Corriere della Sera, 27 agosto 2024
Come Issa al Hasan si è affiliato all’Isis
Prima di andare in missione omicida, Issa al Hasan si è scattato una foto e ha girato un video di un minuto. La testa coperta da un fazzoletto, una kefiah chiara sul volto che lasciava intravedere solo gli occhi, ha annunciato l’atto che stava per compiere e giurato fedeltà all’Emiro. La sua azione, ha detto, è una risposta «all’uccisione dei musulmani in Siria, in Iraq e in Bosnia». Poi, rivolgendosi ai propri genitori, ha parlato di «vendetta per le persone a Gaza» che «vengono massacrate con il sostegno dei sionisti». Ha postato il video sui canali dell’Isis ed è uscito dal centro di accoglienza.
Ma è il profilo che emerge al di là del video, a far pensare che la sua affiliazione all’Isis sia di più lunga data e forse più strutturata. Certo, Issa al Hasan non era nei registri delle persone radicalizzate della polizia tedesca. Se quindi era un «soldato», questa fedina immacolata lo rendeva meno sospetto. Ma sono le precauzioni che ha preso per non venire espulso a far pensare che, sugli aspetti legali che ne regolavano la presenza in Germania, fosse ben informato. Secondo un’inchiesta della trasmissione tv Tagesschau, Issa al Hasan è arrivato in Germania a fine 2022. Ha presentato la richiesta di asilo a Bielefeld. Respinta un anno dopo quando si è accertato che il Paese di primo approdo Ue era la Bulgaria. Lo scorso 13 marzo Issa ha fatto ricorso. Quando a giugno sono venuti a cercarlo, si è reso irreperibile. E quando lo Stato si è dimenticato di presentare la proroga del decreto d’espulsione, ha ritirato il ricorso. Solo così – con questa mossa legale – ha potuto ottenere la «protezione sussidiaria» dello Stato tedesco. Come faceva a muoversi così bene, chi gli forniva la consulenza legale? Ai funzionari che l’avevano interrogato due volte, aveva raccontato un sacco di frottole. Che aveva un parente, irrintracciabile, in Germania; che scappava dal servizio militare; che voleva lavorare per aiutare la famiglia in Siria.
La Bulgaria è un noto snodo di ingressi jihadisti. Infine, resta il mistero della giacca. L’ha gettata per sbaglio, insieme ai documenti, o quella doveva essere la firma finale all’operazione? Una sorta di «eccomi, sono io». Se così fosse, resta un’altra domanda. Perché non è diventato «un martire» e si è invece arreso – intirizzito dalla pioggia – a una pattuglia che passava?