La Stampa, 22 agosto 2024
L’agonia della Mer de glace, il secondo ghiacciaio d’Europa
TORINO – Giovedì 22 Agosto 2024Aosta - Nell’estate del 1899, l’emozione dei fratelli Auguste e Louis Lumière davanti alle creste glaciali della Mer de Glace superò quella dei loro spettatori quando sbiancarono di paura il 6 gennaio del 1896 al Grand Café di Boulevard des Capucines a Parigi, guardando la sequenza della locomotiva che pareva uscire dallo schermo. Oggi quell’onda gli inventori del cinema non la vedrebbero più: il secondo ghiacciaio d’Europa, sul versante francese del Monte Bianco, è trecento metri più in basso.Chi volesse raggiungerlo a piedi dovrebbe scendere 580 gradini nella roccia, musi arrotondati dall’antico ghiacciaio, come levigati da una mola. Il gigante che i francesi hanno battezzato Mer, cioè mare, ogni anno si ritira di quasi 200 metri. Nel film di 45 secondi i Lumière mostrarono creste alte come palazzi, quasi parallele e mostrarono la «descente», la discesa di quattro alpinisti in cordata, vestiti in festa, cappello compreso. Oggi è documento di quanto quel mare glaciale si sia fuso per il cambiamento climatico, per quel grado virgola sette di più che ha ammalato il clima, una febbre che proprio sulle Alpi è più visibile.I Lumière avevano filmato passeggiando a Montenvers (1.913 metri) dove arriva il trenino rosso da Chamonix. Alle spalle i larici e qualche abete, sotto i piedi la roccia del piede del Monte Bianco e davanti il mare di ghiaccio. E a Montenvers in questo capriccioso agosto, è arrivata la Carovana dei ghiacciai, che da anni ormai mostra quello che succede alla montagna, sempre meno fredda, sempre più fragile. La pellicola dei Lumière mostrava una giornata limpida, la Carovana di Legambiente Comitato glaciologico italiano e Cipra (Commissione internazionale per la protezione delle Alpi) era sotto la pioggia. E ciò che hanno visto in basso era ghiaccio «sporco», lingua sofferente coperta da detriti. Difficile intravedere una delle caratteristiche di questo ghiacciaio sceso sotto i trenta chilometri quadrati: le ogive, che appaiono come archi d’ombra a segnare il flusso glaciale. Ombra dovuta proprio ai detriti. Un fascino ferito dalla fusione, dai crolli delle sponde ormai alte, scarpate aride. Il fiume di ghiaccio non corre più, si ritira.Eppure, proprio pietre e ghiaie moreniche rappresentano una speranza, rallentano l’agonia della Mer. Lo dice il glaciologo francese Philip Deline, professore all’università Savoia-Mont Blanc di Chambéry: «Questo ghiacciaio non sta bene, ma la copertura detritica è una compensazione rispetto all’ablazione, al consumo del ghiaccio». E un suo collega, Marco Giardino, vicepresidente del Comitato glaciologico italiano, offre una visione che coglie anche l’aspetto storico e l’importanza di un ghiacciaio che definisce «libro». Ambientalisti e scienziati sono entrati nelle grotte, scavate nel ghiacciaio per ragioni turistiche, ma che aiutano a comprendere la vita della Mer de Glace «attraverso gli strati glaciali e la migrazione delle ogive», dice Giordano. E ancora: «Il ghiacciaio scandisce così il ritmo della nostra vita».Proprio dal cucuzzolo di roccia di Montenvers lo sguardo riesce a percorrere chilometri e a raggiungere la biforcazione dove la Mer si spacca in profondi crepacci che mostrano varie tonalità del blu e di lì sale in due rami, uno verso destra e il confine italiano, l’altro verso il bastione della parete Nord delle Grandes Jorasses. La Carovana non può che indovinarla tra le nubi. È fra le montagne più maestose delle Alpi, una parete che ha rappresentato una delle più grandi sfide alpinistiche. Il cambiamento climatico non le ha rubato fascino, ma solo qualche blocco di granito. Frane che sono invece evidenti nella guglia definita «meravigliosa» dalla guida alpinistica Vallot, il Petit Dru. Una lancia visibile dalla Mer de Glace, così come le sue ferite. All’inizio del terzo millennio alcune frane hanno distrutto il pilastro della parete Ovest, in faccia a Montenvers, su cui Walter Bonatti da solo firmò nell’agosto del 1955 la sua impresa leggendaria. Pilastro che nessuno potrà più affrontare. Secondo il professor Deline i crolli di parete rocciose nel Monte Bianco dal 2000 al 2010 sono stati in media 12 l’anno, mentre tra il 1940 e il 1950 erano cinque.Vanda Bonardo, responsabile di Legambiente Alpi e presidente di Cipra Italia: «Questo grande ghiacciaio ci racconta un paesaggio completamente cambiato che in passato ha attirato turisti da tutto il mondo e che ora deve essere ripensato. Ci ricorda la necessità di politiche di mitigazione e di impellenti strategie di adattamento anche in alta quota, di nuove forme di turismo, ma anche di tutela dell’alta montagna. Aspetti che andrebbero affrontanti con un percorso di governance internazionale per le alte quote». —