Corriere della Sera, 27 agosto 2024
L’archivio di George Orwell andato disperso
Fosse accaduto in Italia con uno dei nostri maggiori autori, sarebbe giustamente scoppiato il putiferio. In Inghilterra, la dispersione dell’archivio di George Orwell (cui questa rubrica deve il suo titolo) ha fatto solo discutere, niente di più. In sintesi: negli anni Novanta il gruppo Orion Publishing acquisisce la casa editrice dei libri di Orwell, la Victor Gollancz. Ebbene, per questione di spazi, a un certo punto la Orion deve svuotare un magazzino e nel 2018 decide a cuor leggero di liberarsi delle carte dello scrittore di 1984. Incaricato della vendita, il giornalista Rick Gekoski, il quale propone a varie istituzioni pubbliche l’acquisto in blocco per circa un milione di sterline (troppo!). Di fronte al generale rifiuto, l’archivio di Orwell viene smembrato, e oggi manoscritti, epistolari, bozze, appunti si trovano dispersi tra librai antiquari e collezionisti privati. È accaduto esattamente ciò che bisogna evitare quando ci si trova di fronte al lascito di un grande artista o intellettuale: rendere inaccessibili le sue carte agli studiosi. Non sempre si riesce a riunire l’insieme completo di un autore, per le vicissitudini biografiche e/o editoriali vissute dall’interessato (Gadda è diviso tra Firenze, Milano, Pavia, Roma e Villafranca di Verona). In Italia, comunque, ci sono pregevoli istituzioni pubbliche e private che conservano i documenti dei maggiori scrittori novecenteschi. Si pensi al Gabinetto Vieusseux di Firenze, al Fondo manoscritti di Pavia, alla Fondazione Mondadori e al Centro Apice dell’Università di Milano. E anche il Corriere della Sera ha, in via Solferino, un notevole archivio con numerosi autografi d’autore. Ci sono poi le biblioteche nazionali (Roma conserva Morante, Calvino, Pasolini, parte di Gadda). Senza dimenticare i materiali storici editoriali. L’Einaudi ha affidato all’Archivio di Stato di Torino tutta la sua storia, con i verbali, le schede, i carteggi e i manoscritti dei suoi autori. Altri editori hanno depositato le loro carte nei centri appena citati. Eredi e associazioni hanno fatto lo stesso con singoli fondi privati (gratis o più spesso a pagamento, ma quasi mai si parla di cifre esagerate). Pur non essendo necessariamente megalomani, gli scrittori sanno di tramandare i loro manoscritti ai posteri e qualche volta provvedono personalmente alla selezione e alla sistemazione delle carte. Altre volte se ne fregano, buttano o lasciano il tutto nel caos totale. Senza stare a fare l’elenco, un «crimine» come quello orwelliano, per fortuna, non si era mai sentito in Italia, dove peraltro non mancano le beghe e l’incuria. Ora i documenti nativi digitali pongono nuovi interrogativi sul futuro della memoria culturale, ma evitano almeno l’enorme disagio di trovare spazi fisici