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 2024  agosto 23 Venerdì calendario

Biografia di Kamala Harris

Viviana Mazza, Cds: Chicago - Kamala Harris è moderata o progressista? Ha imparato dagli errori delle primarie del 2020 quando uscì di scena prima ancora dei caucus in Iowa? Sono domande da porsi per capire se l’entusiasmo di questa convention possa trasformarsi in voti a novembre. Ci aiuta a rispondere Dan Morain, giornalista californiano (i suoi nonni immigrarono da Stigliano in Basilicata) che la segue da 25 anni, ha scritto A proposito di Kamala (Solferino) e sta lavorando a un nuovo epilogo. «La Kamala Harris che vedo adesso è la stessa che ho conosciuto nelle sue campagne elettorali come procuratrice generale e per il Senato. È migliorata, possiede una gravitas forse legata al ruolo di vicepresidente, ma è la stessa persona: dalla risata alla capacità, che ti piacciano o meno le sue politiche, di comunicare il suo messaggio», dice Morain. «Non ho idea di chi vincerà: se si votasse oggi Trump probabilmente, ma lei sta risalendo nei sondaggi ed energizzando il partito democratico in un modo che ricorda Obama nel 2008 e che non accadde con Al Gore, John Kerry o Hillary Clinton. Non va sottovalutato il fatto che gli elettori democratici non vogliono Trump presidente e vedono Harris come qualcuno che può vincere».Le sue politiche sono ancora molto vaghe.
«Siccome non deve affrontare le primarie, non deve entrare nei dettagli dell’immigrazione, della sanità... Le primarie sono lunghe, brutali. Qui è tutto condensato in uno sprint, quindi può prendere posizione senza entrare troppo negli aspetti pratici e questo rende la sua campagna più facile. Dice che non vuole tassare le mance, ma sarebbe costoso per il governo, non dice come lo farebbe. Vuole aumentare il salario minimo, ma non dice di quanto: da decenni quello federale è 7,25 dollari, vuole arrivare a 15 o 20 come in California? Ai comizi parla per 20 minuti. Al dibattito con Trump del 10 settembre o quando farà una conferenza stampa o una intervista dovrà presentare più dettagli. E lei è orientata ai dettagli, ma in una campagna così abbreviata è meno necessario».
È più cauta con i media rispetto ad altri politici?
«Quando la seguivo come opinionista del Sacramento Bee, a volte era frustrante, ma il mio lavoro è fare domande, il suo è controllare la sua storia come politica: è quello che fanno tutti. È possibile che sia un po’ più guardinga e prudente di altri, ma sa che quando prendi posizione scontenti sempre qualcuno».
In passato si è «bruciata» quando prese posizione: da procuratrice di San Francisco promise che non avrebbe mai chiesto la pena capitale; poi fu ucciso un poliziotto. Al funerale, la senatrice democratica Dianne Feinstein la pugnalò alle spalle appoggiando la pena capitale. Ora Trump usa contro di lei una vecchia relazione con il sindaco di San Francisco suo mentore, Willie Brown, che era sposato.
«La storia di Willie Brown è già stata usata contro di lei in altre campagne e non ha funzionato. Ed è successo 30 anni fa, aveva 29 anni. È un attacco misogino. Tutti abbiamo un passato. Trump ha fatto sesso con una pornostar quando sua moglie era incinta».
Il legame con Obama risale al 2007: Harris appoggiò lui anziché Hillary Clinton nelle primarie.
«Quasi tutti gli altri leader politici in California diedero l’endorsement a Hillary, pensavano che avrebbe vinto. Harris rischiò ma si è distinta e si è accostata così a un segmento del partito più giovane e meno legato al sistema».
È moderata o di sinistra?
«È di centrosinistra, una democratica mainstream, formata dal lavoro di procuratrice. Non è di sinistra come Bernie Sanders su immigrazione e sanità, il suo istinto è di andare più verso il centro. Non è una radicale».
Oggi è più moderata rispetto al 2020 su temi come l’immigrazione o il fracking.
«Una delle ragioni dell’implosione di quella sua campagna fu che non era autentica rispetto al suo stesso passato»
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Gianni Riotta, Rep:
Il 24 agosto del 1960, vigilia di campagna elettorale per la Casa Bianca, il reporter del settimanale Time, Charles Mohr, chiese al presidente repubblicano Dwight Eisenhower: «Che idee le ha dato, in otto anni, il suo vice Richard Nixon?». La risposta fu brutale, subito rilanciata dai democratici di John Kennedy, «Se mi dà una settimana per pensarci qualcosa mi verrà in mente». Il vicepresidente di F.D. Roosevelt, John Nance Garner, detto Cactus Jack per le battutacce texane, considerava la carica «peggiore di una sputacchiera». Non ascoltate dunque il blabla su quel che Kamala Harris, da ieri notte chiamata a sfidare il repubblicano Donald Trump, ha fatto o non fatto da vice del decano Joe Biden, l’argomento vale quanto il desueto oggetto evocato da Cactus Jack.Con più eleganza, i cappellucci degli stand di Chicago sintetizzano Harris in “,LA”: Comma vuol dire virgola e “Commala” è la pronuncia corretta del nome, irrisa da Trump in grossolane distorsioni. “,LA” ha, ad oggi, appena 73 giorni per farsi conoscere dai 161 milioni di elettori registrati con la storica decisione di mandare, per la prima volta dal 1776, una donna al potere.Kamala Harris ha rotto tanti tabù, prima donna e prima afroamericana District Attorney a San Francisco, prima Ministro della Giustizia in California, prima donna di colore senatrice dello stato, solo la seconda della storia alla Camera Alta. A chi la incontra nella residenza ufficiale, il Naval Observatory di Washington, Harris riserva una gag maliziosa: «Ho avuto 48 predecessori vicepresidenti, tutti maschi bianchi», anche se i puristi dell’Almanac of American Politics registrano zelanti «Charles Curtis, vice di Herbert Hoover nel 1929, era per 3/8 Nativo-Americano». Da sempre Kamala Harris, 59 anni, papà giamaicano, mamma emigrata dall’India, studiosi a Berkeley University caparbi e presto divorziati, ha eluso le definizioni, laureata all’ateneo storico degli afroamericani, Howard University, un flirt lungo due anni con il controverso sindaco di San Francisco Willie Brown, invano contestato da Trump, la carriera in magistratura, divisa tra voglia di apparire Law&Order, dura contro i criminali, e liberal capace di comprendere come povertà e discriminazioni nei ghetti riempiano le galere: i neri sono il 12% della popolazione e il 32% dei detenuti.Nel libro Smart on Crime, pubblicato nel 2010, Harris minimizza il razzismo della polizia, scrivendo «èidea diffusa che le comunità povere, in particolare afroamericane e ispaniche, considerino le forze dell’ordine il nemico. In realtà, è vero il contrario, i non abbienti sostengono i poliziotti», salvo mutare parere dopo le proteste 2020 per l’assassinio di George Floyd, strangolato dell’agente Chauvin a Minneapolis: «Troppi uomini e donne neri disarmativengono uccisi in America. Troppi americani neri e latini incarcerati. La nostra giustizia penale ha bisogno di drastiche riforme».Non chiedetevi dunque quale “,LA”, Kamala Harris, vedrete, se eletta, alla Casa Bianca. Dipenderà dalle circostanze, dura ove necessario, disposta ai compromessi se occorresse. I trumpiani le daranno dell’opportunista, lo staff parla di pragmatismo, ma da George Washington a Joe Biden dove passa la differenza?In certi comizi Harris citerà quando «da bambina, a Palo Alto, culla di Google, non mi lasciavano giocare con i figli dei vicini perché nera». In altri la dichiarazione ferma del 2021 in Guatemala contro l’emigrazione: “Non venite in America! Gli Stati Uniti applicheranno la legge e difenderanno i confini». Sentirete citare i templi Hindu della mamma e la fede cristiana battista, il marito ebreo Doug Emhoff e la necessità di tregua a Gaza con i palestinesi, l’umiliazione di andare nelle scuole dei bianchi con il bus dei neri, l’orgoglioso «sono nera e asiatica, che bellezza una famiglia multietnica!». Il mistero Kamala Harris durerà se perdesse le elezioni, altrimenti la presidenza, spietata Macchina della Verità che invecchia chi la occupa, vedi canizie di Clinton e Obama, ne rivelerà l’identità senza appello. Tra i palloncini bianchi, rossi e blu di Chicago, inni, feste, militanti si è consumata la festa, ora parte la guerra di idee e di interessi. Al Cremlino, Pechino, nei bunker di Gaza, a Pyongyang, in Turchia, sulla frontiera Israele-Libano il discorso di “, LA” è stato dissecato senza moine da influencer o algoritmi di TikTok, con feroce stima di forza e carattere: saprà reagire questa donna alle nostre offensive? La risposta non ce l’ha, per ora, nessuno, neppure Kamala Harris, verrà dal test ferreo della realtà. Venti anni fa ilLos Angeles Times definì Harris “Barack Obama in California”, vedremo se del mentore manterrà l’incertezza davanti al mondo terribile del XXI secolo o se invece, sciogliendone le ambiguità Nobel, saprà unire la diaspora degli alleati e opporsi all’insorgenza totalitaria.