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 2024  agosto 22 Giovedì calendario

Intervista a Fabiola Gianotti. Parla del Cern e (un po’) della sua vita

Ginevra — L’appuntamento è per il primo pomeriggio di un giorno di metà agosto. E’ pur vero che siamo tra le Alpi svizzere e il Massiccio del Giura, ma anche qui il termometro quest’estate ha battuto ogni record, toccando i 35 gradi: quanto basta per immaginare laboratori chiusi e viali semideserti. Invece, L’Organizzazione europea per la ricerca nucleare, nonostante il caldo e i settant’anni di onorata carriera che sta per compiere, è comunque in fermento. La animano migliaia di ricercatori e tanti turisti, arrivati qui, perfino dal Texas, per visitare lo Science Gateway, che, inaugurato lo scorso ottobre, è già diventato una delle principali attrazioni di Ginevra. Fabiola Gianotti, direttrice generale del Cern dal 2016, naturalmente è al suo posto.

Che ci fa al Cern nel cuore di agosto? Non chiudete mai per ferie?

“Solo pochi giorni a Natale. L’estate invece è spesso un periodo di lavoro intenso, perché gli acceleratori sono in funzione e gli esperimenti prendono dati. Ma la cosa più bella è forse la presenza dei summer students: 300 giovani universitari, di cui 150 dai Paesi non membri del Cern, quindi anche da Nazioni in via di sviluppo. Trascorrono qui due mesi, apprendendo molto sulla fisica e sulle tecnologie che usiamo. E danno un contributo importante al nostro lavoro. Per cui l’estate qui da noi è un momento particolarmente gioioso”.


E lei non è andata in vacanza?

“Sì, sono stata una decina di giorni in Val D’Aosta. Per me la vacanza è la montagna: adoro camminare fino a non sentire più le gambe, mi dà una grandissima energia e mi aiuta a ‘svuotare il cervello’. Ma considero vacanza anche poter lavorare alle cose che mi interessano con un ritmo più blando del solito. E nel mese di agosto è più facile che succeda”.

E a cosa sta, state, lavorando in questo agosto 2024?

“Al Cern studiamo i costituenti più piccoli della materia e dell’universo e le loro interazioni. I nostri acceleratori, il Large Hadron Collider (Lhc) in primis, possono essere visti come dei potentissimi microscopi che ci permettono di studiare la natura e le sue leggi al livello più fondamentale, su scale più piccole di un miliardesimo di miliardesimo di metro. Lhc ci permette di affrontare domande affascinanti, come la composizione della materia oscura, che costituisce circa il 25% dell’Universo. Il bosone di Higgs, inoltre, è in gran parte ancora misterioso: la sua scoperta ha aperto un intero capitolo di ricerche, perché si tratta di una particella molto speciale, legata al meccanismo che ha permesso la formazione, nell’Universo primordiale, della materia di cui siamo fatti. E forse è anche legata al destino dell’Universo: dalle caratteristiche del bosone di Higgs dipende la stabilità o meno dell’Universo, che potrebbe essere ‘instabile’ e potrebbe un giorno decadere in uno stato ‘stabile’”.

Il 29 settembre prossimo il Cern compirà 70 anni. Farete una festa?

“Celebrazioni al Cern e nei Paesi membri hanno avuto luogo fin dall’inizio dell’anno, con una grandissima varietà di eventi per il pubblico. Ma la cerimonia ufficiale, alla presenza di capi di Stato e di governo, avrà luogo il primo ottobre. Saranno con noi, tra gli altri, il presidente Mattarella e la presidente delle Commissione Europea von der Leyen. Siamo particolarmente onorati di ricevere il Capo dello Stato: l’Italia ha giocato un ruolo chiave al Cern fin dai tempi di Edoardo Amaldi, uno dei padri fondatori, e continua ad avere un impatto molto significativo ancora oggi, grazie all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, le università e la nostra industria”.

Settant’anni è spesso una età in cui si fanno bilanci. Qual è quello del Cern?

“E’ una istituzione unica, il Cern. Ce ne rendiamo conto ancora di più oggi nella attuale situazione di crisi geopolitiche. La sua eccellenza scientifica e tecnologica ci ha permesso di dare all’Europa la leadership mondiale in fisica delle particelle. Qui sono state fatte grandi scoperte, osservazioni e misure che hanno profondamente influenzato la nostra comprensione della materia, della struttura e evoluzione dell’Universo. Qui sono state sviluppate tecnologie innovative che hanno avuto un grande impatto sulla società: dal Web agli acceleratori per curare i tumori. Inoltre il Cern è un esempio di collaborazione a livello mondiale e di scienza aperta a tutti. Qui formiamo in continuazione circa 4500 giovani: parte di loro rimane nell’ambito della ricerca della fisica delle particelle, ma molti, circa il 70%, vanno altrove, nell’industria o in altre istituzioni pubbliche: quindi forniamo in continuazione alla società giovani che sono stati formati in un ambiente internazionale di eccellenza scientifica e tecnologica. E sappiamo quanto la società ne abbia oggi bisogno”.

Dunque, nonostante i 70 anni, non è tempo di pensione per il Cern.

“Al contrario. Stiamo potenziando Lhc per aumentare l’intensità dei fasci di protoni: con questi ‘aggiornamenti’ funzionerà fino al 2041. In parallelo stiamo sviluppando nuove tecnologie e pensando al successore di Lhc: il progetto più accreditato, non ancora approvato perché attualmente nella fase di studio di fattibilità, si chiama Future Circular Collider: 90 km di circonferenza contro gli attuali 27 di Lhc, avrà un potenziale scientifico immenso e richiederà lo sviluppo di tecnologia di punta in molti settori, in particolare magneti superconduttori avanzatissimi”.

C’è chi auspica la creazione di un Cern per il clima o per l’Intelligenza artificiale. Che ne pensa?

"Il modello Cern è vincente e in teoria si potrebbe esportare ad altri ambiti. Ma non è così facile: il successo del Cern è legato al particolare momento storico in cui fu fondato, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, e al fatto che gli stati membri hanno messo da parte i loro interessi nazionali per abbracciare una causa comune”.

In un’altra occasione ci disse: fare la direttrice del Cern è un po’ come essere il sindaco di una città. Quali sono le città della sua vita?

“Ginevra che mi ha accolto e le sono riconoscente per questo. Ma sono nata a Roma e lì sono vissuta per i primi sette anni. Poi Milano, perché è lì che sono cresciuta. Palermo, perché è la città della mia mamma. Infine Asti, la città del mio papà”.

Riesce a tornarvi?

“Ho poche opportunità di andare in Piemonte, mi capita più spesso di andare in Sicilia o a Roma o a Milano. È sempre bellissimo tornare in Italia”.

Qui a Ginevra vive in città o nei tanti sobborghi lungo il confine tra Svizzera e Francia?

“Amo la campagna e la montagna, ma per la vita quotidiana sono cittadina. E preferisco abitare in centro”.

Sappiamo che il suo impegno al Cern è totalizzante. Si concede un po’ di tempo libero?

“Assolutamente sì. E lo dedico agli amici, alla famiglia, alla musica e al pianoforte, che continuo a suonare anche se non con la regolarità che vorrei avere. E poi lo sport…”.

Sport?

“Sì, mi piace correre, mezz’ora, quaranta minuti. Anche se durante la settimana è difficile che ci riesca tutti i giorni. Corro al mattino presto, prima di venire al lavoro: anche da piccola, potevo alzarmi alle cinque di mattina per fare i compiti, ma dopo cena non se ne parlava”.

Fabiola Gianotti era una “secchiona” a scuola?

“Mi è sempre piaciuto studiare e imparare cose nuove, fin da piccola. Ricordo come uno dei più bei momenti dell’anno quando a settembre andavamo con i miei genitori in cartoleria a comprare i nuovi libri per la scuola. Già solo dai titoli immaginavo tutte le cose nuove che avrei imparato, e per me era una grande gioia. Ma giocavo anche tantissimo: dalle bambole al calcio”.

Lei giocava a pallone?

“Ero l’unica femmina in un gruppo di maschi che giocavano a pallone nel cortile di casa mia. Mi sono anche rotta un dito, non l’ho detto ai miei genitori, cocciuta e stoica già allora. E l’osso non si è rimesso del tutto a posto. Colpa di un calcio preso sulla mano”

Aveva anche una squadra del cuore?

“L’Inter, ma solo per fare dispetto a mio fratello che tifava Milan”.

E’ anche una attrice mancata…

“Attrice è una parolona, ho fatto qualche parte minuscola in un paio di sceneggiati. Invece ho fatto molto doppiaggio: dagli 8 ai 24 anni. Poi quando ho iniziato il dottorato in fisica non potevo portare avanti troppe attività differenti e ho lasciato. Il doppiaggio è stata per me una attività importante, ma la scuola e la musica avevano la priorità”.

Come iniziò?

“Successe quasi per caso: a una festa organizzata dalla scuola di mio fratello, avrò avuto 7-8 anni, i bambini erano invitati a cantare. Un presentatore che era lì notò me e mio fratello e chiese a mia madre se poteva proporci alla Rai. Ci chiamarono per qualche particina, appunto. Da lì nacque l’opportunità del doppiaggio e mi piacque subito: mi permetteva di essere in un mondo di adulti e di serietà professionale. L’attore che doppia ha un importanza fondamentale: la voce conta quasi quanto il volto, e però il doppiatore è meno conosciuto dell’attore cui presta la voce, sta dietro le quinte. E’ un mestiere fatto anche di umiltà. Per me è stata una grande scuola, utile anche per il lavoro che faccio oggi. Ho appreso la dizione e ad avere riflessi pronti, ma anche e soprattutto a non essere intimidita davanti a una telecamera o a un microfono”.

Dallo spettacolo alla letteratura. Nelle librerie di casa ha solo manuali di fisica?

“Ah no, quelli li tengo tutti nel mio studio. Sugli altri scaffali ho saggi, biografie, romanzi”.

Il libro che tiene ora sul comodino?

“Ho appena finito di leggere Paura, un giallo psicologico di Stefan Zweig, scrittore austriaco dell’inizio del secolo scorso. Molto bello”.

In tutte queste attività, Fabiola Gianotti riesce anche a fare la spesa o c’è chi provvede per lei?

“Ci mancherebbe: fare la spesa è fondamentale: le migliori idee vengono quando sei in coda alla cassa del supermercato. Sei lì, con le persone davanti che hanno i carrelli pieni e tu pensi…”

Il bosone di Higgs è stato scoperto così?

“Quello no, ma molte idee per il mio lavoro mi sono venute mentre ero in coda al supermercato”.Genio e sregolatezza è la formula magica per essere dei grandi scienziati?“Per riuscire ci vuole rigore e metodo, come in quasi tutti i mestieri. Ma certo ci vuole anche fantasia, il saper pensare out of the box, come dicono gli anglosassoni”.

A lei quando è capitato?

“Un periodo molto creativo è stato quando abbiamo sviluppato nuove tecnologie per i rivelatori di Lhc e nuovi metodi di analisi per la ricerca del bosone di Higgs. Più di recente, direi l’idea del Science Gateway: all’inizio del mio primo mandato, nel 2016, scoprii che accoglievamo 150mila visitatori all’anno a fronte di quasi 300mila domande perché non avevamo abbastanza punti di visita. Mi sembrava uno scempio che ci fosse tanta sete di scienza che noi non eravamo in grado di soddisfare. Dovevamo fare qualcosa. E a quel punto mi è venuto in mente di costruire un edificio, che poi è diventato il grande edificio di Renzo Piano, di bellezza e dimensioni molto aldilà di quelle che avevo immaginato. Sono molto grata a Renzo per avere accettato di partecipare a questo progetto e ai finanziatori che ci hanno permesso di realizzarlo, primo fra tutti Stellantis”.

E’ stato inaugurato lo scorso ottobre. Come sta andando?

“Benissimo. Ieri (18 agosto) abbiamo raggiunto il record di visitatori giornalieri: 3560. Un successo strepitoso: in meno di 11 mesi abbiamo accolto 340mila visitatori, mentre prima arrivavamo, appunto, a 150mila in un anno. Il che dimostra l’interesse della società, in particolare dei giovani, per la scienza. Perché la scienza dà speranza e fiducia. La gente arriva qui attratta dal Cern e dalla bellezza dell’edificio di Renzo Piano. Ma soprattutto dalla voglia di vedere che l’umanità può fare cose belle, collaborando a livello planetario. Se ne vanno con un sorriso”.

C’è qualcosa che ancora la meraviglia?

“Al di fuori della scienza, la resilienza degli esseri umani, la loro forza, la loro capacità di adattarsi a condizioni molto difficili. E anche la capacità che hanno certe persone di donare la propria vita per nobili cause. In fisica provo meraviglia di fronte alle cose che non conosco, come l’Universo oscuro, il vuoto, che in realtà è pieno di energia e di cui ancora non capiamo la struttura”.

E cosa le piacerebbe scoprire?

“La composizione della materia oscura. Mi piacerebbe poterla produrre in un acceleratore del Cern: la nostra conoscenza dell’Universo passerebbe in un colpo dal 5 al 30%”.

Lhc ci proverà fino al 2041. Potremmo fare in tempo a vederlo…

“Infatti”.