la Repubblica, 27 agosto 2024
Il dilemma dei due centri, uno liberal all’americana, uno moderato all’italiana
Alcentro ci sono praterie», diceva Matteo Renzi prima delle elezionieuropee. È vero, ma rimaste incontaminate: né l’ex presidente del Consiglio né Carlo Calenda né altri sono riusciti a esplorarle. Il tentativo di creare una massa critica in grado di condizionare il “bi-populismo”, cioè la doppia tendenza populista che riguarda sia la destra sia la sinistra, non ha avuto fortuna, come tutti sanno. Adesso è la volta di Tajani che vede «spazi immensi» tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein: spazi da occupare con la proposta politica di Forza Italia, moderata e centrista per definizione.Con tipica cadenza periodica, il tema del Centro si riaffaccia e ognuno lo interpreta come vuole. Ma le questioni di fondo sono complicate e le ha ben riassunte in un’intervista alRiformistaMichele Salvati, uno dei più seri studiosi della politica italiana nonché padre (disilluso) del Pd modernizzatore. In pratica egli ribadisce che dal bipolarismo, pur con tutti i suoi difetti, non si torna indietro, per cui un partito centrista come la Dc di un tempo non può più esistere. Tuttavia dovrebbero formarsi due aree speculari, una liberal-socialista e l’altra liberal-conservatrice, che seminano la cultura riformista nei rispettivi campi e all’occorrenza favoriscono intese parlamentari trasversali sulle leggi di interesse nazionale. Utopia? Forse sì, ma alcuni indizi di mezza estate vanno considerati.Quando Tajani si sforza di rivitalizzare Forza Italia – vedi Ius scholae, dubbi sull’autonomia regionale e altro – segnala che l’area liberal-conservatrice esiste e si può allargare senza minare la maggioranza. Quest’ultimo punto, s’intende, non è scontato: la coalizione è suscettibile di scollarsi se venisse a mancare la sintesi che solo la premier Meloni può garantire. In fondo si tratta d’inglobare un po’ di visione liberale in un’alleanza di governo appiattita sulla quotidianità. Nella sorpresa di molti, Tajani ha alzato questa bandiera. Ma non potrà limitarsi al diritto di cittadinanza per gli stranieri (o i loro figli) o ad alcuni aspetti di una riforma della giustizia che comunque sfugge al suo controllo. Essere liberal-conservatori, come suggerisce Salvati, vuol dire affrontare un’idea dell’economia, del sistema fiscale, delle relazioni industriali. Quindi definirsi centristi o moderati non basta. Sarebbe molto più utile precisare qual è il contributo liberale in chiave riformatrice che l’ex partito berlusconiano vuole offrire alla coalizione, a costo di mettersi in gioco. Se invece tutto si riduce alla solita tattica, allora non vale la pena di citare i grandi spazi che vanno da FdI al Pd, qualunque cosa voglia dire.“Liberale” è altresì il termine che dovrebbe caratterizzare i riformatori del centrosinistra. A cominciare da Renzi e Calenda, oltre a coloro che sono tuttora nel Pd. Ma la strada è in salita. A destra, bene o male, Tajani è in una coalizione ed è vicepremier. A sinistra siamo ancora nella fase dei veti. Da parte di Conte e dei 5S, in primo luogo, contro Renzi. Ed è un sentimento condiviso da una parte del Pd, tant’è che la segretaria Schlein sarà chiamata presto o tardi a dire una parola chiara sul destino dell’incrocio fra Centro e Sinistra.Il bivio è evidente. Da un lato una coalizione molto “liberal” all’americana, peraltro minata dal movimentismo di Conte. Dall’altro una prospettiva liberale all’italiana: quel liberal-riformismo la cui mancanza è il maggior limite del Pd e dei suoi alleati.