la Repubblica, 26 agosto 2024
A Torino i tifosi del Toro contestano Urbano Cairo
La conseguenza della rabbia è stato l’orgoglio. E così l’insistente contestazione dei tifosi del Toro a Urbano Cairo – che non è cominciata adesso ma da un decennio: ieri è stata in qualche modo istituzionalizzata – non ha avuto, né avrebbe potuto avere, l’effetto desiderato («Cairo vattene»), ma si è abbattuta sull’ambiente intero come una frustata all’anima: i tifosi si sono ricompattati dopo anni di divisioni e in migliaia, sotto un sole violento (la protesta è rimasta civile), si sono radunati al Filadelfia, la casa del popolo granata, due ore prima che la squadra battesse l’Atalanta giocando con il cuore in mano, con una passione collettiva che non si vedeva da tempo. Giocatori e pubblico si sono trascinati a vicenda, uniti da una chimica emozionale che negli anni s’era diluita nell’avarizia sentimentale di una società che non ha mai capito (o voluto) a quale clientela si stesse rivolgendo. Così oggi il Toro è primo in classifica dopo aver giocato due partite difficili ma sorprendenti per qualità, spirito, mentalità. Con l’Atalanta, come la settimana prima in casa del Milan, ha segnato due gol con azioni collettive di pregevole fattura e se ha sofferto l’inenarrabile è perché ha un solo difensore puro (Vanoli aspetta da mesi che Cairo gliene compri almeno un paio) e quando spiovono palloni in area è un’avventura. A San Siro non ha saputo resistere, ieri invece ha trovato un alleato nel destino, visto che i bergamaschi hanno preso due pali (Retegui e De Ketelaere) e Milinkovic-Savic ha parato al 96’ un rigore a Pasalic. A certi aiuti dal cielo questa gente non è abituata, chi immaginava che persino il fato spalleggiasse la contestazione.Cairo non c’era, la Digos gli ha consigliato di non presentarsi. Lo farà quando le acque si saranno calmate, se si calmeranno. Perché la rabbia popolare non dipende dall’inattesa cessione di Bellanova all’Atalanta (ieri rimasto a Bergamo perché, come ha detto Gasperini, «non ci sembrava il caso di alimentare una tensione già molto alta»), ma dallo stillicidio di promesse mancate, di ambizioni annacquate, di programmi vacui che punteggiano il ventennio di Cairo – un solo derby vinto, mai oltre il settimo posto in campionato e i quarti di Coppa Italia – che a dicembre diventerà il presidente più longevo nella storia del Torino senza che della sua reggenza verrà raccontato ai nipotini: giusto una vittoria a Bilbao. Per un popolo che vive di leggende e se le tramanda come solo chi vive d’amore immateriale sa fare, il deserto emotivo e l’incuria programmatica sono più gravi di qualsiasi sconfitta sul campo.La cessione di Bellanova è stata vista come l’ennesimo atto di disinteresse. Ieri la gente si è infervorata per gli slanci passionali dello scozzese Adams ma anche per il debutto del giovane torinese Ciammaglichella: è la conferma di quanto poco basterebbe per soddisfarla, invece le mosse di Cairo hanno generato prima frustrazione e poi quest’ultima ondata di rabbia, che però si è appunto trasformata in un orgoglio appuntito dalle parole dette da Vanoli alla vigilia, duro contro Cairo e quindi immediatamente adottato dalla gente granata (però ieri ha l’allenatore glissato: «Parentesi chiusa, guardiamo avanti. Sono franco, diretto, ma ho pazienza»). Il paradosso è che la contestazione ha avuto effetti clamorosamente positivi. E Cairo ne riscuoterà i dividendi.