il Giornale, 21 agosto 2024
Biografia di Lou Reed
L’etichetta Light in the Attic, in collaborazione con Laurie Anderson e il Lou Reed Archive, ha annunciato l’imminente uscita di Why Don’t You Smile Now: Lou Reed at Pickwick Records 1964-65. In uscita il 27 settembre, il nuovo capitolo della serie Lou Reed Archive, è una compilation di venticinque canzoni pop scritte da Reed durante il suo periodo a metà degli anni ’60 come autore di canzoni per l’etichetta Pickwick Records. La compilation segue la scia di Hudson River Wind Meditations (2023) e Words & Music, May 1965 (2022) ovvero due dischi che hanno come obiettivo la riscoperta del primo e dell’ultimo Reed.
Prima di affermarsi come leader dei Velvet Underground, Reed ha iniziato come autore (e occasionalmente chitarrista/cantante) per la Pickwick Records, una casa discografica specializzata in imitazioni dei principali successi dell’epoca. Si spaziava dal pop al garage-rock, dal soul alle ballate per teenager. La produzione per Pickwick offre un affascinante primo sguardo all’arte di Reed in continua evoluzione.
I brani sono stati restaurati e rimasterizzati da John Baldwin. Il libretto presenta foto inedite, note di copertina di Richie Unterberger, autore di White Light/White Heat: The Velvet Underground day-by-day; e un saggio di Lenny Kaye, il leggendario chitarrista, co-fondatore del Patti Smith Group., scrittore, produttore e curatore dell’antologia garage-rock Nuggets). È la prima antologia ufficiale del lavoro di Lou Reed per la Pickwick Records e presenta rarità, classici di culto (The Ostrich dei The Primitives) e materiale inedito (Sad, Lonely Orphan Boy dei Beachnuts).
Era un lavoro strano. The Ostrich è il brano più noto. Era intestato ai Primitives, come abbiamo visto. Piccolo particolare: i Primitives non esistevano. Visto il successo, una tv invitò la band a esibirsi dal vivo durante una trasmissione. Terry Phillips, uno dei colleghi di Reed, fu incaricato di reclutare un gruppo per l’occasione. Phillips pensò di coinvolgere un giovane gallese trasferitosi a New York: John Cale, il bassista, violista, pianista che insieme con Lou fonderà i Velvet Underground. Cale, che era in città per approfondire gli studi classici, invitò gli amici: lo scultore Walter de Maria (!) e Tony Conrad (!), compositore d’avanguardia, padre del minimalismo. Phillips non si rese conto di nulla. Gli piaceva Cale perché aveva i capelli lunghi e l’accento esotico. L’aveva scambiato per un hippie.
Reed invece capì subito chi aveva davanti e propose a Cale di suonare assieme. La partenza fu disastrosa. Reed aveva un repertorio di canzoni folk sulla scia di Bob Dylan. Intoppo non da poco: Cale odiava i cantautori folk, soprattutto gli imitatori di Dylan. La collaborazione rischiò quindi di finire subito. Ma Cale ascoltò meglio i testi. Erano eccezionali. Cinici, con inclinazioni sadomasochiste, attenti alla vita nei bassifondi di New York. In più, avevano una credibilità poetica, proprio dal punto di vista tecnico. Reggevano a una lettura senza musica, del resto Lou era l’allievo prediletto del grande poeta Delmore Schwartz.
Reed era a metà strada tra l’essere un teppista consumato e un fragile piccolo borghese. Ricorda Cale: «Era in cura da uno psichiatra che lo imbottiva di un tranquillante, il Placidyl. Gli chiesi quale fosse il problema. Mi rispose che temeva di essere pazzo. Più precisamente: schizofrenico. Gli dissi subito che era perfettamente normale. Ma quale schizofrenia. Lui vedeva le cose diversamente dagli altri, tutto qui. Era la sua ricchezza e non la doveva soffocare».
Cale diede un suono d’avanguardia alle canzoni di Lou. Lavoravano nel loft di Cale in Spring Street. Capitava di incontrare sulle scale William Burroughs e Jakie Kennedy. Ai piani di sopra infatti c’era un editore di libri d’arte e uno dei migliori amici dell’autore del Pasto nudo. Il sodalizio divenne ancora più profondo quando Reed e Cale scoprirono di condividere un’altra passione: la droga. Fu Reed a far conoscere l’eroina a Cale.
La Picwick diventò l’inconsapevole fucina del rock d’avanguardia. Reed approfittava dei tempi morti in studio per incidere le sue nuove canzoni: I’m Waiting for the Man e Heroin. I suoi futuri classici.