il Fatto Quotidiano, 24 agosto 2024
Da Dybala a Brando, i rifiuti eclatanti
Certo, Paulo Dybala non è Giulio Cesare che rifiutò per tre volte la corona di re di Roma offerta da Marco Antonio, però il suo no ai 75 milioni di euro dell’Al-Qadsiah, squadra neopromossa nella massima divisione araba, ha suscitato l’entusiasmo e il rispetto dei tifosi che lo hanno già eletto “re di Roma”, o meglio, “re della Roma”. Pare che la sofferta decisione sia frutto di Oriana Sabatini, sposata il 20 luglio scorso, nota cantante, modella e attrice argentina di 28 anni, refrattaria alla prospettiva assai poco allettante di vivere tre anni in un ghetto, sia pure di lusso, in Arabia Saudita, con la paura di violare le numerose regole e leggi che limitano le attività in pubblico delle donne, e soprattutto non disposta a sacrificare le proprie opportunità professionali; quanto a quelle del calciatore Dybala, ci ha pensato mamma Alicia: “Tutti quei milioni non valgono il tuo futuro”. Etica e pragmatismo.
E poi, Dybala non è stato il solo né il primo a respingere tali profferte. Francesco Totti, fedelissimo alla maglia giallorossa, si tappò le orecchie e non sentì le sirene miliardarie del Real Madrid e del Milan di Berlusconi (in quel periodo, Silvio offrì pure 9 miliardi di lire ad Alba Parietti e lei li rifiutò…). Irremovibile fu Gigi Riva, che rimase al Cagliari, perché vi trovò pace interiore, meglio dei soldi. Chiedere a Domenico Berardi che non lo sradichi dalla provincia, grassa quanta vuoi, di Sassuolo. Idem Totò Di Natale, centravanti che faceva grappolate di gol con l’Udinese. Il suo procuratore aveva già l’accordo con la Juventus, lui andò da Pozzo, il patron della squadra friulana, e gli disse che intendeva restare: “Sono felice qui e sono contento di avere avviato una gelateria”. Umberto Agnelli aveva tentato di comprare Pelé nel 1961, ’O Rey rinunciò al miliardo offerto: “Il Santos è la mia casa”. Per descrivere Cristiano Lucarelli, il bomber del Livorno, giocatore e tifoso, c’è un libro intitolato significativamente Tenetevi il miliardo. Preferì giocare in B, a stipendio dimezzato, perché “ci sono giocatori che comprano la Ferrari, la villa al mare, lo yacht. Io compro la maglia del mio Livorno”.
Nella vita dire no spesso è difficile. Dirlo al comitato dei Nobel è un avvenimento clamoroso. E polemico. Nel 1964, Jean-Paul Sartre rifiutò il premio perché non voleva sentirsi “imbalsamato”, oggetto di un “prematuro collocamento in una nicchia del Pantheon letterario”. Nel 1925, George Bernard Shaw, graffiante drammaturgo britannico, fu lapidario: “Posso perdonare Alfred Nobel per aver inventato la dinamite, ma solo un demone dalle sembianze umane può aver inventato il premio Nobel”. La scrittrice austriaca Elfriede Jelinek, premiata nel 2004, rimase “esterrefatta” per il riconoscimento che riteneva ingiusto, “lo merita più di me Peter Handke”. Non andò alla cerimonia, ma spedì un video (“In disparte”): denunciava, dalla sua casa di Vienna, l’alienazione e l’isolamento degli scrittori di oggi. Ben più imbarazzante fu il caso di Boris Pasternak, autore del Dottor Zivago. Premiato nel 1958, comunicò che era “immensamente grato, commosso, orgoglioso, meravigliato, confuso”. Ma in Urss fu accusato di tradimento, e il Kgb lo minacciò. Il suo sì divenne un no con il kalashnikhov puntato alla schiena.
Altri no che catturarono l’opinione pubblica furono quelli delle star che rifiutarono l’Oscar. Marlon Brando ne guadagnò uno nel 1973 per il Padrino. Mandò alla cerimonia Sacheen Littlefeather, come protesta per l’ingiusto trattamento riservato ai nativi americani da Hollywood. Paul Newman snobbò l’Oscar per il Colore dei soldi: “È come dare la caccia a una bella donna per 80 anni. Alla fine lei accetta, ma tu dici: mi spiace, sono stanco…”. Anche nel mondo della musica, fioccano spesso e volentieri i no. Colui che ne racimolò più di tutti fu Trump, quando era presidente: gli voltarono le spalle i Rolling Stones, Adele, Bruce Springsteen, Celine Dion, i Rem, Neil Young, i Coldplay. Come fece Megan Rapinoe, la capitana della Nazionale Usa di calcio: dopo aver vinto il Mondiale del 2019, non volle andare alla Casa Bianca: “Ci vuole esibire come trofeo”. Più in piccolo, anche Elio e le Storie Tese non accettarono l’Ambrogino d’Oro di Milano perché non era stato assegnato a Enzo Biagi e perché la giunta di destra rifiutava la cittadinanza onoraria a Roberto Saviano. Era l’anno di (mala)grazia 2008. Nulla, comunque, in confronto agli eroici no dei dodici professori universitari (su 1.225) che rifiutarono il giuramento fascista pur sapendo che sarebbero stati cacciati. Nove di loro erano piemontesi, cinque ebrei.