Il Messaggero, 27 agosto 2024
Il calcio romano e l’età dell’oro grazie a Sven Goran Eriksson
Lo ricordano e lo piangono in tutto il mondo, perché Svennis ha allenato in quattro continenti, per 40 anni, dal Goteborg nel 1979 a un Kirghizistan-Filippine 3-1 nel 2019, sua ultima gara in panchina. Giramondo e precursore, sempre in anticipo sui tempi, da quando a soli 34 anni vinse la Coppa Uefa 1982 col Goteborg dei futuri “italiani” Stromberg, Hysen e Corneliusson: all’epoca non c’erano allenatori così giovani, lui aprì una strada. Fu grande al Benfica in due riprese, mentre il suo capolavoro lo compì a Roma. Eriksson a buon diritto incarna l’età dell’oro del calcio romano, un’Arcadia che solo il destino, o i misteri insondabili di quel Roma-Lecce 2-3 del 20 aprile 1986, non resero possibile già alla sua prima esperienza nella Capitale, dove nel 1984 l’aveva chiamato Dino Viola con formidabile intuizione. Svennis seppe gestire il dopo-Falcao (il Divino, già con un piede fuori dall’uscio, gli suggerì per la Roma un talento di nome Roberto Mancini, ma la Samp non lo mollò), e con molta fatica riuscì a imporre le sue idee di calcio moderno e aggressivo, imperniato sul pressing che poi Sacchi avrebbe elevato ad arte; i suoi sembravano deliri di un giovane invasato (all’epoca “giocare a zona” era una stravaganza eversiva, l’avevano concessa solo a Liedholm), ma arrivò a tanto così dallo scudetto. Intanto però il seme era gettato. Riannodò i fili con la Capitale arrivando alla Lazio nel 1997 per gestire un altro difficile passaggio, il dopo-Zeman e il dopo-Signori. Si portò dietro i gioielli conosciuti alla Samp, prima Mancini poi Mihajlovic e Veron, all’inizio fu contestato («Giù le mani da Signori» e piovevano pietre), e finì che fu l’artefice del più grande ciclo di vittorie nella storia del club, imperniate sullo scudetto del 2000. Quella cavalcata fu anche il detonatore della grande Roma di Sensi e Capello, che profuse il suo massimo sforzo fino allo scudetto del 2001. E non c’è mai stato, né prima né dopo, un periodo più felice del calcio romano. Ormai circonfuso di leggenda, Eriksson fu anche il primo ct non inglese dell’Inghilterra, allenò in tre Mondiali, dispensò per tutta la vita sapienza e sorrisi, fino in Cina, in Messico, in Thailandia, in Costa d’Avorio. Il mondo del calcio non lo dimenticherà mai, e Roma più degli altri: è stato l’allenatore più vincente nella storia dell’Urbe. Ergo, meriterà un ricordo adeguato, e indelebile