la Repubblica, 22 agosto 2024
Intervista allo scrittore Toby Lloyd: Bibbia, grande letteratura
Innanzitutto, la Bibbia». No, non è un missionario urbano di tomi sacri. Anzi, Toby Lloyd è ateo, anche se di famiglia ebrea. Ma questo scrittore inglese, 34 anni, che ha appena pubblicato per Neri Pozza il suo acclamato esordio Fervore, è anche un insegnante e non si capacita di come la Bibbia non sia trattata nelle scuole e all’università: «Non sono religioso, ma l’ho letta, non ricordo perché, a quasi trent’anni e sono rimasto affascinato: non ci sono solo dogmi e insegnamenti. Ma a volte è pura epica poetica. O commedia farsesca. È un capolavoro della letteratura. Letteratura che io ho studiato a Oxford, ma è assurdo che non ci abbiamo mai nominato la Bibbia, o la Genesi o l’Esodo».
Fervore, invece, è una saga familiare già elevata dalla critica al talento di Franzen, Roth e Safran Foer, sebbene non autobiografica, ci tiene a precisare Lloyd che incontriamo in un caffè di BoroughMarket, a Londra. La trama intreccia le conseguenze odierne dell’Olocausto, un horror sottopelle alla Stephen King, dilemmi esistenziali e dark humour. Hannah ed Eric Rosenthal sono ebrei devoti che vivono a Londra con i loro tre figli e il padre di Eric, Yosef, sopravvissuto alla Shoah. Intellettuali e profondamente anticonformisti, i Rosenthal credono nella verità dell’Antico Testamento e nella presenza di Dio (e del male) nella vita quotidiana. Mentre Hannah sta per pubblicare un resoconto sensazionalistico degli anni trascorsi da Yosef nell’Europa devastata dalla guerra, Elsie, la sua figlia perfetta, inizia a comportarsi in maniera strana. Dopo la morte di Yosef, Elsie scompare, riapparendo misteriosamente mesi dopo, in uno stato mentale alterato.Lloyd, cosa l’ha ispirata per questo esordio?«Sono uno scrittore caotico. Non mi son detto un giorno, “ok, scriviamo un romanzo”. Avevo molte note e appunti sparsi dal 2017, e sono riuscito a metterli insieme. Il mio master in scrittura creativa a New York, poi, mi ha aiutato molto. Vistoche, a differenza di Londra, lì i tuoi professori sono Safran Foer, Zadie Smith, Colm Tóibín… In ogni caso, ero interessato a riscrivere una storia biblica, che si intreccia a un film horror e supernaturale, ma in un contesto ebraico».E il titolo?«Lo ha scelto la mia compagna.Fervore è un’intensa passione, soprattutto religiosa, ma allo stesso tempo dà il senso del bruciare. Una immagine che pervade il mio romanzo».Cosa si prova ad essere paragonati, alla sua età, a totem della letteratura come Mann, Roth e Safran Foer?«Sono senz’altro onorato, dopo che un agente in passato mi disse che “la letteratura ebraica non vende”.Sono stato influenzato da varie opere come Demon Copperhead del premio Pulitzer Barbara Kingsolver, Ritorno a Brideshead di Evelyn Waugh e da Howard Jacobson. Ma Roth, in particolare, è un mio grande eroe».Perché?«Per me è stato il primo romanziere che ha scritto di uno specifico milieu ebraico in America con cosìtanta energia e commedia, e allo stesso tempo mancanza di ogni sentimento. Penso a Pastorale americana, per esempio. Inoltre non risparmia critiche al popolo ebraico».Per un giovane scrittore come lei, che cos’è la Jewishness oggi, l’ebraicità?«Non c’è un messaggio univoco.Sono ateo e non sono nemmeno un fervente sionista, ma personalmente sono molto interessato a due aspetti. Il primo: la nostra eredità letteraria, dalla Torah al Talmud fino ai canoni di Roth, Saul Bellow, Primo Levi e il loro impatto sulle singole culture nazionali. Il secondo è come la storia degli ebrei abbia un’influenza fortissima sul presente, soprattutto in un momento tragico come dopo le stragi del 7 ottobre e la seguente offensiva a Gaza».Che cosa pensa di quanto sta accadendo in Medio Oriente?«L’antisemitismo è tornato a crescere in maniera preoccupante e io stesso l’ho provato sulla mia pelle (“giudeo!”). Ma allo stesso tempo non dobbiamo dimenticarela devastazione di Gaza. Credo ancora nella soluzione dei due Stati, ma sono più pessimista rispetto al passato».Ma in questi tempi, come ci può aiutare una letteratura accerchiata da stimoli e intrattenimenti visivi sempre più fugaci, e che influenzano soprattutto i giovanissimi cui lei insegna?«Non credo nella morte del romanzo. Anzi, secondo me è un genere ancora molto competitivo contro film, musica o i micro-video dei social. I film e la musica cambiano, anche nella tecnologia, mentre i romanzi sono gli stessi da secoli e resistono. Perché implicano un tempo di attenzione molto più lungo, possono durare giorni o settimane e dunque hanno decisamente meno limiti. E poi perché i libri, a differenza di altre forme di intrattenimento, ancora oggi sono l’universo migliore per le idee, e lo noto anche con i miei studenti. Altrimenti oggi non leggeremmo ancora Flaubert, Orwell o Oscar Wilde, dopo così tante generazioni»