Corriere della Sera, 27 agosto 2024
Putin vuole distruggere le centrali elettriche degli ucraini per lasciarli al freddo e al buio
Quando il 16 luglio scorso ha visitato Volodymyr Zelensky a Kiev, l’alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi gli ha posto una domanda semplice eppure impossibile: quanti civili potrebbero emigrare verso il resto d’Europa in inverno, se il Cremlino riuscisse a devastare le infrastrutture ucraine dell’energia? Quel giorno il presidente, secondo alcune persone informate dell’incontro, non potè rispondere. Nessuno può farlo. Più chiaro invece è l’obiettivo di Vladimir Putin: lasciare parte della popolazione ucraina al freddo nei prossimi mesi, per depauperare ulteriormente il Paese dei suoi abitanti.
Che questo fosse il progetto, non potevano esserci dubbi da quando il 22 marzo scorso la Russia ha scatenato il primo di sette attacchi dal cielo in tre mesi sulle centrali e le stazioni di distribuzione di Dtek, il colosso ucraino dell’elettricità. La capacità dell’azienda si è ridotta da cinquemila a cinquecento gigawatt, un crollo del 90%, anche se ora Dtek spera di ricostruire quasi due terzi del suo potenziale produttivo entro l’anno.
Ma ieri la strategia del Cremlino di gettare milioni di civili ucraini in ostaggio al freddo ha mosso un passo in più. Dtek non è stata bersagliata ancora, in compenso i missili russi hanno colpito gli impianti e le reti del gruppo di generazione e di cavi ad alta tensione Ukrenergo. Decurtare la produzione elettrica può mettere al freddo milioni di persone in Ucraina, perché gli edifici moderni nelle città sono riscaldati con la corrente. Ma ridurre la fornitura di luce significa anche mettere in difficoltà i sistemi fognari e potenzialmente danneggiare le condutture idriche degli edifici civili, se l’acqua si congela e rompe i tubi. Per questo ciò che sta accadendo in questi giorni non è altro che il secondo tempo della guerra dell’energia di Vladimir Putin: negando quest’ultima all’Ucraina, il dittatore di Mosca punta a riversare un milione di civili o forse più verso l’Europa quando le temperature scenderanno. Molto dipenderà da quante case resteranno prive di riscaldamento nel prossimo paio di mesi. Tymofiy Mylovanov, economista dell’università di Kiev e consigliere di Zelensky, pensa che il piano di Putin fallirà: «Lo scopo del Cremlino è chiaro e quest’inverno sarà forse peggiore di quello scorso, ci saranno nuovi blackout – concede al Corriere —. Ma se non colpiscono le centrali nucleari, portando la guerra a un altro livello, riusciremo a cavarcela».
Di certo ieri i grandi snodi degli attacchi sono stati le stazioni di smistamento del gas e la centrale idroelettrica nei pressi di Kiev. Quell’impianto risale ai tempi in cui Nikita Krushiov dominava l’Unione sovietica nei primi anni ’60 e crea un bacino d’acqua della superficie di oltre 900 chilometri quadrati. Far saltare la diga significherebbe inondare la capitale, con il rischio di provocare un numero incalcolabile di vittime. Per questo le autorità di Kiev ieri hanno subito rimarcato che sarebbe impossibile, bombardando dal cielo, far cedere l’argine in cemento armato alto ventidue metri e lungo quasi trecento. Ma nessuno ha potuto negare i danni (per ora imprecisati) all’impianto idroelettrico che alimenta la capitale. Quel che resta da capire ora è se l’apparato militare-industriale di Putin riuscirà a produrre così tanti nuovi missili e droni ad alta precisione e a mettere a punto così tanti nuovi obiettivi da paralizzare il sistema ucraino dell’energia anche nei prossimi mesi. Senz’altro ci proverà, perché uno degli obiettivi è rallentare la produzione di armi nelle fabbriche ucraine privando queste ultime di forniture elettriche.
Proprio ieri un missile-drone prodotto in Ucraina ha colpito la grande raffineria siberiana di Gazprom a Omsk. Quell’impianto si trova a quasi tremila chilometri dal confine: il messaggio è che l’industria ucraina è ormai in grado di fabbricare oggetti capaci di stare in aria per più di un giorno, restando invisibili ai russi, per colpire bersagli lontanissimi. E con l’incursione nel Kursk, le truppe di Kiev ora controllano la stazione di Gazprom a Sudzha per lo smistamento del gas verso l’Europa centrale. Da quello snodo passano 14 miliardi di metri cubi all’anno: abbastanza perché l’incertezza abbia fatto salire le quotazioni del gas sull’intero mercato europeo.