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 2024  agosto 27 Martedì calendario

Ludovico Einaudi suona in piazza a Torino

La sera del 7 settembre Ludovico Einaudi sarà a Torino, in piazza San Carlo, per un concerto open air del festival MiTo. Ma può darsi che, contemporaneamente o quasi, a molte migliaia di chilometri di distanza, proprio il 7 settembre gli assegnino un premio: l’equivalente dell’Oscar messicano, per le musiche del film A cielo abierto. «I registi – dice alla Stampa – sono i figli di Guillermo Arriaga, lo sceneggiatore dei film di Inárritu, Babel, Amores perros e 21 grammi. Mariana e Santiago hanno ritrovato uno script che il padre aveva scritto quando aveva trent’anni e gli hanno dato un compimento. Ho la nomination, il premio lo consegnano proprio quella sera, peccato non esserci, ma Piazza San Carlo è troppo importante».Ed è un po’ come tornare a casa. Che memorie ha di questo luogo magico torinese?«La prima Comunione proprio lì dietro, nella chiesa di San Filippo Neri. Vestito da marinaretto. E poi il ricordo di mio padre Giulio, che andando al lavoro, in via Umberto Biancamano, scendeva sempre dall’auto in piazza San Carlo per fare l’ultimo tratto a piedi. Tanti flash di gioventù, tante occasioni familiari».È la prima volta che tiene un concerto lì?«Molti anni fa, quando ero assistente di Luciano Berio, ci fu un progetto che coinvolgeva delle bande musicali: ricordo la piazza piena e una gran bella atmosfera. Con un mio concerto è la prima volta. Ma a Torino suono regolarmente: al Lingotto, al Teatro Regio, a Venaria».Il concerto s’intitola In a Time Lapse (Reimagined) – In uno scarto del tempo (reimmaginato) – e riprende un suo album molto famoso.«Di esattamente dieci anni fa: un progetto basato sulla valorizzazione della natura, che mi fu ispirato dalla lettura del Walden di Thoreau e di Nelle foreste siberiane di Sylvain Tesson».E che cosa intende con quel “reimmaginato”?«Che l’ho ripreso in mano, dopo tanto tempo, e l’ho riletto alla luce dei tanti elementi che sono cambiati, dentro e fuori di me, e con un organico diverso, estendendo questa visione nuova a un gruppo che comprende percussioni, archi ed elettronica. Divido il palco con Federico Mecozzi, Redi Hasa, Rocco Nigro, Alberto Fabris, Sebastiano De Gennaro, Gianluca Mancini, Francesco Arcuri. I brani sono perfettamente riconoscibili, ma non mi piace rimanere fermo e uguale a me stesso, neanche quando suono il piano da solo: ogni volta è diverso. Un’evoluzione è necessaria, la musica deve restare viva e scorrere come il sangue e qui la vita è quella di dieci anni dopo».Intanto il mondo è cambiato in maniera totalmente imprevedibile.«Già, la pandemia, le guerre. E tutto, per assurdo, ha ricominciato a correre. Ricorda le riflessioni che si facevano durante il lockdown? Cambieremo passo, saremo migliori. Ho un ricordo molto nitido del primo concerto dopo l’isolamento, nell’auditorium di Monforte vicino a Dogliani, davanti a un migliaio di persone con una gran voglia di musica, nell’estate del 2021: fu l’inizio di un tour italiano bellissimo, una serie di piccole Woodstock su palchi allestiti nelle campagne, senza dare disturbo alla natura, anzi abbracciandola».E invece, diceva, il mondo ha ricominciato a correre.«E sta scoppiando di nuovo, la gente viaggia vorticosamente, ingolfa le città senza pensare che il pianeta è in pericolo, viviamo tra l’aggressività e la violenza, chi avrebbe mai pensato a una guerra nei confini europei? Per la mia generazione, nata e vissuta in tempo di pace, una minaccia inimmaginabile».L’intelligenza artificiale la spaventa?«Credo che sia una medaglia a due facce, potrà diventare una specie di grande personal assistant per risolvere una quantità di faccende pratiche ma metterà a rischio molte figure professionali».E non la inquieta la possibilità di un proliferare di suoi cloni musicali?«Un po’ sì, ma ho anche fiducia che la creatività umana resti imbattibile e insostituibile».Dal punto di vista personale, cos’ha imparato in questi anni? Si sente cambiato, maturato?«Cerco di stare con i piedi per terra, di non strafare».Nonostante il successo planetario, i record nelle classifiche di streaming, i concerti nei teatri più famosi?«La mia di base resta una vita sobria. Anche nel lavoro: mi prendo il tempo necessario alla lentezza del pensare, non mi carico di impegni che non mi permettono di fare le cose come piace a me. Oltre al lavoro mi piace fare cose molto basilari: dalla spesa a cucinare, camminare, coltivo la mia passione per la fotografia. Mi godo le cose più semplici della vita, la famiglia e gli amici. E cerco di frequentare persone che mettono nel proprio lavoro la stessa cura che metto io nel mio: i pomodori che mi porta un mio amico contadino sono come la mia musica. Che è sempre la mia speranza, la mia ancora di salvezza».Che cosa significa il passaggio del tempo?«Si arriva a una visione più lucida. Si capisce di più, e meglio. Anche se temo che, quando raggiungi una consapevolezza completa, vuol dire che non ci sei più. E questo è il destino di tutti. Ma intanto, insomma: mi sento ben lontano dalla perfezione».E intanto…«E intanto si procede, si coltivano molti progetti. Negli ultimi tempi ne ho messo a punto uno nuovo che mi ha molto impegnato e appassionato e di cui saprete tutto fra qualche mese: da novembre lo presenterò prima nelle capitali europee e poi in tutto il mondo. Per ora sono in vacanza in Grecia e tra poco ricomincerò con il tour. Dopo Torino mi aspettano a Istanbul e Atene».Che musica ascolta?«In questa vacanza poca, per staccare completamente. Però recentemente mi sono incuriosito al fenomeno di Taylor Swift: penso che la sua grande forza sia la sua genuinità che traspare in modo molto immediato nei suoi testi. Dalle immagini che ho visto i suoi concerti sembrano fantastici: se mi capiterà andrò a vederla».Le serate di musica che le hanno cambiato la vita?«Due, diversissime ma altrettanto emozionanti. Leonard Bernstein alla Scala, verso la fine della carriera: Stravinskij, Sagra della primavera e Sinfonia di salmi. E Prince, Sign of the Times. Indimenticabile». —