La Stampa, 27 agosto 2024
La rabbia dei palestinesi sulla Spianata delle moschee
«Habibi, il caffè è pronto». Mohammed non si abitua all’idea che io bevo il caffè soltanto fatto con la moka. Il suo però, con il cardamomo, non si può rifiutare: in un bugigattolo verde, appena entrati sulla Spianata delle Moschee, lui ha il suo museo delle meraviglie, un po’ da Eta Beta, ci trovi tutto. Ufficialmente, è lì per controllare che i visitatori che arrivano sul terzo luogo più sacro dell’Islam, siano vestiti decentemente. Così tutto intorno ci sono i cesti degli abiti che danno in prestito.Da oramai quasi undici mesi non ci sono turisti, quindi non c’è il pericolo che qualcuno sia vestito in maniera non opportuna. Così dal suo bugigattolo verde escono dolciumi, caffè, tè e, tra le altre cose, le mappe che da poco hanno realizzato sulla Spianata, per raccontare la versione islamica del luogo. A ricordare che il sacro lì è oggetto conteso e che può scatenare violenza, ci pensano gli agenti israeliani, beatamente seduti a pochi metri.Prima del 7 ottobre, con loro qualche volta si prendeva il caffè insieme, ora ci si guarda spesso in cagnesco. «Siamo tutti vittime degli eventi – dice Mohammed – che sono più grandi di noi. Una scossa a questi ci voleva, ci stavano trattando troppo male. Da quando c’è questo governo poi non ne parliamo. Quelli che salgono qui sono aumentati, ci sfidano. E a qualcuno può saltare la testa».Come ieri, quando il ministro della sicurezza nazionale, Ben Gvir, è risalito sulla Spianata provocatoriamente come fece Ariel Sharon nel 2000 scatenando la Seconda Intifada. Andando anche oltre: per il ministro è lecito per gli ebrei non solo salire, ma anche pregare sul luogo che ospitava (probabilmente) il primo e (sicuramente) il secondo tempio degli ebrei, quest’ultimo distrutto seicento anni prima che il luogo diventasse islamico.Per governare la Spianata o Monte del Tempio, esiste un accordo sottoscritto tra Israele e Giordania nel 1967, lo status quo. Il regno Hashemita è stato l’ultimo a controllare i territori palestinesi e Gerusalemme est prima della Guerra dei Sei Giorni e ancora oggi, attraverso l’associazione Waqf, gestisce la Spianata. Secondo l’accordo, solo i musulmani possono pregarvi, l’accesso è consentito a tutti in orari e giorni specifici (mai di venerdì) e soltanto da una delle innumerevoli porte di accesso. Contro la presenza degli ebrei sulla Spianata ci sono i dettami degli stessi rabbini, per i quali, essendo quello luogo sacro ebraico del quale non v’è contezza della posizione delle zone, si rischia di calpestare l’area sacerrima. Gli ebrei che salgono accompagnati dalla polizia per evitare che ci siano scontri e per assicurarsi il rispetto delle regole, sono sempre coloni di destra, rarissimi gli ortodossi.«Ogni volta che quelli arrivano – continua Mohammed – è un problema. Provocano e qua si trova sempre qualcuno disposto a rispondere». Ma tu non hai paura? «Certo, più volte mi sono trovato in mezzo agli scontri. Come sai ho un altro lavoro, ma è mio dovere essere volontario qui e dare una mano».Mohammed non lo dice, ma l’azione di Hamas del sette ottobre è ben vista da tutti, azione di resistenza la chiamano. Dopotutto il gruppo che controlla Gaza sapeva di scatenare l’inferno con Israele, di portarselo appresso in una spirale immensa di morte e devastazione. E quell’azione l’ha chiamata proprio “Tempesta al-Aqsa”, dal nome della seconda moschea della Spianata che ricalca quello della “città più lontana’’ raggiunta dal Profeta.«Noi siamo pronti – continua Awan – queste visite di provocatori non aiutano. Ho paura che questo clima di tensione, per la guerra e l’occupazione, scateni scontri qui. Ricordi? Ci ho già rimesso l’osso di un braccio, quando mi hanno buttato a terra. Spero che non succeda niente, ma purtroppo non ho un buon presentimento» Nei tour all’interno di Al Aqsa, oltre alle colonne di marmo che donò Mussolini, Awan mostra sempre le vetrate distrutte dai colpi israeliani durante gli scontri. Come trofei, a memoria delle violenze. «Siamo pronti – mi dice – questa è casa nostra e la difenderemo fino alla fine. Siano disposti a tutto. Israele deve capire che così non si può andare avanti. Noi vogliamo solo avere il nostro spazio, le nostre preghiere, il nostro luogo. E questo lo è. Nostro, non loro»