Corriere della Sera, 27 agosto 2024
La Germania dopo Solingen cambia musica sui migranti, due pezzi
«Questo è stato terrorismo, terrorismo contro tutti noi». Il cancelliere Olaf Scholz si è recato a Solingen ieri mattina, portando una rosa bianca sotto il palco del massacro. E ha promesso quello che è stato ampiamente annunciato dai media. Una stretta sull’immigrazione, forse una vera svolta epocale. Poi ha usato una parola che si è sentita poco sulle sue labbra («rabbia»), senza rifuggire dal termine islamista. «Sono arrabbiato – ha detto – contro gli islamisti che minacciano la convivenza pacifica tra tutti noi».
Scholz ha promesso anche di inasprire «molto rapidamente» la legislazione sul porto d’armi e di «fare tutto il possibile» per espellere chi non ha i requisiti per restare.
L’attacco compiuto dal ventiseienne rifugiato siriano Issa al Hasan – ha ucciso a coltellate 3 persone e ferito in modo grave altre quattro che da domenica sera sono finalmente fuori pericolo – è stato uno choc per la Germania e ha acceso un immediato dibattito politico. Sia i moderati cristiano democratici della Cdu all’opposizione che il governo non vogliono lasciare il campo all’estrema destra dell’Afd. La quale ha subito lanciato la parola d’ordine «remigrazione» (deportare chi non è integrato o abbastanza tedesco, ndr). Scholz ha fatto capire subito che per il suo governo un indurimento delle politiche migratorie sarà la priorità.
«Dovremo fare tutto il possibile per garantire che coloro che non possono e non devono rimanere in Germania siano rimpatriati ed espulsi», è stata la frase chiave del discorso del cancelliere. Ha descritto il presunto attentatore come un «caso Dublino», riferendosi alle regole dell’Unione europea secondo cui i richiedenti asilo devono presentare le loro domande nel primo Paese dell’Ue in cui arrivano.
Le armi
Anche i liberali disposti a votare il divieto per coltelli con una lama superiore a 6 centimetri
Issa al Hasan, infatti, doveva essere espulso in Bulgaria. L’ordine era già stato firmato, ma per sei mesi ha fatto perdere le proprie tracce, diventando un clandestino, cosa che scaduti i termini del decreto d’espulsione gli ha poi permesso di ottenere – per un corto circuito burocratico – la «protezione sussidiaria». E un posto letto nel centro d’accoglienza di Solingen.
Più in generale, il governo sembra compatto e intenzionato a una svolta dura. I liberali si sono riallineati sul divieto ai coltelli lunghi, come vuole la ministra dell’Interno Nancy Faeser (Spd) e sono ora disponibili a votare la misura: si potranno portare in pubblico solo coltelli con una lama fino a 6 centimetri. Una prima risposta, anche se tutti sanno che ha un valore marginale. Nel governo, sono i verdi i più grandi difensori del diritto all’asilo. Ma già domenica un loro importante esponente, Danyal Bayaz, il ministro delle Finanze del Baden-Württemberg (l’unico Land che governano), ha detto: «Serve un considerevole indurimento della politica dell’asilo e della sicurezza».
Siamo probabilmente di fronte a un governo di sinistra che cambierà nettamente la sua linea verso espulsioni, controlli online, poteri più ampi alla polizia, sul modello dei Paesi nordici. E cambierà anche i modi di parlarne. Nessuno si illude che l’attentato di Solingen sia stato un caso isolato. L’atmosfera è opposta, ci si aspetta che ne succedano altri. Molti esperti del terrorismo tedeschi, come Ahmad Mansour o Peter Neumann, hanno messo in allerta, perché Gaza è stata usata dall’Isis per scatenare una guerra di religione ed entrare in azione.
Sono centinaia i radicalizzati in Germania che potenzialmente possono colpire, e la modalità d’attacco di Solingen (un coltello preso in cucina) è imparabile. Su Tiktok bastano poche settimane per radicalizzarsi.
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Sono passati otto anni, da quando l’Isis ha rivendicato per l’ultima volta un attentato in Germania. Era il Natale del 2016, e il tunisino Anis Amri guidò il suo camion sui passanti del mercatino di Natale sotto la Chiesa della Memoria a Berlino. Da allora, nessuno degli episodi di violenza — almeno una decina — ha avuto ufficialmente la firma dell’Isis. Fino ai fatti di Solingen, quando Issa al Hasan si è avventato sui passanti, dopo aver girato un video in cui giura fedeltà all’Emiro. Issa è siriano, e la circostanza — temuta dai suoi concittadini di Solingen, dai ragazzi che il sabato affollavano i bar del centro, mentre il nome del killer era ancora, pubblicamente, un enigma — non ha stupito nessuno. Un grande esperto di jihadismo, come Aaron Zelin del Washington institute lo ripete da mesi: «Rispetto alla rinnovata campagna delle operazioni esterne dello Stato Islamico — ha scritto su X — (...) se dal 2013 al 2017 il focus era sugli attentati in Francia e Belgio, questa più recente, negli ultimi 12-18 mesi, si è concentrata sulla Germania».
E così il crimine di Issa al Hasan chiude un doppio cerchio. Pone, se gli esperti hanno ragione, la Germania al centro delle nuove strategie del terrorismo islamico in Europa. E mette, ben al di là delle questioni di sicurezza, un punto fermo nella complessa relazione dei tedeschi con i siriani che hanno preso in casa. Se quella di Angela Merkel, nel 2015, era l’estate dell’accoglienza, Solingen certifica la fine delle illusioni, presenta il conto di quanto il «wir schaffen das» (ce la facciamo, la formula del suo pragmatismo) sia un’impresa che durerà decenni e che ha cambiato per sempre la Germania. Ha fatto rinascere, tra l’altro, l’estrema destra con l’Afd. Ma rispetto a quel 2015, oggi a destra e sinistra sembrano esserne consapevoli tutti.
Sono 972 mila i siriani che hanno ottenuto l’asilo politico in Germania, la prima comunità di rifugiati, il terzo gruppo nazionale dopo i turchi e gli italiani. Quella però, negli anni Cinquanta, era l’emigrazione dei Gastarbeiter (i lavoratori ospiti). I turchi, nazionalisti, musulmani ma laici, sognavano un futuro «moderno» attraverso il lavoro. La popolazione a cui Angela Merkel ha aperto le porte il 31 agosto di 9 anni fa — quando la risposta alternativa a quell’enorme pressione di centinaia di migliaia di persone che spingeva alle porte di Budapest, poi dell’Austria e infine della Baviera, sarebbe stata di mandare i tank, seppellendo ogni idea di tolleranza e libertà in cui la cancelliera credeva — fuggiva dalla guerra. Con il suo carico di traumi, e le file piene di combattenti, talvolta jihadisti.
Bisogna andare a Tegel o a Tempelhof, i due vecchi aeroporti di Berlino, a capire quanto la Germania ha fatto per loro. File di container, le bici davanti a casa, ogni tanto anche aiuole di fiori. I corsi di lingua sono gratuiti. Una gran parte dei siriani ha potuto imparare il tedesco, almeno a medio livello. Berlino non ha lesinato risorse: ma quando nel 2023, altri 300 mila stranieri hanno chiesto asilo, anche il governo di Olaf Scholz ha risposto: stop, siamo pieni.
Due fatti colossali hanno segnato e incrinato il rapporto tra i tedeschi e i siriani. Il primo fu, sei mesi dopo i confini aperti, il Capodanno di Colonia 2016. In quella notte di festa, in cui i ragazzini arabi erano in libera uscita tra una folla mai vista — certificò il rapporto commissionato dal governo — 1.200 donne furono sessualmente aggredite; agirono 2.000 ragazzi, spesso in bande; 120 furono indagati. Il secondo è stato la guerra di Gaza. Soprattutto i siriani, indottrinati all’odio per Israele con cui la loro patria è ufficialmente in guerra, non riescono ad accettare l’impegno della Germania a difesa d’Israele, ignorano il peso del passato nazista. L’antisemitismo dilaga: e questo ha fatto precipitare la simpatia, e perfino la tolleranza, nei loro confronti.
Certo, ora il problema è di un ordine più piccolo e urgente: di sicurezza. In concreto — mentre si rimanda al futuro l’integrazione — è tra le file dei siriani, dei ragazzi che hanno visto combattere i genitori o i fratelli, che magari sono diventati adulti come Issa nelle terre del Califfo, che lo Stato Islamico ha più presa. Sempre secondo il Washington institute, dall’inizio dell’anno ci sono stati 13 arresti per legami con l’Isis, o Isis Khorasan, in Germania: iracheni, afghani e siriani. Tre attentati sono stati sventati. Se siamo di fronte a una nuova offensiva, l’Isis sa benissimo dove è più facile reclutare.