Corriere della Sera, 27 agosto 2024
La vita straordinaria di Pamela Digby Churchill Hayward Harriman, 1920-1997
Molto amata, quasi sempre dagli uomini, famosi e non famosi, spesso ricchi e potenti: John Kennedy, Dwight Eisenhower, Nelson Mandela, Charles de Gaulle, Gregory Peck, Richard Nixon, Jacques Chirac, Joe Biden, Frank Sinatra, Christian Dior, Gianni Agnelli, Donald Trump, il duca di Windsor. I capelli rossi e la pelle diafana che secondo l’amico Truman Capote era «satura della rugiada delle brume inglesi», il décolleté che una sarta di Givenchy definì «il più bello che abbia mai visto», il profondo blu degli occhi, e le gambe che accavallava ancora a settant’anni, appoggiata alla scrivania dello studio ovale per leggere un documento riservato insieme con l’ex ragazzo dell’Arkansas diventato presidente sul quale lei aveva scommesso molti anni prima, nell’ilarità generale.
Altrettanto odiata dalle donne (famose e non, come quella che disse di lei «ha passato la guerra a Londra a schivare bombe e sfasciare matrimoni»), temuta da Jackie Kennedy che si sentì insultata per quello che Pamela considerava un complimento («È una geisha che sa conservare un segreto», disse di lei a Truman Capote che tradì la sua fiducia pubblicando tutto), ricercata come amica da Nancy Reagan che lei tenne a distanza, vicinissima invece a Martha Gellhorn scrittrice e inviata di guerra e a Christiane Amanpour della Cnn che riceveva nel suo appartamento all’ambasciata americana di Parigi, e a Wallis Simpson.
La vita straordinaria di Pamela Digby Churchill Hayward Harriman, 1920-1997: nata da famiglia inglese molto nobile ma con il secolare patrimonio ridotto al lumicino, a soli diciannove anni sposò Randolph Churchill unico figlio maschio di Winston e schiacciato da tanto padre. Passò la Seconda guerra mondiale a coabitare con i suoceri, con un posto in prima fila davanti al più grande spettacolo politico del suo secolo, l’ascesa e il trionfo di Winston Churchill.
Dopo la guerra il primo divorzio, la vita a Parigi, le tante relazioni con uomini dai cognomi importanti (Rothschild, Agnelli, tra gli altri), il secondo matrimonio a quarant’anni con il produttore Leland Hayward molto più anziano di lei, vedova a cinquantuno e sposa per la terza e ultima volta con il miliardario Averell Harriman con l’hobby della diplomazia a alto livello, la creazione di un salotto diventato grazie a lei laboratorio della politica democratica dagli anni Settanta ai Novanta, dove elargiva semafori rossi, verdi, gialli ai politici più o meno rampanti.
Vidi che
i maschi studiavano e poi facevano cose, le femmine invece solo mogli e mamme: non era giusto
Ebbe soprattutto straordinari istinti politici: un fiuto imbattibile per i vincenti, dal giovanissimo ufficiale di Marina Jfk al rubizzo apparatchik Boris Eltsin che lei invitò a cena quand’era semisconosciuto – e sorrise materna quando lui, alticcio, s’assopì a tavola – fino a Bill Clinton frequente ospite alle sue serate con cena e successiva discussione-summit in salotto, tra attualità e geopolitica.
Impressiona che le due biografie finora dedicate a Pamela Harriman, ricche di gossip, l’abbiano dipinta come un peso leggero se non direttamente un’avventuriera: a rimediare, arriva ora (in uscita il 17 settembre negli Stati Uniti, editore Viking, 496 pagine, 35 dollari) Kingmaker: Pamela Harriman’s Astonishing Life of Power, Seduction and Intrigue che il Corriere ha letto in anteprima. L’autrice, Sonia Purnell, ha contattato una quantità ragguardevole di persone che la conobbero e scavato tra i documenti spesso inediti e presenta un ritratto di Harriman molto diverso da quello dei testi precedenti.Bill Clinton, per esempio, dice: «Era ambiziosa? E chi non lo è, in politica. Ma era intelligentissima, una fuoriclasse. Si divertì tanto? E meno male», perfetto epitaffio per Harriman e forse, per sé stesso. Purnell rivela che Agnelli fu «il vero amore della sua vita», anche se il matrimonio risultò impossibile, e rivela le visite a casa di lei dopo la morte dell’ultimo marito, con l’Avvocato presente già di primo mattino per il breakfast che dava allo staff l’impressione d’aver pernottato lì. Agnelli che, nell’epilogo, vediamo al funerale di Pamela «con il volto trasfigurato dal dolore».
Gossip a parte, Purnell mette in chiaro grazie ai documenti che l’apice della vita pubblica di Harriman, il ruolo da ambasciatrice americana a Parigi, fu un momento molto importante della politica internazionale di fine Novecento: molto stimata dall’allora presidente Jacques Chirac, Harriman scavalcò i canali ufficiali della farraginosa diplomazia del dipartimento di Stato per parlare direttamente con Bill Clinton, e convincerlo a intervenire in Bosnia. Le pagine dedicate a Harriman ambasciatrice (30 giugno 1993-5 febbraio 1997, giorno della morte) mettono in mostra non la cortigiana del gossip ma una mente diplomatica di grande acume: Purnell ci porta dietro le quinte, mostrandoci Harriman capace di dialogare con un presidente francese che l’America la conosceva bene e di convincere Bill Clinton – sotto attacco da parte dei repubblicani per la catastrofe di Mogadiscio (18 militari morti e trascinati per le strade, 73 feriti) – che senza l’intervento americano la carneficina balcanica non avrebbe avuto fine. Harriman poteva contare su Richard Holbrooke, inviato speciale clintoniano: vent’anni prima, era uno dei giovani diplomatici dell’amministrazione Carter che Harriman prese sotto la sua ala e che per un certo periodo visse anche a casa Harriman con un collega, nelle camere degli ospiti.
Perché gli accordi di Dayton, Ohio, vennero ufficialmente firmati proprio a Parigi, all’Eliseo, il 14 dicembre 1995? Perché Harriman convinse l’amico Bill a ricompensare in questo modo l’amico Jacques. Jacques che, quando Pamela si sentì male – un ictus, fatale – durante la quotidiana nuotata nella piscina del Ritz (e soccorsa dal capo della sicurezza dell’hotel, Henri Paul, che sei mesi più tardi si sarebbe schiantato sotto il ponte dell’Alma con la Mercedes di Diana e Dodi Fayed: strana la vita), inviò i medici più bravi per cercare di salvarla. E, visitando poi il feretro all’ambasciata – violazione del cerimoniale – insistette perché nella guardia d’onore ci fosse, per la prima volta, una soldatessa. Estremo omaggio all’amica Pamela che da ragazzina diceva: «Vidi che i maschi studiavano e poi facevano cose, le femmine invece solo mogli e mamme: non era giusto».