Il Messaggero, 22 agosto 2024
Biografia di Romy Schneider
Una canzone di Lucio Battisti comincia così: «Che non si muore per amore/ è una gran bella verità/ perciò dolcissimo mio amore/ ecco quello, quello che da domani mi accadrà/ Io vivrò/ senza te/ anche se ancora non so/ come io vivrò». Ma non sempre è vero che non si muore per amore. Anzi. Basti pensare alla letteratura, alle leggende, alla storia, alla cronaca.TOSSICICerto, di amore esistono tanti tipi. Che si coniugano in tanti modi. Alcuni sani, salvifici; altri tossici, fatali. Non a caso gli antichi Greci utilizzavano molte parole per definire questo sentimento misterioso e complesso. Per delineare le categorie, le sfumature. Tale era l’importanza che gli attribuivano, da identificarlo con le divinità. Dio per eccellenza era Eros figlio di Afrodite, cioè l’amore carnale che può divenire eccessivo se non è compensato dal fratello di Eros, Antéros, ovvero un legame equilibrato. Altro rampollo di Afrodite era Hímeros, desiderio che si tramuta in lussuria. C’era poi Cháris, sentimento bilanciato di “dare e avere”. Si può tradurre come “favore”, “benevolenza”; diverrà la “Grazia” del Cristianesimo. Póthos indicava invece la nostalgia dell’amato, ma anche un rapporto immaturo. Philía era la vera, disinteressata amicizia. Agápe un amore che può sconfinare nel divino (è una parola usata nei Vangeli). Tuttavia, s’agapò in greco vuol dire “ti amo”. In certi casi, quindi, si trattava di un’eccessiva idealizzazione dell’altro, un perenne struggimento. Doveva essere bilanciato da Pragma (impegno e dedizione nella coppia), altrimenti diveniva Manía, l’ossessione che porta al disastro. Per evitarlo, occorreva mantenere la Philautía, cioè amore e rispetto per sé stessi. E poi c’era Storgé, l’amore tenero, profondo, totale verso un figlio (o un genitore). Ma esistevano ancora altre parole per designare questo sentimento, altri modi per esplicitarlo. Perché l’amore è al centro di tutto.LA STORIAIn questo senso, la storia che raccontiamo oggi è emblematica. Parla di una donna che ha avuto tutto – bellezza, fascino, talento, successo, notorietà e soprattutto amore – e poi ha perso ogni cosa. Succede, nella vita. Alcuni riescono a sopravvivere, a salvarsi; altri no. Perché il cuore si spezza. Infatti si usa l’espressione “morire di crepacuore”. Si potrebbe dire che Romy Schneider, indimenticata imperatrice Sissi, sia morta proprio così. Di infarto, clinicamente. Di crepacuore, in sostanza. Ormai è provato che è una sindrome, una malattia cardiaca conseguente a una sofferenza o a un terribile trauma. Come la perdita di una persona amata. Nel caso dell’attrice, la scomparsa atroce del quattordicenne figlio David in un incidente incredibile. Che rappresenta il colpo di grazia in un’esistenza intaccata dal dolore e dai lutti (il primo marito della Schneider si era suicidato nel ’79). Segnata dalla fine dell’amore con Alain Delon – ma è un legame, che, per certi versi, durerà sino alla fine -, dalla malattia, dall’alcolismo, dalla depressione. Tanto che, sulle prime, in quel maggio 1982 si pensò al suicidio. Forse, però, non ce ne fu bisogno.LA VITANata a Vienna nel settembre ’38 con il nome di Rosemarie Magdalena Albach, la piccola è figlia di due attori importanti: Magda Schneider, che sarà sua madre nella trilogia Sissi del ’55-57, e Wolf Albach-Retty. Siamo in una fase drammatica, fra il nazismo e la II Guerra Mondiale. A 15 anni, Rosemarie esordisce nel film Fiori di lillà, poi ne L’amore di una grande regina.IL NOMEComincia allora a utilizzare il nome di Romy Schneider. Il successo che le viene dalla storia dell’imperatrice d’Austria la rende famosissima e popolare. Pur tuttavia, lei comincia a provare una “insoddisfazione” per i ruoli zuccherosi, i personaggi privi di consistenza.Il giro di boa avviene con L’amante pura: conosce Alain Delon, con cui scoppia il folle amore. La storia dura circa 4 anni, lui la chiama puppelé, “bambolina”, le regala un anello, vive con lei senza però sposarla. Sono belli, innamorati, famosi, invidiati. Poi Delon la lascia – pare, con un biglietto – per Nathalie Barthélemy. Pur tuttavia, ricorderà Romy come «l’amore della mia vita».LA CARRIERALei continua a crescere come attrice, arrivano Il processo di Orson Welles nel ’62, Ciao Pussycat con Peter O’Toole nel ’65, La Piscina del ’68 (dove ritrova Delon, per lei «l’uomo più importante della mia vita, sempre pronto a tendermi una mano»), La Califfa di Alberto Bevilacqua nel ’70, Ludwig di Visconti nel ’73 e altri. Ha nel 66 un figlio, David, dal matrimonio con il regista Harry Meyen; poi Sarah (che le somiglia molto) nel ’77 dal giornalista Daniel Biasini.Ma è sempre più sofferente, tanto che il film di Dino Risi dell’81, Fantasma d’amore, sembra una premonizione inquietante. É il 29 maggio ’82, quando Romy viene trovata senza vita a Parigi, nell’abitazione del produttore Petin, a cui era sentimentalmente vicina. Pare che, ogni sera, avesse l’abitudine di rimanere sola per ricordare il figlio. Delon corre da lei, per vederla un’ultima volta come si farebbe con la Principessa addormentata, e le scrive una lettera di addio. «Tu mi hai amato, io ti ho amato... Riposa in pace. Io ci sono».