la Repubblica, 26 agosto 2024
Un’altra biografia di Pavel Durov
Provate a prenderlo, se ce la fate. Perché anche ora che la giustizia francese ha rinchiuso Pavel Durov in una cella, è dura afferrare qualcuno che ha costruito un social network, Telegram, e un’intera esistenza sugli stessi anarchici principi: libertà e privacy radicali, indipendenza da ogni governo e potere. Oppure, versione meno nobile, da ogni legge.Russo di nascita ma apolide da un decennio, collezionista di cittadinanze con residenza nel porto franco di Dubai. Solitario, vegano e sempre vestito di nero come Neo, il protagonista di Matrix che libera l’umanità dal giogo delle macchine. Un patrimonio di 15 miliardi di dollari ma nessuna proprietà, perché «quello che possiedi poi ti possiede». Padre russo e madre di origine ucraina, Durov professa una neutralità quasi impossibile in questi tempi di guerra. Assoluta coerenza ed enigma estremo. Un enigma che molti in queste ore, dal Cremlino agli attivisti per la libertà di parola passando per gli ambienti della destra radicale, provano ad arruolare al proprio campo.Non è facile, perché Durov è personaggio unico, anche nel pittoresco panorama tech. Nato a San Pietroburgo 39 anni fa, da giovane trascorre anni a Torino dove il padre insegna filologia. La studia anche lui, ma durante l’università, insieme al fratello Nikolai, fonda una versione russa di Facebook, VKontakte. Con il successo, nel Paese di Putin arrivano i problemi. Durov rifiuta più volte di collaborare con le forze di sicurezza, da ultimo nel 2014 dopo la Rivoluzione arancione e l’invasione russa della Crimea, negando informazioni sui profili degli attivisti ucraini. Dopo aver alzato il dito medio, cede il social a imprenditori graditi al Cremlino, lasciando il Paese con un assegno da 300 milioni di dollari e un’aurea da oppositore.Il suo nemico però sono i Grandi Fratelli tutti, senza distinzioni tra autoritarismi e democrazie: Edward Snowden ha appena rivelato il programma di sorveglianza globale della Nsa americana, e per Durov conta tanto quanto l’esperienza personale in Russia. Fonda Telegram non come un’azienda, ma come un progetto «per renderci il nostro diritto alla privacy e uscire dal regime di sorveglianza», dice nel 2016 quando lo incontriamo a Helsinki, con il vestito nero e la faccia da eterno ragazzino. Il sistema di messaggistica è simile a Whatsapp, ma le conversazioni non lasciano traccia sui server e la crittografia promette di renderle inaccessibili a occhi esterni. Durov lo sviluppa con i propri soldi e senza un modello di business, perché mettere pubblicità sulle conversazioni private sarebbe «immorale». Il logo, potente, è un aeroplanino di carta.Oggi la società, quartier generale a Dubai, ha quasi un miliardo di utenti e vale 30 miliardi. La sua diffusione nel mondo ex sovietico l’ha resa un canale di comunicazione decisivo nel conflitto tra Russia e Ucraina, su entrambi i fronti, per informazione o propaganda. Ma dietro alla barriera tecnologica di riservatezza, e all’indisponibilità della società a collaborare con le autorità, si fanno scudo attività criminali di ogni tipo, dal traffico di sostanze alla pedopornografia, dalla diffusione di materiale protetto da copyright al terrorismo, senza contare la disinformazione che si moltiplica in canali con migliaia di utenti. Durov potrebbe essere accusato di complicità, non avendo fatto nulla per ostacolare o interrompere quelle attività.Le piattaforme tecnologiche sono responsabili per i contenuti illeciti veicolati dagli utenti? «Assurdo – ha replicato ieri Telegram – Pavel Durov non ha nulla da nascondere». In una recente, rara, intervista con l’opinionista della destra Usa Tucker Carlson l’imprenditore aveva detto che Telegram deve restare una “piattaforma neutrale” e non “un attore geopolitico”. Ma quello che sta succedendo dopo il suo fermo è l’esatto contrario, una corsa a tirarlo in mezzo al Grande gioco. Elon Musk, sponsor di Trump, ha attaccato la Francia in nome della libertà di parola, anche se sul suo social X l’hashtag #Telegram ha restituito per ore messaggi di errore. E alla destra americana si è accodata quella italiana, con Salvini che ha denunciato la «censura europea». Snowden, dal suo rifugio russo, ha scritto che l’arresto di Durov è un attacco «ai diritti fondamentali di parola e associazione». E Mosca, che nel 2018 aveva minacciato di bandire Telegram, ha protestato con Parigi per l’assenza di informazioni sulla sua detenzione.In realtà, tra i passaporti collezionati da Durov, insieme a quelli degli Emirati e dell’isola caraibica di Saint Kitts, c’è proprio quello francese, Paese da cui non può essere estradato. Alcuni hanno pure ipotizzato che l’atterraggio a Parigi, imprudenza non da lui, fosse pianificato per non finire in mani peggiori. Provate a prenderlo, se ce la fate.