Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  agosto 27 Martedì calendario

Signora di 88 anni sopravvive 4 giorni da sola nel bosco

varese «Ho fatto un disaster (un disastro, ndr)». Le prime parole ai figli sono nel suo dialetto varesotto. L’ironia prima di tutto, anche dopo aver passato quattro giorni sperduta tra le felci nei boschi del passo Forcora, montagna al confine con la Svizzera. 
Giuseppina Bardelli, 88 anni è salva. Anzi, si è salvata. «Ha bevuto l’acqua piovana accumulata in pozzanghere. Di notte si spostava sotto degli alberi tagliando della vegetazione per coprirsi». Rimedi naturali per resistere. Mentre intorno «sentiva le voci dei soccorritori» dei vigili del fuoco, dei volontari della protezione civile e i rumori degli elicotteri e dei droni. Un pattuglione umano e tecnologico che da mercoledì scorso l’ha cercata senza sosta. Fino a domenica mattina, quando poco prima delle 11 da una scarpata in località Monterecchio (comune di Maccagno con Pino e Veddasca in provincia di Varese), nell’ultimo fazzoletto di terra da perlustrare, è emersa una voce. Quella di Giuseppina. «Il grazie più grande va ai tantissimi, anche abitanti della comunità, che ci sono stati vicini e ci hanno aiutato», racconta il figlio Roberto, uscito dall’ospedale dove la mamma è ricoverata. «Ora sta abbastanza bene». 
Mercoledì Giuseppina era con l’altro figlio, Sergio, a «caccia di funghi». Si sono divisi per alcuni minuti. Ma è stato in quei pochi attimi che l’88enne ha avuto un capogiro. «Si è rialzata poco dopo, ma forse ha perso per un attimo l’orientamento ed è uscita dalla strada che percorreva da oltre 40 anni», continua Roberto. Che aggiunge: «A quel punto deve essersi spostata sul ciglio del sentiero, ma poi è arrivato un altro capogiro ed è scivolata tra le felci alte anche un metro e mezzo. Mio fratello l’ha cercata poi ha dato l’allarme». 
Più volte le si è avvi-cinata una volpe, erano diventate quasi amiche. Mia mamma le diceva: «Non farmi niente, sono serena» 
E, sì, la domanda che in questi giorni di ricerche in molti si sono fatti è stata: «Perché Giuseppina era lì?». Risponde chiaramente il figlio Roberto: «Mia mamma è così. Non la tieni. Ha passato tanti anni della sua vita, soprattutto da giovane, in montagna. Ha una certa struttura fisica. Faceva anche le cordate, in Trentino o sul Monte Rosa era di casa». Ma è stata proprio quell’attitudine, quell’esperienza montana lunga decenni a salvarla. Una sopravvissuta di Varese (di dove è originaria, ora con la famiglia abita in provincia, a Malnate) che contro la speranza dei familiari e dei soccorritori ce l’ha fatta. In quelle notti d’attesa non s’è fatta spaventare da nulla. Animali selvatici compresi: «Più volte l’è venuta vicino una volpe. Erano diventati quasi amiche. Mia mamma le parlava: “Non farmi niente, io sono brava, serena”». Incontri a cui alternava le preghiere per mantenere la speranza di essere trovata. «Ogni sera ha detto il rosario. Sapeva che poteva essere il suo ultimo giorno». Poi il ritrovamento. Giuseppina ha sentito la voce di un giovane ragazzo avvicinarsi: Matteo, che le ha poi messo un collare per bloccarle il collo pensando a qualche trauma alla testa. Ed ecco, ancora, l’ironia dell’88enne: «Così mi uccidi tu». 
Il pensiero della famiglia è ora a prendersi cura di Giuseppina, ad aiutarla a tornare su quei monti perché «non mollerà». «Ha qualche costola rotta, una le ha leggermente perforato un polmone – aggiunge il figlio —. Avrà bisogno di qualche giorno di degenza». Ferite che l’anziana s’è procurata scivolando per sette metri lungo la parete e sbattendo contro una pianta. Dolore, ma fortuna: «La scarpata era profonda il triplo. Si sarebbe potuta fare molto male – conclude il racconto Roberto —. È un miracolo. Abbiamo pianto a dirotto».