Il Messaggero, 25 agosto 2024
A Fregene non ci son più pescatori di telline
Il Villaggio senza pescatori. E a Ostia, turisti in calo. A Fregene lo storico borgo senza più i suoi protagonisti: nemmeno una barca per la pesca delle telline. Non era mai accaduto dal 1950. Un’estate anomala questa del 2024, anno bisestile e «funesto» per chi adora le telline. Le imbarcazioni non vanno più in mare a catturare i preziosi molluschi bivalve. Non che ne fossero rimasti tanti, però Mariano e Massimo Micco, più Antonio Tamburino, erano un nucleo significativo del Villaggio, seconda, anzi, terza generazione rassicurante per chi non riesce a immaginare quel borgo senza più attrezzi per la pesca, figuriamoci senza barche.«Mariano mi servono due chili di telline, dove ci vediamo?». E nel giro di poche ore la grande cena era fatta, come per Antonio o Massimo. Mentre ora invece è rimasto solo Paolo Gioia che non sta al Villaggio, è di Fregene ma ha la barca a Fiumicino. Nemmeno Tamburino esce più, anche se quando ci sono le telline con il rastrello cerca di prenderle per i clienti. Mentre Mariano e Massimo al momento hanno detto basta. «Era diventata un’attività molto complicata da gestire spiega Mariano Micco che aveva aperto una società con tanto di certificazione di qualità e di provenienza al momento abbiamo sospeso tutto e ho venduto anche la barca. Mi dispiace perché sono la terza generazione della famiglia ma non era più possibile andare avanti. Troppi cavilli burocratici e norme impossibile per gestire questo tipo di lavoro».Una tragedia per tanti, orfani delle telline del Villaggio, come di una lunga storia iniziata ancora prima di quell’insediamento nato tra Fregene e Maccarese. Perché la tellina è conosciuta da secoli lungo questo tratto di litorale. La prova è nella dissertazione tenuta all’Accademia Archeologica di Roma dove si legge come, il 18 aprile del 1595, Andrea Cesi vendette «per 2 mila scudi» al Cardinale Girolamo di Ciriaco la «Peschiera delle Telline» esistente sulla spiaggia della Cesolina, l’attuale Maccarese.E il Villaggio dei Pescatori, quando nasce a partire dai primi anni ’50, diventa subito l’erede di questa grande storia avviata dopo la guerra con l’arrivo da Minturno dei primi pescatori che cercavano di fare la stagione e tirare fuori qualche soldo per le famiglie. «Gente del sud, venuta alla spicciolata da Marina di Minturno, un villaggio perduto tra gli aranceti di Formia, sospinta a ondate in questa parte della campagna romana scriveva Mauro Accardo in una rivista locale nel 1971 L’istinto li ha guidati alla foce dell’Arrone; schivi, orgogliosi, indipendenti, marinai si son fatti muratori, carpentieri, per innalzare in riva al mare le loro casette abusive.Negli occhi neri hanno ancora la nostalgia della terra lontana, del fazzoletto di verde che hanno lasciato laggiù, dei vecchi che non son voluti venire, degli altri che son voluti restare a vivere i loro giorni poveri e tra gli aranci di Formia. Ora vivono qui del poco pescato perché solo le telline, si moltiplicano abbondantissime sotto la sabbia pulita di questo tratto di costa». Come Armando Micco, il padre di Mariano, nato nel 1944 tornato in fasce a Minturno, che già a nove anni si era fatto costruire da suo padre un piccolo rastrello per la raccolta delle telline. E che insieme al fratello e a un loro amico sbarcarono di notte da un gozzo a remi proprio sulla spiaggia di quello che sarebbe diventato il «loro» Villaggio. Insieme a dei paesani iniziarono a costruire delle capanne fatte di paglia di mare, quella che le onde lasciavano generosamente sulla riva dopo le mareggiate. I giacigli non erano altro che quattro pali conficcati nella sabbia dove poi veniva intessuta una sorta di rete con del filo metallico e dove veniva adagiata della semplice paglia.Armando è stato il presidente dei Pescatori del Villaggio, quando erano ancora tanti e ha insegnato al figlio il mestiere. «Ho imparato tutto da lui racconta Mariano ma purtroppo se ne è andato via troppo presto». Che sarà allora questo Villaggio senza più i pescatori? Un destino forse ineluttabile a pensarci bene, anche se la speranza, corsi e ricorsi storici, è l’ultima a morire.