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 2024  agosto 26 Lunedì calendario

Reportage da Solingen, il giorno dopo l’attentato

Dalla sua stanza Issa al Hasan quel venerdì sera che ha cambiato la sua vita, e quelle delle persone che ha accoltellato, sentiva la musica del dj e della festa. Duecentocinquanta metri, in leggera salita: tanto distava il «rifugio» dalla piazza della mattanza. Ha preso un coltello nella cucina comune – così ha scoperto la polizia, quello da 18 centimetri mancava nel ceppo – ed è partito. È sempre lì è tornato, in un moto circolare, a nascondersi nel retro di un cortile vicino a «casa» prima di consegnarsi ai poliziotti, fradicio, sporco di terra e di sangue. Un terrorista di quartiere, anche se non lo sentiva proprio. 
«Se lo conosco? No. Qui vanno e vengono ogni settimana, e io non parlo con gli arabi». Ma davanti al centro di accoglienza, un palazzo di cemento armato anni Sessanta che ospita 130 richiedenti asilo, un macedone dall’ottimo italiano, il sopracciglio tagliato a mo’ delle gang sudamericane, è l’unico che scambia due parole, sfidando gli ordini della security del silenzio assoluto. Nulla si può dire di un compagno di casa diventato assassino. 
Il giorno dopo l’arresto, il percorso di Issa al Hasan, siriano, 26 anni, da due in Germania, è ricostruito metro per metro sui siti dei giornali popolari. La via di fuga da Kirchplatz, dove ha ucciso 3 persone e ferito in modo grave altre 4, si ripercorre in 5 minuti. Lì, in un cestino del sottopasso di Amtstor ha abbandonato il coltello. E da qualche parte, più avanti, si è liberato della giacca a vento. È stato questo l’errore fatale, di poca lucidità, tanto quanto è stato implacabile e preciso nel mirare sempre al collo. Issa ha gettato via, con i vestiti, anche i documenti che teneva in tasca: il portafoglio, il permesso di soggiorno. E quindi, ritrovata la giacca, la polizia sapeva esattamente il nome e l’indirizzo di chi stava cercando. Un rifugiato di cui non serviva neppure l’identikit. 
L’errore 
Nelle tasche della giacca di cui si è disfatto ha lasciato il permesso di soggiorno 
La domanda, per tutti, è se Issa al Hasan fosse un affiliato dell’Isis, e da quando. O per essere più precisi, se quando nel 2022 è entrato in Europa fosse già radicalizzato, con un’oscura e omicida missione, e lo sia diventato in seguito. Della sua storia, prima del 2022, in Germania non c’è traccia, se non che è nato e che viveva a Deir ez-Ezzor. Ma quella, posta a est quasi di guardia sull’Eufrate, terra di pozzi petroliferi, di Islam sunnita e spirito anti-assadiano, non è una città qualunque. 
Hasan aveva 13 anni nel 2011, quando è iniziata la guerra in Siria. I combattimenti tra le milizie sunnite e il regime assadiano, a Deir ez-Ezzor, sono da subito feroci. Ma soprattutto Hasan ha 16 anni nel 2014, quando tutta la provincia cade in mano all’Isis. Resisterà per 3 anni, in un assedio degli islamisti che significherà fame, solo un piccolo fazzoletto di città attorno all’aeroporto. Se Hasan non ha vissuto proprio lì, allora – com’è più probabile – vuol dire che è diventato adolescente e poi adulto nelle Stato Islamico, in quel Califfato integralista che ha reintrodotto perfino la schiavitù. Quando nel 2017 i bombardamenti aerei di Assad e di Putin «liberano» la città, la lasciano definitivamente in macerie. Anche in questi mesi gli attentati kamikaze sono comuni. 
Le origini 
Nato a Deir-ez-Ezzor, città nemica di Assad, deve aver conosciuto affiliati dell’Isis 
Sul resto si può speculare. Certo, se da lì proviene, non sarà stato difficile per Issa aver conosciuto comandanti o affiliati dell’Isis, o entrare anche dopo l’arrivo in Germania in quella galassia che ora lo rivendica come un suo eroe. Anche se non è morto in missione – com’era d’obbligo per la generazione precedente —, senza il patentino di «martire». Ma oggi, evidentemente, basta uccidere perché l’Isis ti battezzi come proprio soldato. 
Issa dovrà ora incontrare i giudici di Karlsruhe, dove ha sede il tribunale federale che si occupa di terrorismo. Forse, come molti prima di lui, resterà zitto. Di lui ci sono tre fototessere, sempre con la barba corta, via via più asciutto. E l’immagine finale, stretto tra due super poliziotti tedeschi dal volto coperto, mentre lo portano sull’elicottero – destinazione carcere. Indossa panni puliti, jeans di due taglie più grandi e una maglietta blu, ha le manette e una catena ai piedi, è curiosamente scalzo. La mano sinistra è fasciata, qualcuno si sarà difeso e avrà combattuto mentre cercava di schivare i suoi colpi.