, di sicuro Salvini minaccerebbe sfracelli. Ma al di là delle dichiarazioni di fuoco in realtà quali armi egli ha in mano? Per il leader della Lega una crisi di governo rischierebbe di essere solo il bis del Papeete: una mossa suicida il cui unico effetto sarebbe quello di schiacciarlo sul generale Vannacci. Non da ultimo una mossa suicida rispetto a Zaia e Fedriga, i due convitati di pietra presenti nella stessa Lega, che con ogni probabilità aspettano solo un suo passo falso per trarne tutte le conseguenze.
Il caso dello ius scholae è emblematico del problema che Giorgia Meloni ha fin dall’inizio del suo governo: quello dei rapporti tra i partiti della maggioranza, in particolare del rapporto con la Lega. Ma non già con la Lega in generale, direi, bensì con la Lega di Salvini. In mille occasioni, a cominciare dalla politica estera, questa si è dimostrata incompatibile con il disegno nazional-liberale, sia pure di orientamento conservatore, che non può non essere quello del governo dell’attuale presidente del Consiglio. Un disegno che tuttavia per precisarsi e consolidarsi, per dare vita a una soluzione finalmente stabile, sistemica, della crisi politica italiana, deve necessariamente trovare modo di allargarsi al centro. Condizione assolutamente necessaria, tra l’altro per procedere alla cooptazione nella classe dirigente meloniana di personalità di provenienza diversa da quella della leader.
Ora tale allargamento, però, mentre può avere come attori la coppia Fratelli d’Italia/Forza Italia – possibili protagonisti, si può ben immaginare, di una sorta di reincarnazione italiana della coppia tedesca Cdu/Csu – tale allargamento, dicevo, si mostra invece difficilmente agibile per una formazione come la Lega attuale. Una Lega che Salvini tende di continuo a spostare su posizioni radicali di populismo sciovinista proprio al fine – anche, se non solamente – di inchiodare FdI in un immobilismo strategico che alla lunga minaccia di trasformarsi pure in una paralisi programmatica.
In realtà lo straordinario risultato elettorale di due anni fa – un’inedita vittoria della destra di ascendenza anticostituzionale fino allora ai margini del sistema – affidò a Giorgia Meloni la guida di un governo con una vasta maggioranza sì, ma attraversata al suo interno da potenziali, forti tensioni competitive. Le quali con il tempo stanno infatti emergendo: con i partner minori alla ricerca di nuovi spazi e quello maggiore sempre più impacciato dalla sua identità precedente ma incapace di trovarne una nuova. Di conseguenza quel risultato elettorale assolutamente inedito assegnò al presidente del Consiglio il compito di guidare la coalizione di maggioranza ma insieme, implicitamente, anche un compito ben più difficile: il compito di gestire il complesso processo di trasformazione di tale maggioranza. Sempre che, naturalmente, la vittoria di due anni fa non debba rimanere un episodio isolato(e destinato a finire nel nulla) ma segnare l’inizio di un assetto davvero nuovo del nostro sistema politico per la presenza di identità politico-partitiche anch’esse davvero nuove.
Molti indizi fanno pensare che però Giorgia Meloni stenti ancora oggi a rendersi conto di tutto ciò. Stenti a convincersi che questo è il compito a suo modo storico che le sta davanti: contribuire alla rifondazione del sistema politico italiano attraverso una ridefinizione degli attori di quel sistema che gravitano a destra. E quindi, almeno in questo senso, contribuire alla rifondazione della Repubblica. L’intelligenza e il coraggio per provarci non le mancano; le occorre forse credere di più in se stessa e in una propria leadership rinnovata con maggiore visione, maggiore energia, maggiore autorevolezza.