la Repubblica, 24 agosto 2024
La Kamala Night è un party
Chicago – La lunga notte dell’orgoglio democratico che ha ufficialmente incoronato Kamala Harris frontrunner democratica della corsa alla Casa Bianca non poteva avere colonna sonora migliore: dalla vecchia hit soul di Kool and The Gang, “Celebrate good times, come on” a “Don’t believe me, just watch” nella versione di Bruno Mars e Mark Ronson, da “Born in the Usa” di Bruce Springsteen all’inno interpretato a cappella dalleil mitico trio country femminile la cui lunga storia di impegno politico ha procurato molti guai: boicottate e perfino minacciate dagli amanti di un genere tradizionalmente conservatore.Che ritmo, ragazzi. Giovedì sera a Chicago è stato davvero impossibile restare seduti in poltrona. L’intera arena dell’United Center ha ballato e ballato e ballato. Un vero happening musicale, inframmezzato dagli interventi politici di icone come la senatrice del Massachussetts Elizabeth Warren (in lacrime, emozionatissima dalla standing ovation riservatagli dal popolo dem, lungo quasi quanto quello dedicato a Michelle Obama), il reverendo afroamericano Al Sharpton, che ha concluso gridando «gioia, gioia, gioia» (insieme a freedom nuova parola d’ordine dei dem).E poi l’intervento, pronunciatoa fatica da Gabby Giffords, la deputata dell’Arizona che nel 2010 fu vittima di un attentato che ha duramente compromesso la sua capacità di parlare. E subito dopo suo marito, l’ex astronauta Mark Kelly,senatore dell’Arizona.Quando però sul palco salgono quattro dei cosiddetti Central Park 5,un brivido attraversa la sala: “Free at last”, liberi finalmente, grida la folla, citando il finale del discorso del sogno di Martin Luther King. Sono i ragazzini afroamericani che 36 anni fa vennero accusati di aver stuprato e ridotto in fin di vita a suon di botte una jogger a Central Park: alla loro storia, Netflix ha recentemente dedicato anche una serie tv, “When they see us”. Nonostante fossero evidentemente innocenti e di età comprese fra i 12 e i 16 anni, all’epoca Donald Trump spese addirittura 85mila dollari per acquistare una pagina del Daily News chiedendo per loro addirittura la pena di morte (che nello stato di New York già non c’era più): «Liberiamoci di quell’uomo cattivo», dice ora uno di loro, Yuseff Salaam, recentemente eletto a rappresentare il distretto di Harlem.Tocca invece a un’attrice amatissima, Kerry Washington, la fantastica Olivia Pope di “Scandal”, dare l’ennesima stoccata a Donald Trump: chiama due bimbe sul palco, nipotine di Harris. Gli chiede di spiegare a tutti come pronunciare il nome della zia. “Comma” – come virgola in inglese. E poi “La”, come una nota musicale. Chiede a tutti di partecipare a un gioco: «Voi, nella tribuna a destra, Comma», e voi nelle poltrone a sinistra, La. E poi, tutti in coro: «COMMA-LAAAAA».Dopo di lei, l’ex “Casalinga Disperata” Eva Longoria, si rivolge invece ai latinos: «Sì, se puede» dice spagnolizzando l’iconico “Yes, we can” di Barack Obama.Finché l’intero palasport si tinge di rosa: è il momento di Pink,la popstar di Philadelphia che intona la sua hit più celebre, “What about Us” (mai un titolo a caso!). Come la pensa, d’altronde è ben noto: a proposito d’aborto, tempo fa, ha scritto sui social che chi non era d’accordo con la libertà di scelta «smetta di seguirmi immediatamente». Poi, quando la fibrillazione è alle stelle e l’attesa non potrebbe essere più alta: arriva lei, Kamala. Qualcuno si aspettava Beyonce, ma basta e avanza così.