la Repubblica, 23 agosto 2024
Miracoli: la lingua del santo e altri prodigi
I santi fanno più miracoli da morti che da vivi. Perché a differenza di tutti i comuni mortali, questi prediletti da Dio nascono proprio nel momento in cui muoiono. All’anagrafe soprannaturale, infatti, il loro Dies Natalis, come lo chiama la Chiesa, coincide con il loro trapasso. Di fatto, è la fine del corpo mortale a liberare dai vincoli terreni quello celeste, come dalla crisalide si libera la farfalla. Da quel momento, le spoglie dei campioni della fede diventano il segno di una presenza assente, ma potente. Diventano sante reliquie, parola che deriva dal verbo latino relinquere, cioè lasciare, avanzare. E indica appunto quel che resta del santo. Denti, braccia, gambe, teste, mascelle, capelli nell’immaginario devoto fanno da interfaccia anatomica tra visibile e invisibile, tra fisica e metafisica. Che tiene insieme vita e morte. Ecco perché nel cattolicesimo, ma non solo, le reliquie sono da sempre la materia prima della santità, la testimonianza tangibile di una forza ultramondana, di una azione a distanza che è il primo miracolo del santo. La prova che il suo è un “corpo glorioso”, sul modello del Cristo risorto, in grado di bypassare la soglia tra la vita e la morte, di azzerare l’opposizione tra materia e spirito. E di trionfare sulle leggi della natura.Il primo, prodigioso segnale di questa mortalità immortale è proprio l’incorruttibilità della salma che continua ad emanare, nei secoli dei secoli, quel profumo celestiale che si chiama odore di santità. Da Sant’Antonio di Padova a San Pio da Pietrelcina, la carne impassibile di questi eroi celesti, conserva il calore e il colore della vita a centinaia di anni dalla morte. Il loro sangue continua a scorrere. La mano è in grado di muoversi. La testa, tagliata dal boia, continua a parlare. Come avviene per i cosiddetti cefalofori, i martiri rappresentati con in mano la propria testa. Santa Caterina d’Alessandria, San Dionigi, Santa Sativola, Sant’Albano, Santa Valeria, San Miniato, Sant’Eusebio. E, soprattutto, il venerabile Laureano che raccoglie da terra la sua capoccia appena mozzata dagli sgherri del re ostrogoto Totila e gliela consegna, pregandoli di recapitarla agli abitanti di Siviglia per liberarli dalla peste.
In realtà, ogni frammento del corpo santo è dotato di una prodigiosa autonomia. Fa tutto da solo. La mano destra non smette di benedire, gli occhi strappati continuano a fissare gli assassini. In effetti, il santo viene al mondo per essere diviso in parti e redistribuito a beneficio dei fedeli. Insomma, è una riserva di reliquie. E perfino gli oggetti che sono stati a contatto con le sue membra, per una sorta di proprietà transitiva della sacralità, ne conservano i poteri. Il Vangelo arabo dell’infanzia racconta che l’acqua in cui la Vergine fa il bagnetto al Bambin Gesù guarisce gli ammalati. E, secondo l’evangelista Marco, la saliva del Nazareno applicata sugli occhi del cieco, gli ridona la vista. La Chiesa stila addirittura una hit parade di reperti insigni. Al primo posto la testa, poi la lingua e subito dopo la mano e le dita. La prima perché è l’organo del pensiero, l’acropoli somatica. La lingua in quanto sede della parola ispirata da Dio, come quella di Sant’Antonio custodita a Padova. Poi la mano quale segno del comando e della benedizione. Infine, l’indice che come dice la parola stessa, indica la scala che conduce al paradiso. LaStairway to Heaven del Vangelo secondo i Led Zeppelin.Un posto specialissimo tra i resti specialissimi spetta al sangue. Prima di tutti quello versato da Cristo e raccolto in quella leggendaria turboreliquia che è il Santo Graal, grande sorgente narrativa del canone occidentale. A seguire, quello dei martiri che si scioglie miracolosamente. Da San Gennaro, che concede tre liquefazioni all’anno, alla meno nota ma infaticabile Santa Patrizia che ha addirittura una cadenza settimanale. Mentre il sangue di San Lorenzo, custodito nella chiesa di Santa Maria ad Amaseno, si squaglia una sola volta tra il 9 e il 10 agosto in occasione della festa del martire che fa cadere le stelle dal cielo.La reliquia più grande del mondo è addirittura una monofamiliare, cioè la Santa Casa di Loreto, quella dove la Vergine Maria riceve l’annunciazione, in seguito aviotrasportata da Betlemme da una squadra di angeli traslocatori. Ma la più imbarazzante è il Santo Prepuzio di Nostro Signore. Conservato da una pia donna dopo la circoncisione di Gesù e poi giunto nelle mani della Maddalena. Il prezioso reperto sarebbe stato donato da Carlo Magno a Papa Leone III nell’anno Ottocento.Sono moltissime le città che vantano il possesso di un frammento della veneratissima cute, che ha fama di far partorire le regine. Nel 1421 viene inviato dalla Francia a Enrico V d’Inghilterra che lo tiene sotto il cuscino. Risultato, la moglie Caterina di Francia gli partorisce un erede con la precisione di un orologio biologico. Poi sul prepuzio cala un prudente velo di riserbo. Finché agli inizi del Seicento il teologo Leone Allacci, bibliotecario vaticano, chiude la questione con una trovata fantascientifica. Sostiene, infatti, che il minuscolo lembo di pelle sarebbe stato assunto in cielo e si sarebbe trasformato in uno degli anelli di Saturno. L’ultimo frammento giunto quasi fino a noi è quello custodito a Calcata, il suggestivo borgo del Viterbese, fino al 1983, anno della sua misteriosa sparizione. Ma in effetti già nel1900 Papa Leone XIII aveva vietato di far parola del Santo Prepuzio sotto pena di scomunica. Tutto questo è solo la punta di un iceberg di reliquie tutte da ridere. Come il pane e le 13 lenticchie dell’ultima cena, la colonna della flagellazione, la freccia di San Sebastiano, lo starnuto dello Spirito Santo, il latte della Beata Vergine.Senza dire delle fantareliquie spacciate da Frate Cipolla nel Decameron di Boccaccio. La penna dell’Arcangelo Gabriele, il sudore di San Michele dopo la battaglia col diavolo, i carboni su cui arse San Lorenzo. Ma se è permesso scherzare con i santi, non dobbiamo dimenticare che alla base del culto delle reliquie c’è la ricerca millenaria di un corpo a corpo con la divinità. Una domanda abiss ale sulla sostanza ineffabile del sacro. E su questa non è proprio il caso di scherzare.