Corriere della Sera, 22 agosto 2024
Tra i monaci sospettati di essere filo Putin: «Ci vogliono cacciare ma non siamo spie»
«Si deve mettere la gonna per stare qui, altrimenti se ne vada». Sviatohirsk, la montagna sacra, il monastero ortodosso più importante del Donbass, uno dei centri più filorussi della regione. Riconquistata nel settembre 2022 dalle forze ucraine, la cittadina appollaiata su una delle poche alture del Paese è stata teatro di una battaglia feroce che ha distrutto anche parte della chiesa. Due anni dopo, i segni dei colpi di mortaio ancora sfregiano la facciata bianca e le cupole dorate, costruite nel 1600. Ma i fiori sono ricresciuti, curati dalle monache, il ponte sopra il Siverskyi Donetsk è stato ricostruito e ai corpi dei monaci morti è stata data sepoltura in uno dei chiostri.
«Abbiamo risistemato tutto come andava fatto ma ora le autorità ucraine ci vogliono cacciare». Si lamenta padre Fiofan. È lui lo stesso religioso che nel 2022 non ci aveva fatto entrare, per paura, per diffidenza. Perché ancora non era chiaro se Sviatohirsk sarebbe rimasta davvero sotto le forze di Kiev e nel monastero ancora c’erano armi nascoste dai militari e cadaveri che nessuno si azzardava a rimuovere.
Ma ora per i monaci della montagna sacra le cose rischiano di mettersi davvero male. Due giorni fa la Rada, il parlamento ucraino, ha messo fuori legge la chiesa ortodossa ucraina fedele a Mosca. L’ultimo passo di una vera e propria purga iniziata nel dicembre 2022 con l’arresto di Pacha Mercedes, metropolita del monastero delle grotte di Kiev, odiato in Ucraina per le sue maniere rudi, il suo stile di vita lussuoso ma soprattutto considerato la longa manus del patriarca Kirill, alleato di Putin. Poi i monaci fedeli a Mosca sono stati letteralmente sfrattati dalla Lavra (monastero) della capitale, con un blitz delle Sbu (l’intelligence) ordinato dal presidente Zelensky in persona. Una mossa per liberarsi di spie e sabotatori fedeli al Russki mir di Putin e togliere ai religiosi il controllo delle menti. Ma non solo. Mettere le mani sulle proprietà della chiesa ortodossa ucraina rappresenta un buon affare.
Anche il metropolita di Sviatohirsk, padre Arseny, è stato messo in prigione sei mesi fa con l’accusa di collaborazionismo. «Hanno detto che ha rivelato ai russi la posizione di un check-point ucraino. Ma non è cosi: durante una predica aveva detto che i militari non avevano fatto passare dal posto di blocco i fedeli impedendo loro di venire a messa», si lamenta ancora padre Fiofan mentre alle sue spalle, sulla «montagna», si staglia il monumento ad «Artem», Fyodor Sergeyev, eroe sovietico, risparmiato dal bando del presidente Petro Poroshenko che nel 2015 ordinò la demolizione di tutti i simboli sovietici.
Vendette, veleni. Prima di salutarci padre Fiofan ci ricorda che durante l’epoca sovietica quel monastero era stato tramutato in un centro culturale e lasciato andare in rovina. «Noi nel 1992 l’abbiamo risistemato tutto e ora ce lo vogliono togliere», dice. Il religioso ci saluta per davvero, questa volta. Un gruppo di militari ucraini si sta avvicinando al cancello. E padre Fiofan ha fretta di tornare in sacrestia. Molta fretta.