la Repubblica, 27 agosto 2024
Anche i democratici americani hanno capito che la cultura woke fa perdere le elezioni
Ecome d’incanto, la cultura woke è quasi scomparsa dalla Convention di Chicago.Kamala Harrisl’ha ignorata nel discorso di accettazione della candidatura alla Casa Bianca, ma in generale non ha avuto una presenza evidente nel congresso. «È stata – spiega il professore del Bard College Ian Buruma – una scelta deliberata.Perché così si vincono le elezioni, ma anche perché il partito Democratico vive una trasformazione politica».Che impressione le ha fatto la Convention?«Una dimostrazione di unità del partito molto riuscita. È stato fatto tutto il possibile per assicurarsi che non ci fosse alcun conflitto tra le correnti, che pure hanno opinioni diverse su molte cose, in particolare Gaza. Harris ha cercato l’equilibrio, dicendo che sostiene il diritto di Israele a esistere, ma anche l’autodeterminazione dei palestinesi. Ciò ha dimostrato che chi voleva una Convention aperta sbagliava, e l’istinto di Biden di appoggiare subito la vice è stato giusto. Il partito ora è unito ed entusiasta, ma non significa che le elezioni saranno facili».Il senatore Sanders ha detto che bisogna puntare sulla costruzione di una coalizione più ampia possibile. Ha ragione?«Sì. Certamente lui, Ocasio-Cortez e tutta l’ala progressista ci credono. Resta da vedere come voteranno gli arabi americani del Michigan, infuriati per Gaza, e alcuni giovani che per principio non possono impegnarsi a favore di Harris, ma non è chiaro quanta influenza avranno davvero sul risultato».Ha notato anche lei la scomparsa delle tematiche woke?«Certo. Penso sia stata una scelta molto deliberata, perché le presidenziali si vincono negli Stati in bilico, dove i democratici devono attirare gli elettori della classe lavoratrice lontani dalle città, irritati dalla politica culturale della sinistra progressista. Non sono interessati ai trans o alle battaglie identitarie e di genere.Ciò li ha spinti verso i repubblicani, minimizzare la guerra culturale serve a recuperarli».È un riposizionamento tattico, o sincero e di lungo termine?«La sincerità è sempre difficile da giudicare, ma è stato di certo l’istinto di Biden. Lui non ha mai avuto interesse per questi temi, viene dal movimento sindacale e l’anima sociale dal partito. Harris un po’ di più, ma si rende conto che sarebbe una cattiva tattica dedicare troppo tempo alle guerre culturali, e non abbastanza ai problemi della classe media e lavoratrice».Lei ha scritto un articolo su “Haper’s” in cui sostiene che l’etica protestante anima lo spirito woke. Ci spiega perché?«Ho paragonato l’America di oggi ai Paesi Bassi nel XVII secolo, quando si ribellarono contro l’impero cattolico spagnolo. Il Paese non era gestito dall’aristocrazia, ma dal mondo degli affari, che basava la propria superiorità sulla virtù morale e il successo nelle attività economiche. Chi peccava, per essere riammesso nell’ovile doveva fare una confessione pubblica.Perciò ho sostenuto che filosofia e cultura degli Stati Uniti oggi affondano le radici nella tradizione protestante».Ha scritto che lo spostamento dell’attenzione della sinistra dallaclasse lavoratrice alla promozione delle cause culturali e sociali è stato un errore. Biden ha iniziato il riposizionamento?«Sì. La sua vita e la sua carriera nonfanno parte di quel progressismo culturale. Ma non è un fenomeno solo americano, è successo anche in Europa. Se guardi ai motivi per cui i vecchi partiti di sinistra inItalia, Francia, Germania, Paesi Bassi sono calati, l’elemento chiave è lo spostamento dalla linea basata sul sindacalismo e gli interessi della classe operaia verso lequestioni sociali e culturali, come razzismo, sessualità, genere. È comprensibile, perché il proletariato industriale occidentale si era rimpicciolito e non bastava più ai partiti di sinistra per vincere. Questa evoluzione però li ha anche danneggiati.Biden lo ha capito, ha enfatizzato di nuovo la classe media lavoratrice, e Harris sta seguendo il suo esempio».I repubblicani l’accusano di essere una comunista.«È chiaramente una sciocchezza, come Berlusconi che definiva così tutti i suoi avversari politici. Harris non è comunista più di quanto lo sia Trump, ma è il tipo di attacco che funziona con le persone più ignoranti di destra, che magari non sanno neppure cosa sia il comunismo. Viene usato come una parolaccia generica, un po’ come accade a sinistra col fascismo».Harris non ha neppure menzionato di essere donna e nera. Lo ha fatto perché non era necessario?«Sì, penso che abbiano imparato molte lezioni dal fallimento di Hillary. Fa parte della strategia di allontanarsi dalle guerre culturali.I democratici hanno vinto le Midterm del 2022 perché i candidati locali hanno parlato di economia e temi concreti che interessavano agli elettori, invece di razza o genere. Harris lo ha compreso e non vuole essere vistacome il simbolo di un’identità, ma come la presidente di tutti gli americani».Su “Harper’s” lei ha scritto che gli “eletti” stanno combattendo la guerra di classe sbagliata.Dovrebbero concentrarsi su Marx, più che Lutero o Calvino.Sta avvenendo?«Credo di sì. Se sarà sufficiente è un’altra questione, perché le elezioni saranno molto combattute. Il riposizionamento però è in corso ed è una svolta positiva».Può aiutare i democratici a recuperare gli elettori tradizionali?«È chiaramente quello che sperano. Harris non menziona il genere e il colore della pelle perché molti bianchi si sentirebbero alienati, pensando che Trump sia il loro rappresentante. Così invece spera che si identifichino con lei per le posizioni politiche, anche se non le assomigliano. È la strategia giusta».Per questo Trump fatica a trovare il modo di attaccarla?«Sì, gli rende la vita molto difficile.Attaccandola personalmente come donna si aliena gruppi di elettori importanti, per un partito che già fatica molto ad attirare l’elettorato femminile a causa dell’aborto».Lei ha perso la direzione della “New York Review of Books” perché aveva pubblicato l’articolo di un autore accusato di molestie. Il riposizionamento dei democratici sulla cultura woke potrebbe cambiare il modo in cui vengono giudicati simili casi?«In una certa misura sta già accadendo, il dibattito è meno polemico rispetto al 2020. Molto dipenderà dalle elezioni. Gran parte dell’isteria più estrema è un fenomeno d’élite, che riguarda università, editori, musei, il mondo culturale delle grandi città, che laNew York Review of Books incarna.Ma è un mondo piuttosto piccolo.Harris e i democratici lo hanno capito. Se Trump vincesse, infiammerebbe le emozioni della sinistra e la guerra culturale peggiorerebbe. Se perderà, la gente si calmerà abbastanza rapidamente».