la Repubblica, 24 agosto 2024
Quelle dispute sui simboli dei partiti finite in tribunale
Il simbolo di norma è qualcosa che ne indica un’altra. Ma nel caso dei cinque stelle sia l’una che l’altra cosa si sono perse nel nulla e la “V” che nell’emblema richiamava in rosso la Vendetta dell’omonimo film e il Vaffanculo del populismo in erba, beh, indica oggi la più beffarda dissoluzione.Forse non tutti sanno che l’avvocato Lorenzo Borrè, da anni alle prese con la titolarità dello stemma grillino, è un grande scalatore; ma a confronto di ciò che l’aspetta nei prossimi mesi le vette di 6000 metri conquistate in Bolivia sono quel che si dice a Roma “una puzzetta”.Doppie e triple associazioni, omonimie, sentenze incompiute, perizie contraddittorie, atti notarili veri e presunti, statuti dormienti e stravolti, espulsioni contestate, scissioni in itinere, oltre a una tale caterva di delusioni, risentimenti e umane follie da evocare un pastrocchio, un veneficio e un’esplosione solforosa – e guarda un po’ contro chi si è ritorta quella baldanzosa “V”!Quando si litiga sul simbolo in genere vuol dire che un’esperienza politica si è esaurita. In questo senso la storia aiuta, ma poiché i simboli deperiscono in un tempo variabile, ecco che la medesima storia abbaglia, distrae e moltiplica gli equivoci fin quando non sopraggiungono la noia, l’indifferenza, il nulla – e dalle parti dell’Elevato e di Mister Giuseppi ci siamo già abbastanza vicini.Ma intanto vale forse la pena di ricordare che nella Repubblica dei partiti i simboli agivano, come per magia, dall’alto e insieme dal basso; così Togliatti fece sistemare la falce e martello e il sottostante tricolore da Luchino Visconti, Almirante in persona disegnò la fiamma, così come ai congressi della Dc, mentrein platea e nei corridoi accadeva di tutto, era visibile un misterioso personaggio con un berretto d’alpino in testa che per ore e ore reggeva lo stendardo con lo scudo crociato.Durò, come parecchie altre cose, fino a Craxi che nel 1978 impose il garofano con un’operazione di marketing. Spesso nelle parole s’annida il segreto, per cui si inaugurava la stagione dei marchi.“Il simbolo identifica – spiega con pazienza Gabriele Maestri, pontefice massimo della materia – il marchio distingue”. Il potere diquest’ultimo è assai minore, nessuno è mai morto per un marchio, e anche la sua durata è più corta.L’emblema di Forza Italia era talmente un marchio che Sgarbi lo paragonò a quello di un olio per automobili. Anche l’Ulivo comunque era un marchio, e poi lo stemma del Pdl, del Pd e di tante altre creazioni. Un ibrido o forse un anello di congiunzione può considerarsi l’Alberto da Giussano con lo spadone della Lega: era un personaggio di fantasia cui Bossi si era ispirato, in effetti, ma anche il marchio delle bici Legnano.Per una ventina d’anni, a cavallo del secolo, la grafica mercenaria e secolarizzata si sbizzarrì mentre un’umanità residuale e sempre più bizzarra si accaniva sforzandosi di rimpicciolire e/o riesumare scudi crociati, falci, martelli e fiammelle come pure dando vita a emblemi che stilizzavano piante e animali che sembravano usciti da qualche cartone animato. In tale temperie, tanto miserella quanto estetizzante, negli anni 10 si offrirono in visione al rabbioso pubblico dell’antipolitica le cinque stelle con sottaciuta titolarità politica, legale, un po’ culturale ma anche, come si sta vedendo, di senso.Alle scorse europee Cateno De Luca ha portato a compimento il processo dell’insignificanza simbolica comprendendo sulla scheda una ventina di marchi in un unico cerchio di 3 centimetri di diametro, “effetto carambola e palla di neve – sospira Maestri – con lente di ingrandimento”.Nel frattempo il nichilismo arrideva agli attaccabrighe della post-politica, gli avvocati si fregavano le mani, i tribunali si intasavano, i giudici levavano le braccia al cielo e i giornalisti, anche i più appassionati e perversi, è da un po’ che continuano a chiedersi se davvero ne vale la pena.