Corriere della Sera, 25 agosto 2024
In morte di Ottaviano Del Turco, sindacalista
Se ne è andato nella sua Collelongo, a 79 anni, Ottaviano Del Turco, segretario generale aggiunto della Cgil di Luciano Lama al tempo dello scontro frontale tra socialisti e comunisti sulla scala mobile, ultimo segretario del Psi dopo la caduta di Bettino Craxi, ministro delle Finanze con Giuliano Amato, presidente dell’Antimafia, europarlamentare e, da ultimo, presidente di centrosinistra dell’Abruzzo. Ma non c’era più da un pezzo, atterrato dalla malattia che lo aveva aggredito (un nesso causale ovviamente non si può stabilire, ma il dubbio, o qualcosa di più, è assolutamente lecito) nel pieno di una spaventosa vicenda giudiziaria, iniziata all’alba del 14 luglio 2008, quando i carabinieri vennero a prenderlo a casa per condurlo nel carcere di Sulmona. Per i magistrati pescaresi Del Turco e gli altri imputati erano schiacciati sotto «una valanga di prove». Di lì a poco, avrebbero negato a Del Turco la libertà provvisoria, sostenendo che il suo «profilo delinquenziale non comune» lasciava chiaramente intendere che quei reati odiosi, fuori dal carcere, li avrebbe prontamente reiterati.
Non fummo in molti, anche tra noi giornalisti politici e sindacali che Ottaviano lo conoscevamo da una vita, a dichiararci pubblicamente allibiti e increduli di fronte a una simile rappresentazione del personaggio: chi scrive lo fece in prima pagina su questo giornale all’indomani dell’arresto, non se ne è mai pentito, e anzi, adesso che Del Turco non c’è più, si rimprovera semmai di essersi dissociato troppo timidamente dallo spirito del tempo. Quel che è peggio, non spesero una parola di solidarietà, e non manifestarono neanche un dubbio, né gli allora dirigenti del Partito democratico, al quale Ottaviano aveva aderito sin dalla fondazione, né quelli della Cgil, il sindacato in cui aveva militato dalla primissima giovinezza, e del quale, da leader della componente socialista, nell’ora più difficile aveva salvaguardato assieme a Lama l’unità.
Ricerche minuziose non trovarono traccia, né in Italia né fuori, dei tesori che secondo l’accusa avrebbe accumulato. Pezzo dopo pezzo, anno dopo anno, sentenza dopo sentenza, quasi tutto il castello delle accuse venne giù. Via l’associazione a delinquere. Via il falso. Via altri reati minori. Alla fine, nel 2017, quando Del Turco già faticava a comunicare con i suoi cari, la Cassazione confermò solo una condanna a tre anni per «induzione indebita». Calvario finalmente terminato? Nemmeno per idea. Di lì a poco il Senato provvide a togliergli anche il vitalizio di cui, si fa per dire, godeva, salvo poi ritornare sulla decisione, e restituirglielo. E anche in questa circostanza fu pressoché totale il silenzio di sinistra e sindacato, quasi che quella di Ottaviano non fosse stata la storia di un uomo della sinistra e del sindacato.
A questa sua storia, come tutte ricca di luci e di ombre, chi scrive avrebbe voluto dedicare queste meste righe di commiato. Alla sua storia politica nel Psi e nella Cgil, intendo, ma anche alle altre e non meno intense passioni di un socialista che, anche nei rampanti anni Ottanta, non rampava nemmeno un po’, e che, sebbene da sempre autonomista convinto, allo spirito della guerra civile a sinistra pacatamente si rifiutava. Al suo amore per la Lazio, pari a quello che io nutrivo e nutro per la Roma, e alle innumerevoli telefonate che mi infliggeva quando ai biancocelesti capitava di vincere un derby, per esempio. O, assai più, al suo amore per la pittura, che coltivava con serietà e dedizione, affidandosi agli insegnamenti di maestri importanti: mi è capitato solo con lui di raccogliere notizie per un articolo girovagando tra un corniciaio e una galleria d’arte. O al suo gusto per la battuta, in nome del quale per anni, a ogni riunione della segreteria della Cgil, chiese a Bruno Trentin, che si presentava sempre con il Financial Times bene in vista nella mazzetta dei giornali, se per piacere gli poteva passare la Gazzetta. O all’attaccamento alla sua Collelongo, i cui colori ha cercato di cogliere e di immortalare in tanti quadri che ha regalato agli amici: gli altri, per parlarti di politica, ti invitavano al Fogher o alla Rosetta, Del Turco nel paesello dove era nato in una famiglia poverissima, la domenica, davanti a piattoni di polenta, spuntature e salsicce.
Di questo e di tante altre cose che in queste ore mi sono tornate alla mente avrei voluto scrivere. Ma, pensando a cosa sono stati per Ottaviano Del Turco questi anni, mi è parso impossibile e, se mi è consentito, anche ingiusto.