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 2024  agosto 25 Domenica calendario

L’Isis rivendica l’attentato di Solingen

Solingen (Germania) - Sono le 20 di sera, quando le teste di cuoio tedesche fanno irruzione in un centro rifugiati a Solingen, a 300 metri dal centro della città. Lì li avrebbe guidati – se la ricostruzione è vera – il fiuto di un cane, quello che ha seguito le tracce di un coltello dal selciato insanguinato della piazza di Kirchhof fino alla «casa di accoglienza». La persona, vestita di nero, che la polizia scorta fuori e che ancora si può fotografare alla luce del sole calante, è «un» sospetto, un complice della mattanza di Solingen. Poco prima, l’Isis l’ha rivendicata con queste parole: «Una vendetta per i fratelli musulmani in Palestina e altrove». Passano ancora tre ore. E un uomo sporco di fango, bagnato dalla pioggia, sfinito, si consegna a una pattuglia che si avvicina: «Sono io l’uomo che cercate». Stavolta ci siamo: la caccia era davvero finita.
Siriano, 26 anni, Issa al H. è arrivato in Germania due anni fa. Gode, in quanto profugo da un Paese in guerra, di «protezione sussidiaria». Venerdì sera, gridando «Allahu Akbar» ha ucciso tre persone, ferendone altre quattro gravemente, mentre ascoltavano la musica del dj Topic, in centro, dietro la grande chiesa evangelica.
È stata una giornata lunga, disseminata di indizi e segretezza. Sono state due signore, probabilmente, i testi chiave. Durante il concerto in piazza, hanno sentito due ragazzi che alle loro spalle parlavano di piani d’attacco. «Ora li pugnalo tutti», ha detto il più grande al più piccolo. Quel volto – appena 15enne – dell’accompagnatore, immobile, che non ha reagito né fermato il compagno, le signore se lo sono bene impresse nella mente. E già la mattina, dopo la loro denuncia, la polizia era andata a prenderlo. Viveva in un centro rifugiati. Un fiancheggiatore dell’Isis o un testimone bambino.
Ora, nel centro di Solingen c’è un nastro rosso attorno al quadrilatero di Kirchplatz – da cui sono partite le tracce dei poliziotti – dove venerdì si celebrava la «festa della diversità» e i 650 anni della città delle lame. Per una feroce ironia, Solingen è la capitale delle fabbriche di coltelli, e la città del gerarca nazista Adolf Eichmann. Migliaia di immigrati: i primi negli anni Cinquanta erano italiani, gli ultimi in ordine d’arrivo i siriani. Vicino alla chiesa sulla piazza centrale, la gente porta candele, fiori, un orsacchiotto. «Warum?», perché, è scritto su due cartelli, mentre tre ragazzi bianchi con la chitarra intonano una nenia folk, «Wieviel mehr», quanti ancora?
Più in là, dove i negozi «di moda» si chiamano House of jeans e Diamanti, e di cool non hanno niente, alcuni ragazzi arabi lavorano al Golden meal: shawarma, riso al cardamomo, marmi neri e schermi tv giganti come a Ramallah. I camerieri sono siriani. «È stato tremendo la sera del concerto – dice Ahmed —, a noi fa male doppiamente». E spiega come qualcuno non abbia raccontato nulla ai bambini, perché i «coltelli e il sangue possono richiamare i traumi della guerra che abbiamo vissuto a casa». Sanno bene, questi siriani – tra i tanti finiti nella Ruhr operaia dopo che Merkel ha aperto i confini – che la loro cerchia sarà un’altra volta additata.
Di pari passo ai silenziosi omaggi in città – hanno ricordato le vittime andando sotto il palco del concerto, vestiti di nero, la ministra dell’Interno Nancy Faeser,il governatore Hendrik Wüst, il sindaco – sui social è partita la grancassa di fake news, accuse e politica, infinitamente più pervasiva del lutto di Solingen. Un account indiano ha dato su X il nome, puramente inventato, del killer che nessuno per venti ore ha pensato di togliere.
E a una settimana dal voto in Turingia, dove l’estrema destra per la prima volta in Germania potrebbe diventare primo partito (pur senza possibilità di allearsi con nessuno o di governare), l’Afd e la sua leader Alice Weidel hanno dal mattino dato lo spin alla notizia. «Espulsioni», la parola d’ordine. Un bersaglio fisso: Merkel, perché questo è – nella visione dell’Afd – il suo lascito. Björn Höcke, il leader della Turingia e l’anima più radicale del partito, ha incitato: «Tedeschi, volete veramente abituarvi a questo? Liberatevi, ponete fine alla follia della multiculturizzazione forzata. Votate il cambiamento!» L’ideologo degli identitari, l’austriaco Martin Sellner, ha dato l’ordine di parlare di «remigrazione».
Il cancelliere Olaf Scholz, che pure da tempo ha annunciato espulsioni di massa, promette fermezza: «Risponderemo con tutta la durezza della legge». Si guarda alla Turingia, ma si guarda anche oltre la Manica, all’Inghilterra dell’odio razziale e al mondo parallello che si è scatenato n a Southport e nei riots, nelle rivolte. Evitare la «variante inglese», la prima parola d’ordine della Germania.