Avvenire, 24 agosto 2024
Captagon, contrabbando e criptovalute in Iran
Potrebbe sembrare fantapolitica se si considerano l’inflazione galoppante, il buco di bilancio e la povertà endemica che regnano in Iran. Ma le turbolenze intestine e il malcontento sociale non impediscono alla nomenclatura persiana di dilapidare risorse in una geopolitica neoimperiale, pensata come rimedio al declino e all’isolamento internazionali. Glorie del passato, militarizzazione del regime e proiezione a 360 gradi sono gli ingredienti di una strategia esplosiva, messa in atto dal binomio Guida suprema-Guardiani della Rivoluzione. I soldi dicono tutto: il bilancio militare proietta l’Iran fra i 20-26 maggiori Paesi per investimenti bellici, con 10-20 miliardi dollari l’anno, fra fondi ufficiali e in nero. In pratica, il 4-6% della ricchezza nazionale foraggia forze armate pletoriche e un’industria della difesa rampante, eccellente nella missilistica e nella dronistica. La Marina bicefala, specie quella dei pasdaran, punta all’altura: coccola Khartum per strappare concessioni navali e tentare di accerchiare Israele anche dal mare, dopo aver delineato un corridoio terrestre dalla madrepatria al Mediterraneo. Progetti difficilmente realizzabili, se gli americani rimarranno in Siria e in Iraq, ma che la dicono lunga sulle manovre anti-israeliane di Teheran, che cooptano il Libano, la Palestina, il Golan siriano, la retrovia irachena e lo Yemen in un disegno di strangolamento più o meno eterodiretto dalla forza Qods dei pasdaran, il braccio per le operazioni clandestine all’estero, che si foraggia con i traffici di petrolio, i circuiti delle criptovalute, le banche che fanno capo al conglomerato Sepah e il terribile stupefacente Captagon. Nel solo 2016, i pasdaran hanno alimentato l’asse della resistenza con 60 miliardi di dollari (stime statunitensi). Hanno capacita di spesa, perché hanno in pugno il 20-40% del Pil persiano. La loro componente aerea coordina fra gli altri il conglomerato dell’aerospazio Aio, sancta sanctorum dei missili nazionali. I tremila vettori terra-terra e le ricerche sulla precisione terminale hanno eletto l’Iran al rango di potenza aerobalistica, temuta e rispettata. Lo provano le pressioni multilaterali dell’ultimo mese per scongiurarne una rappresaglia missilistica diretta contro Israele, che sarebbe la seconda del 2024. Dai centri di ricerca e sviluppo dei pasdaran escono pure i droni, armi speciali delle guerre dei proxy contro Israele, della Russia contro l’Ucraina, del Sudan contro le forze di supporto rapido, ma apprezzati da molti altri clienti, a partire dal Venezuela. I pasdaran sentono che la deterrenza convenzionale non protegge più dalle incursioni israeliane (Aprile insegna) e insistono nelle ricerche spaziali, nella precisione dei vettori, nel concetto degli inneschi ad alto potenziale e nelle tecnologie a sub-munizioni. Perché tutto porta al pomo della discordia: le ricerche nucleari del paese, ritenute dai falchi unica garanzia di sopravvivenza del regime, argine a un attacco massiccio dell’asse israeloamericano. C’è un dibattitto accesso in Iran, fra le elite e i circoli dirigenziali. E alcune voci premono insistentemente perché si riconsideri il decreto religioso che vieta al paese di incamminarsi verso il precipizio della bomba atomica. Fra misteri e manovre occulte, le ricerche vanno avanti e crescono pure le scorte di uranio arricchito.