la Repubblica, 24 agosto 2024
Leni Riefenstahl inventò le fake news
A Venezia, fuori concorso, ci sarà un documentario di Andres Veiel intitolato semplicemente Riefenstahl: Leni Riefenstahl, la regista del Trionfo della volontà e di Olympia, i due celeberrimi e maledetti film di propaganda nazista girati negli anni Trenta. Roba vecchia, direte. Certo, è passato quasi un secolo. E il nazismo è morto e sepolto, no? Invece no. Ha ragione la produttrice del film Sandra Maischberger, quando dichiara che il film «arriva in un momento in cui non solo i modelli fascisti sono diventati nuovamente attuali ma persino socialmente accettabili. Ci troviamo ogni giorno di fronte a propaganda, distorsione, fake news. La guerra e il totalitarismo nelle immediate vicinanze ci minacciano. La storia centenaria della vita e dell’impatto di Leni Riefenstahl è una chiave per comprendere i meccanismi di manipolazione come li stiamo incontrando nuovamente oggi». La parola chiave è fake news: la palude nella quale ci dibattiamo ogni giorno. E a questo scopo può essere utile ricordare un paio di coincidenze. La prima: nei giorni della Mostra di Venezia ricorrerà il 90esimo anniversario del raduno nazista di Norimberga che si svolse dal 4 al 10 settembre del 1934. È l’evento che Riefenstahl ha documentato in Il trionfo della volontà. La seconda: sono appena finite le Olimpiadi di Parigi e gli strumenti retorici con le quali sono state raccontate vengono, che ci crediate o no, dritti da Olympia, il film di Riefenstahl sulle Olimpiadi di Berlino 1936. Non ci riferiamo alle fake news che sono circolate a decine, dal sesso della pugile algerina Imane Khelif alla postura del tiratore turco Yusuf Dikeç; ma possiamo partire, sì, da una fake news che in Italia ha impazzato, la polemica sulla cerimonia supervisionata da Thomas Jolly. Molti, dal Vaticano in giù, si sono indignati per la citazione dell’Ultima cena, ignorando che i riferimenti erano invece a Dioniso e agli dei greci (Olimpo, Olimpiade…). E chi è stata, nelle arti visive, la prima ad avere questa idea? Sì, avete indovinato: è stata Leni Riefenstahl. Nelle sequenze iniziali di Olympia la macchina da presa si muove fra rovine di templi greci, poi inquadra statue che si animano e diventano atleti moderni. Poi, dopo una decina di minuti, si mette in scena il rituale della torcia olimpica, con i vari tedofori. Pochi ricordano che il viaggio della fiaccola fu inventato proprio per Berlino 1936, prima non esisteva. Lungo tutto il film Riefenstahl inventa soluzioni tecniche, artifici retorici e narrazioni mitopoietiche che funzionano ancora oggi: qualunque regista tv che inquadri una gara di atletica sta citando Olympia, anche se non lo sa. Leni Riefenstahl ha trasformato lo sport in mitologia e ha reso glamour il nazismo grazie allo straordinario apparato coreografico di Il trionfo della volontà. Ha creato un paradosso: il documentario bugiardo, che parte dalla realtà per deformarla. Ha fatto lo stesso con la propria vita: come documenta perfettamente il film di Veiel e Maischberger, Riefenstahl ha costruito dal 1945 una autobiografia parallela e leggendaria in cui lei, del nazismo, nemmeno si era accorta! Nel suo libro Stretta nel tempo (pubblicato da Bompiani nel 2000) non nega i rapporti con Hitler e con gli altri caporioni nazisti, ma li piega al proprio gioco. Hitler, con lei, era affascinante e generoso: le affidò le chiavi del cinema del Reich, e tutti dobbiamo ammettere che ebbe un’intuizione notevole, perché quando la incaricò di girare Il trionfo della volontà lei aveva poco più di trent’anni e non era una regista, bensì un’attrice di buon talento e di media popolarità. Pagine e pagine del libro sono dedicate a narrare il “disgusto” che invece le provocava Goebbels. Lo conobbe dopo essere stata invitata a una festa dalla moglie di lui, Magda (notate la finezza nel tirare in ballo la consorte): lui cominciò a perseguitarla e Leni, giura, lo cacciò in malo modo dal suo appartamento in cui si era intrufolato: «“Se ne vada, dottore, lei è pazzo!”. Non mi perdonò mai questa umiliazione». Naturalmente il problema non è, non è mai stato, se Leni Riefenstahl sia stata o meno amante di Hitler, o di Goebbels, o di qualcun altro. I problemi sono altri. Il primo è saper discernere, nelle narrazioni cinematografiche o televisive, il vero dal falso, l’intelligenza artificiale dalla stupidità naturale. Il secondo è essere coscienti che le vite, anche le vite degli artisti, sono piene di ambiguità e le bugie “creative” possono nascondere trabocchetti. Se Federico Fellini ci racconta di essere scappato di casa con un circo, da bambino (non è vero), in fondo non succede nulla. Se Leni Riefenstahl ricostruisce la propria vita all’insegna del negazionismo sul nazismo è molto più grave. I suoi film restano artisticamente magnifici, ma ammirarli è anche un modo di ammirare l’abisso.