2 luglio 2024
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Biografia di Walter Veltroni
Walter Veltroni, nato a Roma il 3 luglio 1955 (69 anni). Politico. Primo segretario del Partito democratico (2007-2009). Eletto alla Camera nel 1987, 1992, 1994, 1996, 2008 (Pci, Pds, Pd). Dopo la caduta del secondo governo Prodi, guidò la coalizione Pd-Italia dei valori alle politiche dell’aprile 2008, vinte dal centrodestra. Ministro per i Beni e le attività culturali e vicepresidente del Consiglio nel Prodi I (1996-1998). Sindaco di Roma dal 2001 al 2008. Dal 1998 al 2001 segretario dei Ds. Giornalista, dal 1992 al 1996 direttore dell’Unità. Regista. «Mio padre era romanista e mia madre laziale».
Vita Madre Ivanka, di origine slovena, nonno Cyril Kotnik, diplomatico jugoslavo presso la Santa Sede, negli anni Quaranta preso e «torturato dai nazisti in via Tasso. Mia nonna stava nella stanza accanto e sentiva le urla» • Il padre Vittorio (1917-1956) è stato il primo direttore di telegiornale in Italia, morto quando Veltroni aveva un anno. Veltroni dice di aver sofferto poco per questa assenza da piccolo e di averne percepito il peso doloroso man mano che cresceva. Ricorda sé stesso nell’atto di mettersi giacche, camicie, orologi tolti dal cassetto del padre, tentando davanti allo specchio di percepirne il corpo • Un fratello più grande, Valerio, uomo d’affari • Liceo al Tasso di Roma, lasciato dopo una brutta bocciatura. Nel 1970 si trasferisce all’Istituto professionale Roberto Rossellini per cineoperatori. Ha raccontato di essere rimasto colpito dalla diversa estrazione sociale dei suoi nuovi compagni di scuola, quasi tutti operai. Si iscrisse allora alla Fgci (Federazione giovanile comunista italiana, di cui era segretario Gianni Borgna) e divenne segretario della cellula di scuola • Lucia Annunziata, sua compagna di militanza sin dagli anni Settanta: «In quegli anni Walter, che era il più piccolo, era già un irregolare. Parlava della modernità, della cultura pop e degli Stati Uniti. Massimo invece era un marxista puro. C’era una forte differenza culturale tra di loro. Ma non c’era una tensione personale tra loro, piuttosto una diffidenza politica» (a Maria Teresa Meli) • Giacomo Papi ha raccontato su Diario che nel 1984 l’ex dirigente comunista e manager Fininvest Maurizio Carlotto segnalò a Berlusconi quel giovanissimo quadro appena approdato all’ufficio Comunicazione delle Botteghe Oscure: «Guarda, Silvio, che questo qui è uno sveglio con cui si può parlare e che di televisione ne sa: potrebbe essere la sponda che cerchiamo nel Pci». Risposta del Cavaliere: «Veltroni ha i peggiori cromosomi che ci siano in Italia: quelli del Pci e quelli della Rai» • Consigliere comunale a Roma a 21 anni (1976-81), deputato del Pci dall’87. Emergono in questo periodo le caratteristiche psicosomatiche dell’uomo: faccia lunga, occhi buoni, sguardo umido, l’atteggiamento finto innocuo che Forattini riassume nella figura del brucone con la goccia che pende dal labbro di sotto, «uno strano miscuglio di discorsi rivoluzionari e pratiche perbeniste, slanci e sciatterie, avventure ideali e telefonate alla mamma, in cui si identifica quella middle class centromeridionale di insegnanti e impiegati pubblici a reddito fisso e umore variabile che costituisce il nerbo dell’elettorato ulivista» (Massimo Gramellini). Il vignettista del Corriere della Sera Emilio Giannelli, a cui è simpatico, lo vede invece come uno scolaro «seduto al primo banco, col fiocco al collo, quello che non fa dispetti e nemmeno passa i compiti» • Appoggia Occhetto nella svolta della Bolognina, che trasformerà il Pci in Pds (12 novembre 1989). Nel ’92 il partito gli affida la direzione dell’Unità, un compito che era già stato ricoperto da Massimo D’Alema • «Il quotidiano di famiglia è stato un ottimo terreno per misurare all’opera i dioscuri del Pds. Il direttore dell’Unità Massimo D’Alema si presentò con ghigno feroce, tagliò subito le teste che non gli garbavano e si rinchiuse nella sua stanza a giocare ai videogame, decantare il suo quoziente intellettuale e fabbricare origami e giornali tristissimi. Il direttore Veltroni esordì abbracciando tutti, dal condirettore al fattorino, egualmente “importanti per il Paese”. Poi cominciò a farli fuori, ma alla democristiana: cioè senza umiliarli e spendendo in promozioni e prebende un sacco di soldi lasciati in eredità sotto forma di debiti alle generazioni successive di direttori e giornalisti, che ne parlano malissimo ma lo ricordano con simpatia» (Gramellini). Tra le iniziative di quel periodo: l’aver allegato al giornale gli album delle figurine Panini (calciatori), l’aver allegato al giornale le videocassette con importanti titoli del cinema italiano e internazionale (i primi film allegati a un quotidiano erano stati quelli di Paese Sera nel 1993, l’Unità cominciò nel gennaio 1995 e vendeva ogni sabato 400 mila copie invece delle solite 120 mila, risultato che costrinse il resto della stampa italiana ad andarle dietro), l’aver allegato al giornale il Vangelo, caso mai sentito al mondo per un quotidiano comunista, e che gli fruttò un incontro con papa Giovanni Paolo II a cui portò personalmente una copia di quell’edizione • Nel ’94, alla caduta di Occhetto, la base lo vota a maggioranza nuovo segretario del partito. Ma il Consiglio nazionale gli preferisce D’Alema. Nel ’96 sale sul pullman che fa la campagna elettorale di Prodi e forma il ticket con cui il centro-sinistra vince le elezioni. Entra al governo (il Prodi I) come vicepresidente del Consiglio e ministro per i Beni culturali, con delega allo Sport e allo Spettacolo • Tra i provvedimenti da ricordare: la legge che trasforma le società di calcio in società con fini di lucro, dunque quotabili in Borsa e sottoposte – quanto ai bilanci e alla gestione – alle normali regole del Codice civile (l’ex presidente del Coni Pescante lo ha poi accusato di aver creato, con quella legge, le condizioni per la degenerazione emersa con lo scandalo Moggi); l’istituzione di una super-sovrintendenza per Pompei e di una spa incaricata di raccogliere sponsor e denari per rilanciare il sito archeologico più grande del mondo (inutile: Pompei è sempre rimasta in mano a un’invincibile camorra); la decisione di tenere aperti i musei di notte in certi periodi; la vendita dei biglietti per i musei anche in tabaccheria; i finanziamenti per la cultura ricavati da una nuova estrazione del lotto, fissata al mercoledì. Ha venduto il palazzo del Pci di Botteghe Oscure • «Alcuni mesi fa un uomo politico italiano, presentando una mostra di codici medievali, così belli che avrebbero dovuto costringerlo per sempre al silenzio, disse: “Il nuovo Rinascimento che oggi in Italia stiamo vivendo...”. E il nuovo Rinascimento italiano esisteva soltanto perché lui era ministro dei Beni culturali. Credo che nessun paese riesca a produrre vanità in dosi così massicce e industriali: Piramidi di Cheope dell’ego, Colossi di Rodi della megalomania...» (Pietro Citati) • Nel 1998, finita l’esperienza nel governo Prodi, sostituisce D’Alema alla segreteria. D’Alema ha appena trasformato il Pds in Ds: «E, come segretario, Veltroni comanda. Il presunto buonista cambia cinque segretari su nove nella federazione delle grandi città, e 15 segretari regionali su 19» (Edmondo Berselli). Nel 2000 viene riconfermato al congresso di Torino, che trasforma volutamente in un evento politico-spettacolare, con Sting e Moni Ovadia, e una parola d’ordine americana che dice “I care”. Prima del congresso Veltroni fa sapere di non essere in realtà mai stato comunista e di essersi iscritto al partito di Berlinguer, mentre non avrebbe mai aderito a quello di Togliatti. Criticatissimo da quelli della sua parte politica. Curzio Maltese: «Si poteva organizzare il prossimo congresso (convention) della Quercia direttamente in inglese, in una chiesa di Atlanta, la città di Martin Luther King, Cnn e Coca Cola, con contorno di Gospel e ritratti di Kennedy, invece di scomodare l’ex fabbrica del Lingotto che sa ancora troppo di classe operaia (working class), tanto per esser sicuri di non farsi capire, di parlar d’altro come sempre» • Appena eletto sindaco di Roma dà disposizione all’anagrafe che il suo nome sia cambiato da Valter a Walter («dominatore degli eserciti»). L’elezione a sindaco di Roma nel 2001 (lasciò la segreteria del partito a Fassino e batté al primo turno col 53% dei voti il candidato di Forza Italia Tajani) mostrò tuttavia che la tanto criticata leggerezza sostanziava una formidabile macchina del consenso. Nel 2004 la Ipsos realizzò una ricerca sul gradimento del sindaco e constatò che Veltroni piaceva all’82% dei romani. Nel 2006 batté il nuovo avversario Alemanno con una percentuale più alta di quella del 2001: 61,7%. Questi grandi risultati in termini mediatici sono stati ottenuti con una scelta oculata dei moltiplicatori del consenso, prima di tutto gli uomini di spettacolo, corteggiati fin da quando, da ministro dei Beni culturali con delega allo Spettacolo, distribuiva i finanziamenti per il cinema. Gli attori, i registi, i cantanti rilasciano interviste di continuo e capita spesso che il giornalista chieda degli orientamenti politici. L’intervistato in questione dice sempre, ormai da molti anni (che si tratti di Fazio, di Bonolis o di Carlo Verdone) che «Veltroni è un’altra cosa». In secondo luogo le redazioni dei giornali, tenute sotto ferreo controllo dal suo staff, una trentina di persone, tra cui un capufficio, sei giornalisti, cinque addetti alla segreteria, due tecnici della rassegna stampa, due archivisti, cinque fotografi, due addetti all’istituzionale: le tre testate principali della capitale (Messaggero, Repubblica, Corriere della Sera) sono grazie al sapiente lavoro di queste persone schierate senza dubbi col sindaco in modo tale che quando il sindaco convoca una conferenza stampa per esempio sul ritrovamento di un vaso, il vaso apre di sicuro le cronache • È a sua volta un formidabile creatore di eventi: le notti bianche che si svolgono in settembre e durante le quali tutta la città canta, suona e balla; la Festa del cinema, concorrenziale al Festival di Venezia la cui prima edizione si è svolta a ottobre 2006 e per la quale è stato capace di mobilitare capitali per 12 milioni di euro; la pubblicazione del romanzo La scoperta dell’alba con coro di recensioni entusiaste (su tutti Andrea Camilleri, un’intera pagina sull’Unità) e soprattutto con la sistemazione nelle vetrine di tutte le librerie di Roma di una sua foto con dolce sguardo da cocker (il libro è stato un best seller) • Ottimo organizzatore: mai un incidente né durante le notti bianche né durante i funerali di papa Wojtyla (che portarono a Roma tre milioni di persone) né durante il black out che lasciò al buio l’Italia intera la notte del 28 settembre 2003 (in coincidenza con la “notte bianca”) • Nella primavera 2007 «si sono riuniti, pressoché in contemporanea, i congressi dei Ds e della Margherita e hanno deliberato la stessa cosa: sciogliersi e confluire nel nuovo Partito democratico, la cui costituente dovrebbe essere convocata in autunno. Sabato 21 aprile 2007 il segretario dei Ds, Fassino, ha dato l’annuncio finale scoppiando in lacrime. Gli osservatori prevedono che, conclusa la fusione, Fassino avrà praticamente esaurito il suo compito e uscirà di scena. A guidare la nuova formazione si candideranno, per i Ds, soprattutto Veltroni e la Finocchiaro a cui i congressisti hanno riservato una standing ovation. D’Alema dovrebbe trasformarsi in una specie di padre del partito. Sul versante Margherita, i cavalli di razza dovrebbero essere Dario Franceschini, Rutelli, Marini e, naturalmente, Prodi, il quale però ha annunciato il suo ritiro per il 2011 (due anni dopo, peraltro, bisognerà votare il dodicesimo presidente della Repubblica). Tre problemi: il quindici per cento dei diessini, guidato da Fabio Mussi, ha lasciato il partito e lavorerà con Rifondazione e gli altri della sinistra per costruire “un nuovo soggetto politico”; è in atto una polemica forte tra diessini e margheritini su quale debba essere la collocazione internazionale del Partito democratico, se nel Partito socialista europeo (il che lo accrediterebbe come una formazione in un modo o nell’altro marxista) oppure no; mettere insieme denari e patrimoni delle due formazioni non sarà affatto semplice: la Margherita possiede un giornale (Europa) e i Ds no, sul marchio della Festa dell’Unità avanza qualche pretesa anche Mussi, ecc.» (Dell’Arti) • Dapprima riluttante, poi consapevole che «certi treni passano una volta sola», Veltroni, incassate le dichiarazioni di voto a suo favore di D’Alema (che si pronuncia addirittura durante una puntata di Ballarò), Rutelli, Fassino, la Finocchiaro e altri notabili dell’una e dell’altra parte, si lascia convincere ad assumere la guida del nuovo partito. Un paio di punti vengono stabiliti subito: resterà sindaco di Roma il più a lungo possibile; verrà proclamato al termine di primarie addomesticate (Bersani, che vorrebbe confrontarsi con lui, viene convinto a lasciar perdere). In nome dei cattolici e della Margherita si decide di schierare Rosy Bindi, abbastanza combattiva per far sembrare la battaglia una cosa seria, ma senza speranza di ottenere più di tanto. Altro candidato della nomenklatura, del tutto innocuo, è Enrico Letta. Poi due giovani, che assicurano alla corsa il giusto tono dinamico: Mario Adinolfi e Piergiorgio Gawronski. La discesa in campo viene ufficializzata martedì 19 giugno ed è uno scossone politico. In un primo momento si era pensato che un segretario del Pd troppo forte avrebbe messo a rischio Prodi. Ma a metà giugno i sondaggi dànno il governo in picchiata e si è già assaggiato l’elettorato con le amministrative: risultato pessimo soprattutto per l’ala sinistra dello schieramento • Mercoledì 27 giugno, nella Sala Gialla del Lingotto, venne pronunciato il discorso fatidico, che doveva far capire al mondo che cosa aveva in mente il nuovo protagonista della vita politica italiana. Egli disse che il Partito democratico avrebbe dovuto ispirarsi a libertà, unità, giustizia sociale, pari opportunità di partenza per tutti, apertura alle donne, forte memoria dell’origine antifascista della Repubblica, niente ideologismi, niente derive moderate o estremiste, largo ai giovani e lotta alla precarietà («la vita non è un part-time»). Quattro i punti programmatici della piattaforma: Ambiente, Patto generazionale, Formazione, Sicurezza. Ambiente: accettazione totale del protocollo di Kyoto e delle ultime delibere anti-inquinamento della Ue. Patto generazionale: non lasciare ai nostri figli il debito pubblico di adesso, allentare la pressione fiscale mentre si combatte l’evasione, arrivare a un risultato tangibile in tre anni. Formazione: rilanciare la scuola, l’ignoranza è l’anticamera della povertà (citando il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi). Sicurezza: giustizia rigorosa e severa, aumentare magari i diritti degli immigrati, ma non concedere nulla alla malavita («la microcriminalità non esiste, esiste la criminalità»). In chiusura, rapidi excursus sui temi rimasti ancora fuori: riforma elettorale, riforma istituzionale, i Dico («i laici rispettino i cattolici, i cattolici si rassegnino all’idea che lo Stato laico possa far leggi in favore di chi si ama»). Chiusura emozionale con una quindicenne romana scomparsa, di nome Giulia, e con le sue parole di solidarietà verso i poveri di tutto il mondo. Il discorso cominciò con lo slogan: «Fare un’Italia nuova». Vennero citati, nell’ordine e quasi sempre con la pausa necessaria a permettere alla folla di applaudire: De Gasperi, Prodi, Fassino, Rutelli, Ciampi, Michele Salvati e Pietro Scoppola, Olof Palme, di nuovo Prodi, Vittorio Foa, Massimo D’Antona e Marco Biagi, Gustavo Zagrebelsky, Renzo Piano, il sindaco di Torino Sergio Chiamparino (a cui ha fatto un gran sorriso e stretto la mano), di nuovo Fassino e Rutelli, Dario Franceschini, che gli farà da vice. Mario Draghi, tre volte. Niente Kennedy, niente Luther King, l’Africa solo il minimo indispensabile, nessun maestro del cinema. Tra i commenti spiccarono quelli dei prodiani, vanamente contrari all’investitura plebiscitaria che avrebbe avuto luogo il 14 ottobre • Una settimana prima del voto disse che gli sarebbe piaciuto avere con sé Veronica Berlusconi. Lei declinò • L’elezione del 14 ottobre 2007 fu effettivamente plebiscitaria: andarono alle urne in tre milioni e 400 mila e il 75,6% votò Veltroni. Risultati degli altri: Bindi 14,4%, Letta 10,1%, Adinolfi e Gawronski 0,1%. Venne notato che nessun partito politico europeo era nato con una procedura come quella. E che nessun capo-partito aveva mai avuto un’investitura tanto forte. Al punto che si dubitava della possibilità che Prodi, tanto bistrattato in quel momento dall’opinione pubblica, potesse resistere a un partner così popolare • Il 30 novembre cominciò il dialogo con Berlusconi. Veltroni aveva subito dichiarato che il metodo della contrapposizione frontale e della delegittimazione reciproca tra centro-destra e centro-sinistra doveva cessare • Il segretario del Pd, contrastato dai vecchi cavalli di razza dei Ds e della Margherita, propugnava, sostenuto sorprendentemente da Giuliano Ferrara, la nascita di un partito leggero o “liquido”, senza segreterie, direzioni, comitati centrali, soprattutto senza correnti. Questa formazione sarebbe stata aperta verso l’esterno, capace quindi di inglobare nel proprio Dna, e di rappresentare poi politicamente, associazioni di scopo, movimenti territoriali dediti alle battaglie più diverse, circoli in qualche modo progressisti e inquietudini culturali varie più o meno di ogni tipo. Proclamando questi obiettivi, Veltroni poteva rinviare congressi, tesseramenti, conte interne e insomma tenere a bada gli “odiatori” (espressione di Paolo Mieli) che avrebbero volentieri sabotato sia il dialogo col centro-destra sia la nuova classe dirigente che il segretario annunciava • Annunciandosi la crisi di governo con le dimissioni di Mastella, Veltroni proclamò che il Partito democratico si sarebbe presentato alle elezioni da solo, senza stringere alleanze a sinistra e senza riprodurre lo schieramento-monstre che aveva fatto impazzire Prodi. Poiché intanto Berlusconi obbligava Fini a far confluire le liste di An in quelle del Popolo della Libertà, si annunciava un voto che per via politica avrebbe anticipato gli effetti semplificatori perseguiti dal referendum. Quando si andò a votare, il 13-14 aprile 2008, si vide che la scelta di Veltroni aveva determinato l’espulsione dal Parlamento dei socialisti e delle quattro formazioni di sinistra (Rifondazione, Verdi, Pdci e Sd). Il quadro politico ne risultava straordinariamente semplificato dato che alle Camere erano rappresentati, per la sinistra, solo il Partito democratico e l’Italia dei valori (Veltroni, tra mille polemiche, aveva accettato l’apparentamento con il solo Di Pietro e imposto ai radicali la confluenza) • Mandato all’opposizione, il capo dei democratici subì un altro smacco a Roma, dove Francesco Rutelli, messo in campo quasi a forza, fu battuto da Gianni Alemanno. Di questa sconfitta sarebbe difficile non far carico almeno in parte allo stesso Veltroni. L’assassinio della signora Giovanna Ruggeri aggredita in strada dal rumeno Nicolae Romulus Mailat (30 ottobre 2007) aveva rivelato una città degradata, infestata da almeno sessanta campi abusivi di baracche, di cui l’amministrazione, molto impegnata a far venire i divi di Hollywood a Roma per la Festa del Cinema, aveva perso completamente il controllo •• Da capo dell’opposizione costituì un governo ombra, riprendendo un’idea di Occhetto. Ben presto, però, la leadership di Veltroni sul centro-sinistra apparve fortemente indebolita. Di Pietro, dando voce al punto di vista girotondino, gli erodeva consensi a sinistra. D’Alema, sotterraneamente manovrando con la sua fondazione Italianieuropei, si preparava a sostituirlo con un uomo di suo gradimento. Non semplici neanche i rapporti con l’ala cattolica del Pd (la ex Margherita) che, sia pure sottovoce, parlava di ricreare una formazione cattolica, magari andando a un qualche accordo con Casini • Nel 2008 i catastrofici risultati delle politiche, delle amministrative e delle regionali di Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Abruzzo, finirono puntualmente per alimentare lotte e dissidi interni al partito, mettendo sempre più in discussione la figura del segretario. Il colpo fatale fu la sconfitta alle Regionali sarde del 2009 (15 e 16 febbraio), che videro la clamorosa sconfitta del presidente uscente di centrosinistra Renato Soru (43%), figura in ascesa all’interno del Pd e «uno degli uomini di punta del veltronismo» (Giovanni Fasanella), per opera dello sfidante di centrodestra Ugo Cappellacci (52%), personaggio del tutto sconosciuto fino al momento della candidatura e presentato alle cronache come «figlio del commercialista di Berlusconi» • Il 17 febbraio, preso atto del risultato, Veltroni rassegnò le proprie dimissioni dalla segreteria del Pd. «Il lungo addio di Walter Veltroni, il giorno dopo la disfatta sarda, è in poche parole: “Mi assumo le responsabilità mie e non. Basta farsi del male, mi dimetto per salvare il progetto al quale ho sempre creduto”. Mea culpa e j’accuse. Assunzione di responsabilità e chiamata in correo. Veltroni, dopo essere rimasto a lungo alle corde, decide di sfidare tutti a viso aperto: “Me ne vado perché non mi avete fatto fare il partito che volevo, perché sono stato ostacolato, perché mi sono stati messi i bastoni tra le ruote”. Difficile non pensare al convitato di pietra, Massimo D’ Alema. Un nome, Veltroni lo mette nero su bianco. Pierluigi Bersani, indicato come uno dei motivi delle dimissioni: “La sua candidatura, avanzata in anticipo sui tempi, ha indebolito il partito. Una fase congressuale così lunga era un via crucis, insostenibile per me e per il partito”» (Alessandro Trocino) • Dopo qualche mese, in giugno Veltroni ruppe il silenzio per annunciare il proprio sostegno alla candidatura di Franceschini alla segreteria del Pd, in vista delle primarie d’autunno, nel nome di un ritorno allo «spirito del Lingotto» e alla «vocazione maggioritaria» del partito. A vincere fu però Pier Luigi Bersani • Ritiratosi in posizione apparentemente marginale e distaccata rispetto all’agone politico, Veltroni investì tempo ed energie nelle altre sue passioni, prima fra tutte la scrittura. Ha pubblicato una dozzina di romanzi. Da ultimo I fratelli che volevano cambiare il mondo (Feltrinelli, 2023) e La condanna (Rizzoli, 2024) • Nella primavera 2014 il debutto da regista, con Quando c’era Berlinguer, film documentario distribuito nelle sale a fine marzo e trasmesso poi su Sky Cinema (produttore del film) in occasione del trentennale della morte dello storico segretario del Pci Enrico Berlinguer (1922-1984). Sono seguiti, tra gli altri, I bambini sanno - documentario (2015), C’è tempo (2019), Quando (2023), DallAmeriCaruso. Il concerto perduto (2023) • Scrive per il Corriere della Sera e per il Corriere dello Sport • È sposato dal 1982 con l’architetto Flavia Prisco (Roma 1° dicembre 1958), figlia di Massimo, direttore della federazione statali della Cgil, e di Franca D’Alessandro (Roma 4 luglio 1931), assessore a Roma con Argan, Petroselli e Vetere poi senatore del Pci. Water e Flavia si conobbero nel 1973 al Festival della gioventù di Berlino, le nozze furono celebrate da Maurizio Ferrara (padre di Giuliano), fra i testimoni Francesco De Gregori. Vivono a Roma, in un appartamento Inpdai a Porta Pia, tra i pochi che non furono messi in vendita dopo lo scandalo cosiddetto di Affittopoli. La figlia maggiore, Martina (Roma 20 settembre 1987), è regista; la minore, Vittoria (Roma 9 agosto 1990), è una stilista • Onoreficenze: insignito dal presidente francese della Legion d’onore per l’attività svolta a salvaguardia dei beni culturali (2000), laurea honoris causa in Public services alla John Cabot (2003), cavaliere di Gran Croce (Ciampi, 2006).
Sport Juventino da sempre. La Juve è però squadra fortemente antipatica ai non-juventini. Veltroni ha dunque anche preso le distanze dai bianconeri, dichiarandosi disgustato del calcio dei tempi moderni che, secondo una sua espressione, «ha tolto l’anima al gioco». Ha quasi fatto credere di essere romanista-laziale, salvo fare precipitosamente marcia indietro quando la cosa ha rischiato di iscriverlo nel «club Fede», i tifosi che nel corso della vita hanno cambiato squadra per opportunismo. S’è comunque messo la sciarpa giallorossa al collo, cosa che ha suscitato le critiche del rivale romanista D’Alema («io la sciarpa della Juve al collo non me la sarei mai messa»). Sfiorando l’eresia, s’è perfino definito «juventista»: «Come si possono amare due grandi poeti, io amo la Juve, mia squadra per sempre, e ho simpatia per la Roma e amicizia per Totti» (a Luigi Garlando) • Appassionato di basket.
Frasi «Sono affascinato da un’idea: una bellissima uscita di scena. La considero una delle cose più importanti della vita. Soltanto un’uscita di scena forte e dignitosa ti può garantire il ricordo che mi auguro. Spero che un giorno si possa parlare di Veltroni come di un uomo che ha fatto una vita pubblica appassionata e disinteressata. Fin dall’inizio la mia ossessione è stata stabilire il momento dell’uscita di scena» [cit. in Andrea Romano, Compagni di scuola, Mondadori 2007]. «Penso che sia molto importante come si muore e cosa si lascia. Non vorrei morire arrabbiato». • «Non sono uno scrittore, sono una persona che scrive» • «Mi affascina l’idea del tempo che scende anziché salire» (spiegando la passione per il basket).
Religione «Non si definisce un credente, continua a dire che “crede di non credere”. Ma dice che non ha mai perso “il gusto della ricerca di una dimensione ampia, profonda, alta. Quel che posso dire – spiega – è che questo gusto, questo desiderio di ricerca, non è diminuito col passare del tempo, al contrario”» (la Repubblica, commentando nel 2006 un’intervista pubblicata dall’Eco di San Gabriele, mensile dei padri passionisti abruzzesi).
Vizi «Padre indiscusso del vintage di sinistra, non per caso ossessionato dall’archetipo della fine dell’innocenza (il suo libro su Bob Kennedy si chiamava Il sogno spezzato, quello su Berlinguer La sfida interrotta) e collezionista dei piccoli feticci generazionali (programmi tv, figurine dei calciatori e soprattutto vecchi film) che danno il senso di una continuità immaginaria con un tempo irrecuperabile» (Guido Vitiello) • Passione per i cosiddetti B-movies: una sua recensione pubblicata negli anni Novanta su Il Venerdì sdoganò Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda, filmetto del 1972 con Edwige Fenech e Pippo Franco (regia di Mariano Laurenti): «Ha aiutato a dislocare verso equilibri più avanzati il comune senso del pudore» • Non porta la fede: «Da ragazzo sono rimasto traumatizzato, quando un mio amico ha perso un dito della mano perché la sua fede era rimasta impigliata in un cancello...».