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 2024  agosto 24 Sabato calendario

Intervista a Fabrizio Zampetti, agente immobiliare

Fabrizio Zampetti, romano, 52 anni, inventore della «non agenzia immobiliare». Si sentiva la mancanza di un’idea del genere?

«Abbiamo fatto un sondaggio, la gente intervistata mi vedeva più come un personaggio che come un agente immobiliare. Così abbiamo deciso di chiamare la mia attività “La prima non agenzia”».

Perché ha fatto un sondaggio su sé stesso?

«Stavamo lavorando al docu-film che racconta la mia vita. Il titolo è Nulla accade per caso: la storia di un bambino con poche possibilità che ce la fa».

È balzato agli onori della cronaca per aver venduto un bilocale di 70 mq a 1 milione e 630 mila euro. Un eccesso molto criticato.

«Per quell’immobile ho ricevuto più di 18 chiamate. Era un “pezzo” a suo modo unico. L’ha preso una persona che cercava qualcosa di speciale. A volte ci sono case che non toccano la razionalità, ma l’emotività delle persone, in cui la desiderabilità prevale su tutto».

Cosa aveva di così speciale?

«Era una casa molto prestigiosa in Corso Magenta, con accessori e rifiniture molto importanti».

Prezzo da capogiro: 21.733 euro al metro quadrato. Non si sente in parte responsabile della bolla immobiliare che sta attraversando Milano?

«A Milano non c’è alcuna bolla: i prezzi della prima cerchia si sono assestati intorno ai 10 mila euro al metro quadro. In linea con città come Parigi, Londra e Tokyo. Città alle quali Milano aspira a somigliare. Ai miei dipendenti dico: “Non andate dietro al cliente da un punto di vista logico”. Dopo il Covid le uniche case che interessavano erano quelle con il terrazzo: gli american oriented vogliono il Bosco Verticale».

La sua casa dell’infanzia.

«Piccola e in una zona brutta. Io e mia sorella dividevamo una stanza minuscola con un letto a castello. Non capivo perché dovessi vivere in quel modo: i miei compagni avevano una casa più dignitosa».

Si vergognava?

«Sì, non invitavo nessuno. A casa avevamo problemi economici e non solo: mio padre lavorava al supermercato Metro ma alle 14 spesso lo mandavano a casa perché avendo problemi di alcolismo era già ubriaco. Mia madre aveva una tappezzeria. Tirava avanti, gestendo i problemi di mio padre: noi figli venivamo dopo».

Una storia di riscatto.

«Mio padre non era violento, ma non potevamo contare su di lui: i momenti peggiori erano quando uscivamo a cena per andare a trovare dei parenti e tornavamo in auto. La macchina andava di qua e di là. La notte era complicata: insultava mia madre e non capivo il perché di quelle parolacce a una donna. Forse è per questo che la mia agenzia è quasi tutta femminile».

La sua casa di oggi.

«In Brera, grande 350 mq, con un piccolo terrazzo. Un palazzo d’epoca, con i soffitti alti: della luce non mi importa granché, di giorno lavoro fuori casa, di sera la luce non c’è. E ceno sempre al ristorante».

Ha fatto del personal branding la sua cifra: il suo volto si vede sui tram milanesi. Egocentrismo o marketing?

«Prima del docu-film ho detto di no a tante trasmissioni televisive. Non è fondamentale per noi apparire, ma essere “visibili” su Milano è importante. Siamo un fenomeno da passaparola».

Un cliente chiama l’altro?

«Ho 18 mila biglietti da visita accumulati negli anni perché sono interessato alle persone, di tutti i tipi. E le più insospettabili sono quelle che possono darti una chance».

Ma nel docu-film – una agiografia dei suoi momenti di gloria – ci sono solo testimonianze di gente famosa.

«Francesca Calissoni Bulgari, Federica Formilli Fendi, Alessandro Feroldi: clienti come altri. Ho trovato casa anche a Lupo Rattazzi e Bobo Vieri. Ma il contatto giusto te lo procura l’autista, il portinaio, il fruttivendolo della persona importante. Persone di fiducia. Senza di loro a certi livelli non arrivi».

Ha trovato la casa a Stefano De Martino. Ora che è il golden-boy della tv italiana cercherà una nuova casa?

«Gli ho già trovato quella giusta. Un appartamento in zona piazza Castello. Cercava qualcosa di adatto per stare insieme al figlio Santiago: mi ha ringraziato scrivendomi una nota in cui diceva che ha trovato quello che cercava in un solo giorno».

E ad Eros Ramazzotti.

«Una casa in zona Magenta, molto elegante, soffitti alti. Una casa di grande rappresentanza, niente di rock...».

Il cliente che le ha cambiato la carriera. E la vita.

«Ho preso un filone legato al mondo degli avvocati: è partito un tam tam negli studi legali. Ma la svolta è stata la vendita della casa di uno stilista. Con quella provvigione ho cambiato vita e guardaroba: ritengo fondamentale presentarsi vestiti bene».

Si è definito un novello Clark Gable.

«Qualcuno ha da ridire e mi chiama Arlecchino. Ho un approccio estetico alla vita: il bello porta ordine, equilibrio. Anche quando non avevo soldi indossavo sempre un doppiopetto blu, che rinfrescavo con accessori o pantaloni di colore diverso. Sei pezzi al massimo che giravano».

Ha sempre saputo che avrebbe venduto case?

«Sono diplomato in ragioneria, bocciato due volte. Ho fatto il barista e ho aperto un negozio di abbigliamento a Como, dove mi sono trasferito a 20 anni, dopo il mio primo matrimonio. La mia ex moglie oggi lavora in agenzia».

Avrebbe avuto lo stesso successo se la sua agenzia non fosse stata a Milano?

«Milano è stata decisiva perché è meritocratica. La differenza credo che l’abbia fatta molto il mio modo di vestire: colli della camicia altissimi, doppiopetto, pantalone fascia alta e abbottonatura laterale. Rifuggo il modello scarpa a punta e cravattona di alcuni colleghi. Anche in questo ho preso le distanze da quelli che hanno sporcato il settore».

Una sòla l’ha affibbiata?

«Sono cresciuto tra i problemi: oggi non ne voglio mezzo, soprattutto con i clienti».

Quando diffidare di una casa?

«Se viene descritta con aggettivi non chiari, tipo “soluzione particolare”. Oppure quando non vogliono dare i documenti, è da troppo tempo sul mercato o ce l’hanno troppe agenzie».

Esiste ancora la micro-casa alla Renato Pozzetto nel Ragazzo di Campagna?

«A Milano si vende tutto, è un polo di attrazione incredibile: è una città ricca e al centro dell’interesse degli stranieri o dei cervelli di rientro».

La via più cara di Milano.

«Via Fratelli Gabba. E non c’è più nulla in vendita. Ma io, ad esempio, non ci abiterei».

Cosa pensa del quartiere gentrificato, ovvero in via di riqualificazione?

«Non sono veri affari: sui Navigli è stato fatto il Bosco Naviglio, i primi piani vanno a 9 mila euro al mq. Non ci vedo alcuna occasione. E preferisco quartieri dove non metto in pericolo la sicurezza di mia moglie e mio figlio di 9 anni».

Quando una casa a Milano è da ritenere un affare?

«Se in una zona prossima al centro si trova qualcosa a 6-7 mila euro al metro quadrato».

La presidente della commissione europea Ursula von der Leyen ha promesso un commissario Ue per affrontare la crisi degli alloggi. Non pensa di andare nella direzione contraria?

«Ho anche una seconda linea dove vendo immobili più abbordabili. Non ho alcuna autorità per far approvare leggi sulla casa, ma credo che il concetto di estetica si possa applicare anche all’edilizia popolare: l’incuria è l’altra faccia del problema».

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