La Stampa, 24 agosto 2024
L’anniversario della morte di Prigozhin in Russia
Bandiere con aquile e teschi, ma anche con falce e martello, icone e mimetiche, corone di rose rosse e ceri accedi, e confezioni di bottigliette di acqua minerale e cioccolatini per un festino nell’aldilà. Nell’anniversario dell’esplosione del suo aereo, a metà strada tra Mosca e Pietroburgo, Evgeny Prigozhin rimane una leggenda inquietante, e un popolo eterogeneo di reduci (autentici o finti), ragazzi e signore di mezza età si alternano per tutto il giorno davanti al memoriale improvvisato dei Wagner sulla Varvarka, nel pieno centro di Mosca, a due passi dalla piazza Rossa. Lo piangono e lo cantano, lo compatiscono e lo invocano, in una sorta di culto militarista-mistico, e nessuno li ferma o li caccia, come avveniva invece regolarmente con l’altarino nato spontaneamente sul luogo dell’omicidio di Boris Nemtsov, poco lontano, all’imbocco del ponte, o con chi manifestava contro l’invasione dell’Ucraina alla vicina pietra Solovetsky, il monumento alle vittime del Gulag. Vivo o morto (in rete continuano a girare fake news sugli avvistamenti di Prigozhin in Africa o nel Venezuela), ucciso da un incidente o da una bomba piazzata per ordine di Putin, il capo della Wagner rimane in Russia un personaggio nello stesso tempo innominabile e intoccabile, e il suo tentativo di golpe del giugno scorso resta finora il momento più difficile vissuto da Putin nel quarto di secolo al Cremlino.Del suo impero non rimane più niente. Le proprietà – negozi, ristoranti e alberghi di lusso, complessi residenziali dai nomi pomposi come “Versailles del Nord”, la società Concord, un tempo monopolista nella fornitura di mense scolastiche e militari – sono state spartite tra l’ex moglie e i due figli. La dacia sul Mar Nero, l’elicottero e lo yacht sono stati messi in vendita. La “fabbrica dei troll” che produceva e diffondeva fake news in mezzo mondo sembra essere passata sotto il controllo del Cremlino. E la Wagner, l’esercito dei mercenari che contava 50 mila uomini, oggi vanta, secondo lo spionaggio britannico, appena un decimo di soldati, prevalentemente in Africa, nei feudi che il “cuoco di Putin” si era creato mentre organizzava golpe per le clientele del Cremlino. Chi temeva che la Wagner, sia pure decapitata, sarebbe rimasta una sorta di ordine segreto che brama vendetta contro Putin, sembra essere rimasto deluso: organizzatore brillante, Prigozhin però non era uno stratega, e dopo il fallimento del suo golpe, ardito quanto goffo, il suo impero fondato esclusivamente sui suoi agganci a corte di è sgretolato.Eppure, oggi sembra tornare vincitore, e non soltanto perché la sua nemesi, l’ex ministro della difesa Sergey Shoigu, è stato allontanato, e i suoi generali stanno finendo dietro le sbarre uno dopo l’altro. La sua leggenda – inclusa la parte che lo vuole vivo, e nascosto – viene definita dall’ antropologa Alessandra Arkhipova come erede della antica tradizione russa dell’eroe che ha sfidato lo zar, e non a caso il nome di Prigozhin viene spesso menzionato in questi giorni dai blogger ultranazionalisti, convinti che ci sarebbe voluto il padrone dei Wagner a fermare l’avanzata degli ucraini a Kursk. Quando, un anno fa, Putin raccontava con evidente compiacimento come l’aereo del suo “cuoco” fosse esploso dopo una probabile lite a mano armata a bordo, molti avevano correttamente letto questa ipotesi assurda come un monito del dittatore ai suoi cortigiani a non osare nemmeno sognare di ribellarsi. Oggi, l’essersi presentato come unico e indiscutibile centro di potere in Russia, gli di sta ritorcendo contro, in uno spettacolo di indecisione e vulnerabilità che a questo punto non si possono scaricare su nessuno.O forse, Prigozhin rimane nella mitologia della Russia contemporanea perché ne ha incarnato molti tratti. È stato lui a inventare, brevettare o almeno sdoganare molti fenomeni caratteristici del putinismo. È stata la sua fabbrica del troll a inquinare internet in quella che probabilmente era stata la prima campagna di fake news organizzata della storia della Rete. È stato il suo esercito di mercenari ad avviare l’infiltrazione russa in Africa, Sudamerica e Medio Oriente. È stato Prigozhin, l’uomo che girava video dei suoi nemici mentre li ammazzava a martellate o li decapitava, a togliere al putinismo i sensi di colpa, portando l’estetica della sua violenza a vette cannibalesche. È stato il “cuoco di Putin” a far emergere la criminalità, come mentalità e come organizzazione, come componente ufficiale del regime russo, utilizzando i suoi trascorsi da galeotto per reclutare killer e rapinatori al fronte. È stato lui infine a consolidare la fusione definitiva tra Stato e privato, in un trionfo senza pudori della corruzione e del favoritismo. E a mostrare, durante la sua marcia su Mosca, quanto un regime del genere fosse alla fine fragile.