La Stampa, 27 agosto 2024
I talebani vietano alle donne di cantare e recitare
Donne silenziate per legge. Non più solo velate, quindi senza corpo. Ma ora anche senza voce. Mute, come oggetti. Nel nuovo giro di vite del governo teocratico tornato al potere in Afghanistan c’è una infornata di nuove leggi liberticide che colpiscono in particolare le donne. Secondo quanto rivelato dall’agenzia Associated Press – che ha letto un corposo documento di “Leggi sui Vizi e le Virtù” emanato dal regime islamista – la vita nel paese diventa sempre più simile a una distopia orwelliana. In particolare i taleban si accaniscono contro il suono della voce delle donne, che non deve essere ascoltata in pubblico.La voce della donna è considerata intima e quindi non deve essere sentita cantare, recitare o leggere ad alta voce in pubblico. E qui ci tornano in mente le parole profetiche che Michela Murgia scriveva in Stai zitta (Einaudi): «Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva». Vale nel nostro mondo occidentale, progredito e democratico, dove la voce delle donne è comunque considerata un cosa che provoca, disturba, mette a disagio. E dà fastidio, anche fisicamente, perché troppo alta o stridula, “uterina” come la definiscono in senso dispregiativo. Al confronto con quanto accade a Kabul, le nostre polemiche e battaglie femministe per dar voce alle donne fanno sorridere. Per le donne afghane la realtà quotidiana è diventata sempre più un incubo distopico. Il documento, approvato la settimana scorsa dall’autorità suprema Hibatullah Akhundzada, consta di 114 pagine e 35 articoli e costituisce la prima dichiarazione formale di leggi sul vizio e la virtù in Afghanistan da quando i taleban hanno preso il potere nel 2021 e hanno anche istituito un Ministero per la «Propagazione della virtù e la prevenzione del vizio». Una definizione da Orwell, appunto. E forse un po’ anche la Margaret Atwood di Il racconto dell’ancella. Ma qui non è finzione, qui è realtà che va oltre ogni nostra occidentale capacità di comprensione, e quindi di immedesimazione e di empatia, per quanto tutto ciò appare lontano dalla nostra quotidianità.L’articolo 13 del nuovo documento riguarda appunto le donne. Si dice che è obbligatorio per una donna velare il proprio corpo in ogni momento in pubblico e che una copertura del viso è essenziale per evitare la tentazione e il richiamo degli altri (maschi ovviamente). Inoltre le donne devono sempre stare coperte di fronte a maschi e femmine non musulmani per evitare di essere corrotte. I vestiti non devono essere troppo leggeri, stretti o corti. Alle donne è vietato guardare gli uomini a cui non sono legate da vincoli di sangue e di matrimonio (e viceversa) e ovviamente non possono viaggiare da sole.Il pacchetto di leggi norma anche atri aspetti della vita privata e della condotta personale, sia degli uomini che delle donne. In particolare le leggi vietano la pubblicazione di immagini di esseri viventi, limitando ancora di più il già fragile panorama mediatico afghano; la riproduzione di musica; regolano il trasporto pubblico, obbligando i passeggeri e gli autisti a recitare le preghiere in orari prestabiliti.Il capitolo “promozione della virtù” include la preghiera, l’allineamento del carattere e del comportamento dei musulmani alla legge islamica, l’incoraggiamento delle donne a indossare il velo e l’invito a rispettare i cinque pilastri dell’Islam. L’eliminazione del vizio implica anche il divieto di fare cose proibite dalla legge islamica.Le limitazioni delle libertà vanno di pari passo con l’inasprimento delle sanzioni e delle punizioni, che vanno dagli avvertimenti all’arresto. Ad amministrare il tutto sarà sempre il ministero, dal potere ormai dilagante, come denuncia un recente rapporto Onu, che parla di clima di paura e di intimidazioni e di monitoraggio dei media. Una preoccupazione condivisa da Fiona Frazer, capo del servizio per i diritti umani della missione Onu in Afghanistan, che teme in particolare per le donne e le ragazze. In risposta i taleban hanno respinto il rapporto dell’Onu