la Repubblica, 26 agosto 2024
Il fenomeno dei baby-jihadisti alias cuccioli di lupo alias ragazzini dell’Isis
Non è più il tempo dei lupi solitari. O meglio: non è soltanto quel tempo. A spaventare oggi l’Europa, e anche l’Italia, sono i “cuccioli di lupo”, come li chiama un investigatore, cioè ragazzi giovani, alle volte anche giovanissimi (in alcuni casi addirittura 13enni) che vengono avvicinati sul web dai signori del terrorismo. Radicalizzati nel giro di poche settimane e addestrati immediatamente a colpire: non con le bombe o con i grandi attentati modello Bataclan, ma armati con l’arma più semplice ma nello stesso tempo particolarmente in grado di offendere: il coltello.Così ha colpito il terrorista di Solingen, così un anno fa (gennaio 2023) attaccò un palestinese ad Algecricas. E le lame sono state le armi in tre attentati censiti negli ultimi dodici mesi in Europa (Andalusia, Lisbona, Inghilterra). La scelta non è casuale. Perché il lavoro delle forze di polizia di prevenzione rende sempre più difficile per i terroristi organizzare in Europa i grandi piani. Anche perché, in Francia come in Germania, c’è una parola che oggi viene raccontata in Europa come la medicina a questa ondata di paura. Una parola che l’Italia frequenta per fortuna da tempo: espulsioni. Dal 2015 a oggi sono state 792.Negli ultimi diciotto mesi le espulsioni di possibili terroristi sono state più di 120, una sessantina dal 7 ottobre, quando dopo l’attacco di Hamas a Israele da noi, come in tutto il mondo, c’è stato un innalzamento dei livelli di sicurezza. “Espulsione” è però un termine che se non maneggiato con cura, e soprattutto con competenza, rischia di diventare un pericolo per la democrazia perché «se passa il principio che con nulla si può cacciare via qualcuno da un territorio, sappiamo dove si comincia ma non dove si finisce» spiega un vecchio investigatore che ricorda perfettamente come una certa (in)cultura della sicurezza pensò di affrontare il terrorismo islamico dopo le Torri gemelle: il mercato della paura, il contrario dello Stato di diritto.In Italia, si diceva, dove la cultura della prevenzione è un faro per tutta le intelligence europee, le espulsioni sono regolamentate danorme e procedure chiare. Che hanno consentito alle nostre forze di polizia di intervenire prima che potesse essere accesa la miccia: se in questi dieci anni difficili di escalation di attentati islamici in tutta Europa, il nostro Paese non ha mai conosciuto un fatto di sangue è stato senza dubbio per ragioni culturali (le comunità islamiche di seconda generazione non sono così radicate come nel resto d’Europa). Per fortuna. Ma soprattutto grazie a quel lavoro che ci ha consentito di arrivare prima.La norma prevede che i provvedimenti di espulsione possano essere firmati dal ministro dell’Interno, dal Prefetto o dalla Commissione per il riconoscimento della Protezione internazionale sulla base di elementi di polizia o di intelligence molto chiari. Repubblica aveva raccontato i profili di alcuni degli espulsi nel 2024: c’era il 28enne gambiano che aveva partecipato al campo di addestramento dell’Isis. Quello che in carcere, luogo d’elezione per le radicalizzazioni, conservava una foto delle Twin Towers con la didascalia: “Dio è grande, tutto passa”. Ai nostri Servizi avevano fatto una serie di segnalazioni: che un 29enne tunisino, in carcere per piccoli reati, era pronto a colpire appena libero e che un 24enne egiziano aveva creato una serie di gruppi whatsapp per diffondere materiale jihadista e trovare nuovi combattenti.