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 2024  agosto 25 Domenica calendario

Biografia di Dj. Ringo

Sembra sempre un ragazzino, Dj Ringo. Jeans, sneakers e capelli tinti di biondo, il milanese Rocco Anaclerio questo il suo vero nome – ha 63 anni e ne dimostra venti di meno, ma il tempo – che fin qui l’ha trattato benino – passa anche per lui. «Ormai ho capito che è inutile fare programmi, conta solo la salute. Vado avanti a vista, non so mai quello che può succedere. Come nel deserto, quando con la moto uno va avanti per ore nella sabbia, poi all’improvviso trova la roccia e va giù. Quattro anni fa è morto mio fratello Dino, pochi giorni fa un caro amico e collega come Massimo Cotto (dj, scrittore e firma anche del Messaggero, ndr)».
Direttore e voce storica di Virgin Radio, Ringo a settembre tornerà davanti al microfono con il suo programma Revolver e in tv con Drive Up, format sul mondo dei motori – è un motociclista incallito – che dal 2018 conduce con Alessia Ventura su Italia 1. Ex parrucchiere, ex batterista, ex parà, ex proprietario della popolarissima discoteca Hollywood di Milano, e anche ex di Elenoire Casalegno, madre di sua figlia Swami ("anima” in swahili), 24 anni, Ringo resta un irriducibile.
Come ha iniziato?
«A 13 anni entrai in una cover band dei Beatles: mancava il batterista e iniziai a scimmiottare Ringo. Da allora mi chiamano tutti così. Poi arrivò il punk...».
E quindi?
«Nel 1978 andai a Londra: avevo 17 anni. Io e altri ragazzi occupammo un palazzo a Kilburn. Prendevo anche il sussidio di disoccupazione, che spendevo in dischi. Mia madre pensava studiassi l’inglese: in realtà avevo mollato dopo la terza media. Rientrato a Milano, in stazione la polizia mi fermò subito. Uno con la cresta blu non s’era mai visto. Volevano sapere dov’era la droga».
Dov’era?
«Chi mi conosce lo sa: non ho mai bevuto né mi sono drogato».
A Milano che si mise a fare?
«Prima lavorai come parrucchiere nel mitico Hair for Heroes, specializzato in acconciature punk. E poi il dj in una piccola radio. Dopo poco partii per fare il militare: mi arruolai a Pisa nella Folgore».
All’epoca i parà erano considerati estremisti di destra.
«Non sono mai stato di sinistra, ma neanche fascista. Il mio credo è sempre stato il rock».
Però è vero che partecipò alla famigerata Marcia su Pisa dell’81, quando un reparto di parà mise a ferro e fuoco la città?
«Sì, ma solo perché due commilitoni erano stati pestati brutalmente in un bar. A uno amputarono addirittura i testicoli. Comunque fui scoperto, punito, e trasferito al reparto rifornimenti di Livorno, che operava a Beirut. Un giorno, dopo un lancio a Cecina, mi spezzai una gamba. E così, dopo più di due anni di servizio, lasciai i parà. Da allora mi sono rotto otto volte le gambe, otto le costole, tre le clavicole, due il polso e una il bacino e la mascella. Sempre andando in moto, però».
E stavolta cosa fece?
«Un ex sergente, trasferito a Los Angeles, mi disse di andarlo a trovare. Io mi portai la borsa con i dischi, il mio tesoro di remix londinesi. In un mese, con la serata British Invasion che facevo alla discoteca Bordello, conquistai la città. Venivano a ballare Prince, Billy Idol e David Bowie. Stavo da Dio, fino a quando, dopo cinque anni, non feci una gran cazzata».
Quale?
«Entrai nel letto sbagliato. Andai con l’amica di una mia ex. Lei però, ubriaca fradicia, confessò tutto al suo uomo: un boss locale. Alcuni amici italiani mi dissero di sparire subito: il tipo voleva spararmi. Tornato a Milano, aprii il Syntesis e poi l’Hollywood, che prima si chiamava Mandala e non faceva una lira. Con me e i miei due soci diventò il migliore locale d’Italia. Era il 1986, c’era la “Milano da bere”. Giravano tanti soldi e tutti volevano divertirsi».
Ne avrà viste di tutti i colori.
«Serate indimenticabili con Pink Floyd e U2, ma anche Elio Fiorucci, Keith Haring, Andy Warhol, Franco Battiato, Loredana Bertè e Rettore. Nell’87 Prince festeggiò gli anni con David Bowie, Mick Jagger, Keith Richards, Gianni Versace, Elton John e tante top model. Cindy Crawford mi chiese di mettere un pezzo di Madonna, Lucky Star. Io le dissi subito che non era il mio genere, ma se mi avesse dato un vero bacio... Me lo diede. Si girò tutta la discoteca».
È vero che ebbe una storia con Charlize Theron? E Geena Davis, Dita Von Teese...
«Sì. Una storiella. Ma le dissi che non ne avrei mai parlato. Geena l’ho solo frequentata, mentre per Dita non ci fu nulla da fare».
Bruce Willis era un habitué dell’Hollywood, giusto??
«Se passava per Milano, veniva sempre. Una volta, alle cinque del mattino, non voleva andare in hotel e dopo la chiusura lo portai al bar dell’ospedale Fatebenefratelli. Gli infermieri e i poliziotti ci guardavano strani. La barista, pugliese simpaticissima, lo riconobbe e si mise a urlare: “Bruuuuuuce, oddio mi sento male...”. La sera dopo, invece, Bruce andò via con Aida Yespica».
Di notte se l’è mai vista brutta?
«Una sera uno mi tirò giù dalla console per puntarmi una pistola alla testa: diceva che avevo guardato male la sua donna. Era strafatto di coca. Ne girava tanta».
Quando ha smesso?
«Mollai tutto nel 2006 per mezzo milione di euro. La musica e la gente non erano più le stesse».
Negli Anni ’80 e ’90, è vero che guadagnava fino a 40 milioni di lire a settimana?
«Sì, ma ho speso tutto in moto, macchine e donne. Mi sono divertito come un pazzo, va bene così».
È vero che ha qualche problemino con l’Agenzia delle entrate?
«Il commercialista ha fatto il furbo, ma ho rateizzato e ora pago».
Nel 2007, durante l’inchiesta Vallettopoli, il pm Woodcock la convocò a Potenza: perché?
«Voleva sapere se ero stato ricattato da Corona: a casa sua aveva trovato mie foto con una star così bella che quando l’ho raccontato ai miei amici che eravamo stati insieme, non ci credevano. Comunque non ero stato ricattato, ma quanto avrei voluto che uscissero quelle foto...».
Chi era?
«Non posso, dai... Una top italiana».
Va sempre in moto?
«Certo. La passione è troppo forte. Alla Bicocca, il mio quartiere, scommettevo con gli amici a chi andava più veloce. All’epoca lì giravano Turatello e Vallanzasca, e mio padre, per tenermi fuori dai casini, mi mandò a fare atletica».
Nei guai non c’è mai finito?
«Per fare l’alternativo avevo dipinto di rosa il mio Ciao. Un giorno lo prestai a un amico, Sabino, che andò a fare una rapina. I carabinieri vennero a prendermi a casa dopo un paio di ore. Per fortuna l’amico confessò, e si fece due anni a San Vittore».
È amico di Rocco Siffredi: conferma che tempo fa le propose di fare la versione hard di “Rocco e i suoi fratelli”?
«Sì, ma ho una figlia e una donna che amo (l’ex pallavolista Rachele Sangiuliano, ndr), non potevo. Certo, da giovane l’avrei fatto...».
È amico di Pier Silvio Berlusconi, editore di Virgin Radio e Italia 1: come vi siete conosciuti?
«All’Hollywood, dove veniva a ballare. Mi presentò anche suo padre. Un giorno, mentre ad Arcore giocavamo a calcetto con le guardie del corpo, Silvio ci fermò e ci mostrò una bandiera: “Vi piace?”. Io dissi una cazzata: “È quella del Portogallo?”. Mi guardò come un marziano: “Ringo, è quella del mio partito, Forza Italia"».
È vera la storia di Bossi morso dal bastardino?
«Certo. Ad Arcore il Senatùr veniva spesso. All’improvviso, mentre facevamo una partita, il piccolo Teo, l’unico sopravvissuto di tutti i cani della villa ammazzati con le polpette avvelenate, lo azzannò al polpaccio. Gli fece due buchi così, perse tanto sangue».
Ha vissuto cinque anni negli Usa: potendo votare chi sceglierebbe fra Trump e Harris?
«Non lo so. Ma sono appena stato in California: lì tutti parlano male di Trump, però poi dicono che con lui giravano più soldi».