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 2024  luglio 05 Venerdì calendario

Biografia di Geoffrey Rush (Geoffrey Roy Rush)

Geoffrey Rush (Geoffrey Roy Rush), nato a Toowoomba (Queensland, Australia) il 6 luglio 1951 (73 anni). Attore. Tra i numerosi riconoscimenti ricevuti, un premio Oscar al miglior attore protagonista (1997, per Shine di Scott Hicks), un Tony Award al miglior attore protagonista in un’opera teatrale (2009, per Il re muore di Eugène Ionesco) e un Emmy Award (2005, per Tu chiamami Peter di Stephen Hopkins). «Sono […] un attore di teatro del XIX secolo che si lancia verso la macchina da presa» (a Claudia Catalli) • Secondo dei due figli di un contabile dell’aeronautica militare australiana di ascendenze britanniche e irlandesi e di una commessa di ascendenze germaniche. «Ricorda di essere rimasto estasiato dagli spettacoli itineranti in tenda di Sorlie, pantomime che giravano nella regione del Queensland negli anni ’50, quando aveva sette o otto anni. La performance dell’interprete di vaudeville Bobby Le Brun nel ruolo di Dame Trot in Jack e la pianta di fagioli, in particolare, gli suscitò un impulso creativo. Tagliò le scatole di scarpe a casa per realizzare una replica dei set teatrali di Sorlie. Recitava nelle messinscene scolastiche dell’ora di pranzo e sviluppò una passione per The Mavis Bramston Show, i film di Preston Sturges e le scenette mute di Charlie Chaplin e Buster Keaton» (Lenny Ann Low). «A scuola, un Rush “accademico e magro” si “trastullava nella recitazione”, gravitando intorno ai ruoli comici. […] Alla fine degli anni Sessanta Rush fu avvistato nudo nella “versione tribal rock delle Baccanti di Euripide” dell’università» (Liese Spencer). «Geoffrey Rush salì sul palco dell’Università del Queensland e annunciò che si sarebbe spogliato. “Questa è una rivista studentesca”, disse al pubblico. “Senza dubbio vi aspettate una scena di nudo, quindi sarà meglio farla finita”. Poi si tolse i jeans tinti a nodi e la maglietta tinta a nodi e, per alcuni secondi, rimase nudo come un verme. Blackout. La folla impazzì. Ad assistere c’era Alan Edwards, il primo direttore della Queensland Theatre Company, che, intuendo il talento di questo audace ventunenne, gli offrì subito il suo primo lavoro professionale» (Low). «“Devo essermi distinto”, sorride. “Diedi l’ultimo esame di venerdì e iniziai a lavorare di lunedì”. Tre anni dopo, Rush lascia la compagnia con una solida formazione di base, ma la sua passione per il vaudeville non è scomparsa e decide di recarsi a Parigi per studiare “le jeu”, l’arte del pagliaccio, alla scuola di recitazione Jacques Lecoq. “Sapevo di non voler andare al nostro Istituto nazionale, specializzato in un teatro molto più formale, basato sul testo”, dice, “ma non avevo alcun piano quinquennale in mente. Ero semplicemente attratto da una nozione europea di teatro e cinema. Noi australiani siamo molto lontani dall’altra parte del mondo e, sai, ti viene voglia di vedere cosa c’è a nord”» (Spencer). «“Jacques Lecoq mi ha insegnato a cadere, a ricevere schiaffi e a essere un fallimento”, ha scritto Rush in una lettera in memoria del suo defunto mentore. “Inoltre, dovrei aggiungere, mi ha insegnato come alzarmi e stare in piedi, semplicemente stare in piedi e stare con me stesso e con il pubblico”» (Low). «Progredendo grazie all’approccio più fisico di Lecoq, Rush scoprì quello che percepiva come uno stile di recitazione più emozionante: “Gratta la maggior parte degli artisti e vedrai la vera immaginazione piuttosto che un insieme di convenzioni”. Studiare in Europa, nel frattempo, fu un’esperienza inebriante. “Ventitré studenti poveri. A Parigi. Molto romantico. Facevo il lavapiatti”. Tornò a casa per iniziare una lunga carriera teatrale di successo interpretando personaggi del calibro di Chlestakov in L’ispettore generale di Gogol, Popriščin in Le memorie di un pazzo e persino il Buffone nel Re Lear di Warren Mitchell» (Spencer). «Fino ai suoi primi ruoli cinematografici, uno dei motivi di fama di Rush era l’essere apparso nel ruolo di Vladimir accanto a un giovane Mel Gibson nel ruolo di Estragon in una produzione teatrale a Sydney di Aspettando Godot, nel 1979. “Probabilmente eravamo entrambi troppo giovani – Mel aveva 23 anni e io 28 – ma realizzammo una produzione molto divertente dal punto di vista fisico che fu una gioia interpretare. Lui era più o meno appena uscito dalla scuola di recitazione, e io ero tornato dopo aver studiato a Parigi per un paio d’anni. Attinsi ai miei ricordi della fine del vaudeville, che colsi prima che la televisione arrivasse nel mio Stato d’origine, il Queensland – e so che Beckett amava il music hall. Ho visto produzioni dell’opera così reverenziali da risultare noiose. Noi facevamo rotolare il pubblico”» (Richard Mowe). «“Eravamo tutti abbastanza certi allora che Mel fosse destinato a grandi cose perché a quel tempo aveva realizzato il primo Mad Max (1979) e aveva fatto un paio di altri film”, ricorda Rush. “Sembrava inevitabile”. Mentre Gibson sfondò negli anni ’80 con Arma letale e altri successi, Rush impiegò un po’ più di tempo per lasciare il segno sugli schermi cinematografici. Prese parte ad alcuni film, tra cui La dodicesima notte del 1987. Ma fu Shine del 1996 a presentarlo al pubblico cinematografico come un attore di grande talento. Interpretare un genio del pianoforte fumatore accanito, balbettante, abusato e malato di mente non è un compito facile, ma Rush ci riuscì» (Jamie Allen). Grazie a questa interpretazione, l’anno successivo, alla sua prima candidatura, Rush riuscì a conquistare il premio Oscar al miglior attore protagonista. «Qual è l’importanza di un Oscar e come ha influenzato la tua vita e carriera? “Ebbene, l’effetto è stato enorme. […] Shine era il mio secondo ruolo importante in un film (dopo Dad and Dave: On Our Selection). Avevo trascorso tutto quel tempo a teatro e poi all’improvviso questo film andò oltre le aspettative di tutti, trovò un pubblico internazionale e prese parte alla stagione dei premi. Quindi, sì, questo ha semplicemente cambiato tutto”» (Helen Barlow). «Nelle pellicole successive si dimostra valente attore versatile: è l’implacabile prefetto di polizia Javert nel letterario I miserabili (1998) di B. August, il simpatico bugiardo Philip Henslowe del romantico e rocambolesco Shakespeare in Love (1999) di J. Madden, l’eccentrico marchese De Sade nell’audace Quills – La penna dello scandalo (2001) di P. Kaufman. Nel 2004 interpreta P. Sellers nel biopic Tu chiamami Peter di S. Hopkins. È presente nelle ricostruzioni d’epoca di Munich (2005) di S. Spielberg ed Elizabeth – The Golden Age (2007) di S. Kapur e veste i panni del filibustiere Capitan Barbossa nella saga firmata da G. Verbinski La maledizione della prima luna (2003), Pirati dei Caraibi – La maledizione del forziere fantasma (2006) e Pirati dei Caraibi – Ai confini del mondo (2007)» (Gianni Canova). Anche in seguito Rush si è alternato tra grandi produzioni hollywoodiane (Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare di Rob Marshall, Gods of Egypt di Alex Proyas, Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar di Joachim Rønning ed Espen Sandberg) e pellicole meno commerciali e più ambiziose, tra cui Il discorso del re di Tom Hooper, grande e inatteso successo, e La migliore offerta di Giuseppe Tornatore, «forse l’esperienza più piacevole di tutta la mia carriera». Parallelamente ha continuato anche a calcare le scene teatrali, misurandosi brillantemente con nuovi personaggi. «Ora sono alla ricerca di ruoli di patriarca. Ero il Buffone di Lear. Ora sono Lear» (a Tara Brady) • Tra il 2017 e il 2018 fu accusato di «comportamento inappropriato» da due attrici australiane, in un caso vedendo riconosciuta in sede giudiziaria la propria estraneità alle accuse, nell’altro dichiarandosi rammaricato per il disagio che l’«energico entusiasmo che generalmente infondo nel mio lavoro» aveva involontariamente procurato alla collega. «Pensi di aver lasciato tutto questo nel passato e di poterti concentrare di nuovo sulla tua carriera? […] “Fino ad allora avevo, direi, una carriera che andava avanti di slancio da 45 anni. E poi si è come interrotta bruscamente. Ma ora posso andare avanti”» (Georg Szalai) • Due figli, Angelica (1992) e James (1995), dall’attrice australiana Jane Menelaus (1959). «Incontrò Jane quando recitavano insieme. Trascorsero la luna di miele recitando sul palco: lui era Jack e lei Gwendolen in una produzione di L’importanza di essere Franco. “Più tardi, quando abbiamo fatto Marat/Sade, ogni notte è riuscita a tenermi un coltello sopra la testa”, dice con un sorrisetto malizioso. Si sente a suo agio a Melbourne “perché mentalmente e fisicamente è dove mi sento a casa. Volevo che i miei figli crescessero in Australia: se ho qualcosa da trasmettere loro come genitore e mentore, è la mia esperienza di essere cresciuto lì e di aver modellato una carriera lì. Abbiamo una vasta rete di amici. Finora sono stato in grado di fare il ‘pendolare’ ovunque qualcuno volesse che andassi”» (Mowe). «Cosa devi ai tuoi genitori? “Mia mamma ha magnificamente sposato e incoraggiato l’instabilità della mia carriera imprevedibile”» (Rosanna Greenstreet) • Ha dichiarato che il suo film preferito è Luci della città di Charlie Chaplin • «Qual è la tua più grande paura? “Essere solo in una stanza con una tigre: un sogno ricorrente, mai realtà, per fortuna”» (Greenstreet) • «Cosa ti disturba di più del tuo aspetto? “Il naso teutonico ereditato, leggermente bulboso, e le protuberanze ossee sulle spalle, che danno l’impressione che io sia stato messo ad asciugare”» (Greenstreet) • «Grande interprete del teatro shakespeariano» (Cristiana Allievi). «Altrettanto a suo agio e convincente come pirata spavaldo (Pirati dei Caraibi), logopedista reale (Il discorso del re) e nobile (Shakespeare in Love), l’attore Geoffrey Rush ha avuto una delle carriere più varie e invidiabili nel settore» (Mowe) • «Rush elenca […] i registi italiani di cui si è nutrito: “Visconti, Comencini, Fellini, Bertolucci, Bolognini, De Sica, e oggi Garrone, Guadagnino”. Poi cita il costumista Millenotti, il truccatore Luigi Rocchetti… “Ho una vera e propria ossessione per il vostro cinema. Tornatore è stato un sogno che si avverava”» (Valerio Cappelli) • «Quanto conta la preparazione teatrale nell’affrontare un ruolo? “Io ho studiato a teatro e continuo a lavorarci. Il palcoscenico è tutto il mio background, e l’approccio al copione, che sia per il cinema o per il palcoscenico, spesso è lo stesso”. […] Un po’ Marlon Brando, un po’ Mastroianni, secondo Tornatore. “Davvero? Non me l’ha mai detto. Mi paragonava piuttosto a Bob Hope! E lo prendevo come un complimento. È un regista fantastico”» (Catalli) • «Sono il tipo di attore per il quale entrare in un personaggio significa mettersi in una condizione di interpretazione fantasiosa. Ciò significa che non devi farti carico delle disabilità, delle condizioni, delle preoccupazioni o di qualunque cosa il personaggio possa avere. Ti identifichi in modo fantasioso, lo interpreti e lo crei al meglio delle tue capacità. Poi lo appendo nella roulotte del camerino o nell’armadio a fine giornata. Durante le riprese di Shine ho sempre lasciato che l’energia e il ritmo del personaggio ribollissero sotto di me, ma non pretendevo che le persone intorno a me tacessero perché avevo bisogno di andare in un posto speciale. Il posto speciale in cui devo andare è la mia immaginazione» • «Ho avuto una carriera magnifica. Ho lavorato con persone che amo, ho soddisfatto la mia passione per il cinema italiano, ho interpretato un musical indigeno, Bran Nue Dae, sono stato Einstein, una figura storica che dovevo personalizzare, ho girato anche film sulla storia di Shakespeare… Direi che mi è andata molto bene».