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 2024  agosto 24 Sabato calendario

«Ho ucciso quattro anziani, aiutatemi a non farlo più»

«Ho ucciso quattro anziani che accudivo. Fermatemi, aiutatemi a non farlo di nuovo». Le parole pronunciate davanti ai carabinieri e al pubblico ministero sono state come una doccia gelata. L’uomo, Mario Eutizia, ha 48 anni e, insieme ai suoi avvocati Antonio Daniele e Gennaro Romano, si è presentato giovedì ai carabinieri di Caserta affermando di essere il responsabile della morte di quattro anziani di cui si occupava come badante a domicilio.
Napoletano, originario della zona della zona della Maddalena, nel cuore del centro storico, da tempo bazzicava la zona di Caserta. Non ha un domicilio conosciuto, Eutizia. Si «arrangiava» con l’ospitalità. Quando ha scelto di consegnarsi alle forze dell’ordine, l’ha fatto per sgravarsi da un peso, così ha detto. Quegli anziani erano tutti pazienti oncologici o affetti da grave demenza senile e l’uomo avrebbe arbitrariamente aumentato il dosaggio dei farmaci antitumorali prescritti, oltre a sedativi e antidolorifici con conseguenze letali. Il suo racconto è pacato, lucido. L’idea è che quella richiesta di aiuto sia veritiera. Quattro delle persone che accudiva, quattro morti registrate come decessi ordinari, adesso sono finite in un fascicolo che parla di omicidi premeditati. Eutizia è stato trasferito nel carcere Francesco Uccella di Santa Maria Capua Vetere ed è ora a disposizione dell’autorità giudiziaria che ha disposto i primi riscontri alle sue dichiarazioni.
Quei casi, quelle vittime, hanno dei nomi, ma non ancora tutte. L’ultimo delitto, in ordine di tempo, sarebbe avvenuto il 4 marzo scorso a Vibonati, nel Cilento. La vittima si chiamava Gerardo Chintemi e aveva 95 anni. Al dicembre 2023 risale invece la morte a Casoria, in provincia di Napoli, di Luigi Di Marzo, 88 anni. Eutizia ha ammesso di aver ucciso Chintemi il 4 marzo del 2024. In quella casa era stato accolto il 5 dicembre dell’anno precedente, appena due giorni dopo l’omicidio di Di Marzo. Ad assumerlo, l’8 agosto del 2023, era stato il figlio dell’anziano. I carabinieri hanno iniziato i riscontri e, per prima cosa, hanno contattato i parenti dei due anziani, constatando che Eutizia aveva effettivamente prestato servizio come badante in entrambe le abitazioni. Per giunta, a Vibonati, era stato anche denunciato dai carabinieri per aver rubato l’auto dell’anziano che avrebbe ucciso. Casi simili, sovrapponibili. Pazienti oncologici e affetti da demenza. I sedativi li prendevano abitualmente solo che, in dosi quadruple, anche i calmanti possono uccidere. Così come i farmaci antitumorali che lo stesso Eutizia, paziente oncologico, assumeva. Ne conosceva gli effetti letali in caso di assunzione lenta e continua di dosi massicce.
Si lavora ancora alle altre vittime che ha detto di avere ucciso con lo stesso metodo. Risalirebbero al 2014, quando lavorava a Latina. Non sono state ancora identificate. Il 48enne, al cospetto del pm della Procura di Santa Maria Capua Vetere, Annalisa Imparato, è apparso collaborativo. In un certo senso, ha chiesto aiuto: «Ho bisogno che qualcuno mi fermi. Continuando a lavorare come badante, probabilmente l’avrei fatto ancora». Parole pesanti che stanno portando gli inquirenti a valutare se ci siano stati altri decessi sospetti nel corso degli anni. Complessivamente, nella sua carriera di infermiere «abusivo», Eutizia ha avuto a che fare con una trentina di anziani ai quali ha prestato le proprie cure. Ma è andato oltre, trasformandosi in un angelo della morte.*

Un diploma di ragioniere tenuto nel cassetto, qualche lavoretto saltuario di poco conto, poi l’idea. Dopo aver letto alcuni annunci sui giornali, ha deciso di improvvisarsi infermiere. O badante, visto che non ha alcun titolo in ambito sanitario. È incominciata così la carriera di Mario Eutizia.

A quegli annunci ha iniziato a rispondere riuscendo a trovare occupazioni più stabili. D’altronde, di richieste di assistenza ce n’erano tante. Un colloquio breve, forse troppo superficiale, bastava a sentirsi dire: «Lei è assunto». È accaduto una trentina di volte nell’arco di circa dieci anni. Con quel lavoro si trovava bene. Un tipo di occupazione che colmava un doppio bisogno: quello di uno stipendio e quello di un tetto sulla testa. Perché il 48enne risulta da tempo senza fissa dimora. L’assistenza non è una cosa facile. Ci vuole metodo, abnegazione. In un certo senso, è una missione. Sembrava che Eutizia fosse tagliato per quel lavoro; nelle case entrava con discrezione e si faceva benvolere. Come uno di famiglia. Gli anziani che accudiva, per lo più, erano ammalati, spesso allettati. C’era bisogno di terapie e di essere precisi nel somministrarle. Poi qualcosa sarebbe scattato.

Non è chiaro in che momento e quale sia stata la causa scatenante. Secondo quanto lo stesso 48enne ha rivelato al pm, «l’empatia» nei confronti di quelle persone sofferenti, la pietà che provava, lo avrebbero portato a scegliere del loro destino. La prima volta dieci anni fa, nel 2014, a Latina. Lì ci sarebbero state due vittime che, per il momento, non hanno ancora un nome. Quelle più recenti, invece, ce l’hanno. Tutti casi sovrapponibili. Malati oncologici o affetti da grave demenza senile. Con l’esperienza ha capito a cosa servissero e come funzionassero i farmaci. E anche come non avrebbero dovuto essere usati. Perché quei farmaci, utilizzati male, avrebbero potuto uccidere. Il modus operandi per gli omicidi lo avrebbe testato e ripetuto.

Il Talofen viene usato per trattare agitazione psicomotoria o comportamento aggressivo. Ma anche la schizofrenia e altri disturbi psicotici; il Trittico è invece utilizzato nel trattamento dei disturbi depressivi, ansiosi oltre che per i disturbi del sonno. Sedativi potenti che, in dosi quadruplicate, possono essere letali. È così che avrebbe messo fine alla sofferenza dei pazienti che erano affidati alle sue cure.

Il 48enne è stato rinchiuso nel carcere di Santa Maria Capua Vetere con l’accusa di omicidio premeditato. Non godrebbe di condizioni di salute ottimali, ma non avrebbe mai potuto ottenere i domiciliari perché non risulta avere una dimora stabile. Ha sempre vissuto nelle abitazioni degli anziani ai quali prestava assistenza. Si è presentato come un professionista, per poi trasformarsi in un amico e poi in una persona di famiglia. Fino alla morte del paziente.