La Stampa, 26 agosto 2024
Una buona analisi dell’economia cinese
In Cina viene prodotto il 35% dei manufatti dell’intero pianeta. Facile capire che di fronte alle mosse di Pechino l’intera industria mondiale tremi. Fette di mercato sempre più ampie i cinesi le hanno conquistate, negli anni, ma finora l’incubo di una invasione massiccia di prodotti sottocosto non si è mai materializzato. Si ravviva oggi a causa delle difficoltà presenti laggiù. Pende come una spada di Damocle sul resto del mondo il particolarissimo equilibrio economico realizzato sotto la guida del Partito comunista fondato da Mao Zedong. Valutando con i criteri delineati da Karl Marx nel Capitale circa 150 anni fa, il popolo cinese è il più sfruttato del mondo. La quota di valore dei salari rispetto alla produzione è bassissima. Lo sviluppo travolgente della Cina negli ultimi 40 anni è stato sospinto da investimenti elevatissimi, resi possibili da tassi di profitto senza eguali. Benché i salari siano cresciuti assai, sono pur sempre rimasti indietro; e gli alti costi di sanità e scuola, di fatto non pubbliche (altro che comunismo!), costringono a risparmiare molto. Un’auto elettrica cinese venduta in Europa in teoria potrebbe costare circa la metà. Però, anche prima dei dazi europei in vigore dal 5 luglio, le aziende cinesi non avevano fatto particolari sforzi per tenere i prezzi bassi, e vendevano da noi con meno successo della Tesla e delle marche europee. Il modello economico cinese ha in sé la tendenza a investire troppo, anche per una gara tra le amministrazioni locali a conquistarsi meriti di partito. Tuttavia, nel decennio passato, ad alcuni dei più grossi errori si è posto rimedio, dirottando la produzione di acciaierie e cementifici all’estero per gli investimenti della «Via della seta» oppure chiudendoli del tutto. Uno sforzo per esportare c’è, si difendono i cinesi, ma nell’insieme l’utilizzazione degli impianti resta su livelli normali. Esistono, si riconosce, alcuni problemi settoriali: di cementifici ce ne sono ancora troppi (70% di produzione in eccesso) ora che si è sgonfiato il boom immobiliare, e la produzione di batterie elettriche è quattro volte superiore alle necessità interne. Per ora si resta nella linea di non rendere mai troppo esplicita la sfida all’Occidente, con periodiche verifiche dei rapporti, la prossima martedì e mercoledì nella visita a Pechino del consigliere di Biden per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan. In prospettiva, gioverebbe il ravvivarsi della crescita cinese ora fiacca. Le ricette di accumulazione accelerata efficaci finora non funzionano più. Il governo di Pechino si mostra sordo ai consigli del Fondo monetario internazionale, che pure gioverebbero al consenso interno: espandere le prestazioni del welfare o attenuare le conseguenze sulle famiglie del dissesto del mercato immobiliare.Lo squilibrio enorme tra risparmio e investimenti mostra che i cinesi potrebbero migliorare parecchio il loro tenore di vita; sebbene ormai il patrimonio edilizio delle famiglie si avvicini al livello europeo di 40 metri quadri a persona. Già una decina d’anni fa il governo centrale mostrò di essere consapevole del problema, ma poi non molto è stato fatto per risolverlo.Una spiegazione possibile è che si stia perseverando nei vecchi errori nel tentativo di mantenere la spinta che ha portato la Cina all’avanguardia tecnologica in molti settori. Il treno ad alta velocità Shanghai-Pechino in regolare servizio copre 1.300 chilometri in 4 ore e mezzo, e si progetta uno sbarco sulla Luna entro il 2030. La Cina ha già cambiato parecchio le vite di noi tutti, prima con la produzione massiccia di merci industriali a buon mercato negli Anni Novanta, poi con l’abbondanza di risparmio che fino al 2022 ha tenuto bassi i tassi di interesse. Ma talvolta il troppo stroppia, e oggi un’invasione di merci cinesi a prezzi stracciati avviterebbe il mondo in una crisi deflazionistica di prezzi troppo bassi per continuare a produrre, fabbriche chiuse, disoccupazione.