La Stampa, 27 agosto 2024
Ogni anno l’Italia concede la cittadinanza a 85 mila residenti all’estero che non sanno nulla del nostro Paese
Italiani per discendenza, senza aver seguito particolari percorsi per dimostrare il loro amore per il Bel Paese come vorrebbe il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, né glielo ha ordinato il medico come sottolinea con fastidio Roberto Vannacci, parlamentare europeo della Lega. Sono italiani per diritto di sangue, perché hanno un antenato che arrivava dal Piemonte, dal Veneto, dalla Sicilia o da una delle altre terre di grande emigrazione, e hanno deciso di far valere le loro origini. L’unica condizione è che l’antenato italiano sia morto dopo il 17 marzo 1861 (data della proclamazione del Regno D’Italia) e che la catena di trasmissione della cittadinanza non si sia mai interrotta per naturalizzazione o per rinuncia di uno degli ascendenti prima della nascita del figli. E un’eccezione rispetto alle regole sulla cittadinanza introdotta da una legge del 1912, la prima a regolare in modo organico la materia, e aveva l’obiettivo di garantire ai figli degli emigrati il mantenimento del legame con le loro radici. Non è un percorso semplice, bisogna ricostruire la linea di ascendenza dei richiedenti e recuperare documenti di epoche lontane. Non a caso, fiutata la possibilità di guadagno, sono fiorite agenzie e persone specializzate in questo tipo di attività. Chi riesce a provare le proprie origini diventa cittadino italiano a tutti gli effetti senza mai venire in Italia e quindi senza dover conoscere né la lingua, né la cultura, perché la procedura si sbriga attraverso i consolati. Non è necessario spostarsi nemmeno per votare grazie a una legge del 2001 voluta da Mirko Tremaglia, uno che ha avuto sempre il cuore a destra e che avrebbe avuto molto da dire sulle idee di purezza italica sbandierate dai nostalgici attuali.
L’onda dei richiedenti cittadinanza per ricostruzione genealogica è un fenomeno che è da tempo all’attenzione del ministero degli Esteri che un anno fa lanciò anche un allarme. Sono circa 30 milioni gli italiani che hanno lasciato l’Italia dall’800 e si stima che siano 60 milioni i loro discendenti, una parte dei quali intraprende il percorso opposto dei loro antenati e chiede la cittadinanza italiana. Come emerge dagli ultimi dati Istat sugli italiani residenti all’estero nel 2022 si registrano 85 mila acquisizioni di cittadinanza italiana (la stima comprende, oltre alle acquisizioni per matrimonio e per trasmissione al minore convivente, circa 13% e 38% rispettivamente, ma soprattutto i riconoscimenti della cittadinanza Italiana iure sanguinis, 49%). Le acquisizioni sono molto numerose nei Paesi dell’America centro-meridionale (circa 65 mila; 34,1 per mille dei residenti), in particolare in Brasile (oltre 27mila; 49,7 per mille) e Argentina (circa 26 mila, 28,2 per mille), soprattutto per effetto dei riconoscimenti iure sanguinis. I consolati dove il fenomeno è più diffuso sono Buenos Aires (oltre 13 mila acquisizioni; 41,7 per mille residenti) e San Paolo (quasi 10 mila; 40,7 per mille) che, nell’insieme, raggruppano il 27,1% del totale delle acquisizioni. Sono molte di meno invece nei Paesi europei (circa 12 mila, 3,8 per mille residenti). La conseguenza? Ci sono regioni italiane inondate di richieste di cittadinanza da parte di persone che vantano antenati italiani. Accade in Veneto dove l’Anci un anno fa denunciava le difficoltà da parte degli uffici amministrativi di gestire la mole di pratiche, ma anche il fatto che «non appena ottenuta la cittadinanza, si allontanano dal Comune di residenza godendo dei vantaggi che conferisce la cittadinanza italiana, lasciando agli uffici anche l’incombenza dei procedimenti successivi»