8 luglio 2024
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Biografia di Adriano Panatta
Adriano Panatta, nato a Roma il 9 luglio 1950 (74 anni). Ex tennista. Nel 1976 vinse gli Internazionali d’Italia, il Roland Garros e la coppa Davis. «Solo un pazzo può pensare di diventare un grande campione. E io lo fui per qualche anno».
Vita Figlio di Ascenzio, custode dei campi del Tennis Club Parioli • Di famiglia socialista, era soprannominato il Cristo dei Parioli «per la sua aria sofferta e stremata in campo» (Emanuela Audisio) • «È nato dentro il campo dei Parioli, limitrofo alle baracche di pasoliniana memoria, abbattute nel 1960 per far posto al villaggio olimpico. Era frequentato dalla meglio gioventù romana, guidata da Nicola Pietrangeli. Il tempo di allenarsi qualche anno usando la racchetta con il manico tagliato che gli aveva preparato il padre, la rete disegnata sul muro dietro casa e Adriano faceva cambiare epoca al tennis italiano, batteva giovanissimo Pietrangeli e apriva le porte dei tennis club ai ragazzi del popolo» (Malcom Pagani) • Nel 1976 a Roma salvò al primo turno undici matchpoint contro l’australiano Warwick. «Poi batte Zugarelli, Franulovic, rischia contro Solomon – che si ritira mentre stava vincendo, infuriato per una chiamata del giudice di linea – supera Newcombe in semifinale e trionfa in finale contro l’argentino Vilas, dopo un primo set di confusione, in una domenica piena di sole. La frangia ribelle, le magliette Fila aderenti al torso atletico, Panatta diventa un’icona nazional-popolare. È il primo tennista italiano vincente e teletrasmesso, il tennis conosce una frustata di popolarità. Alle elezioni di fine giugno il Pci supera il 34 per cento, e Panatta, che da giovane si presentava a Formia con Il Manifesto sotto il braccio per far arrabbiare Belardinelli, ex maestro del Duce, vince anche a Parigi, sempre da predestinato. Al primo turno salva di nuovo un matchpoint contro il ceko Pavel Hutka. Vince con Kuki, con Hrebec, di nuovo con Franulovic. Nei quarti batte l’imbattibile Borg, in semifinale Eddie Dibbs. Il giorno della finale si accorge di non avere più le sue amate scarpette Superga (gliene recapiteranno un paio nuovo, grazie alla collaborazione di un capitano dell’Alitalia, cinque minuti prima del match), e sua moglie Rosaria gli schiaccia la mano sinistra nella portiera. Ma lui, impunito e fortunato, negli spogliatoi chiama davanti allo specchio il suo avversario, Harold Solomon, “lo gnomo maledetto”. “Guardati, Solly – gli dice indicando le due immagini diseguali – lo specchio non sbaglia mai. Basso come sei, come credi di battermi?”. E perde, infatti, Solomon, in quattro set, contro un Panatta splendido e stremato. È un torneo dello Slam, quello che ha vinto Adriano, uno di quelli che valgono, che restano. In patria, telecatechizzati da Guido Oddo, i racchettari aumentano, si moltiplicano. A Wimbledon, Newcombe accoglie il neo-Immortale con un sorriso baffuto: “Benvenuto nel club, ragazzo, era ora”. In agosto Adriano tocca il numero 4 delle classifiche mondiali, dopo aver aiutato l’Italia a passare i quarti di coppa Davis con l’Inghilterra: nessun italiano nell’era moderna era arrivato così in alto, nessuno dopo di lui ci arriverà. A settembre l’Italia vince anche le semifinali di Davis, contro l’Australia a Roma. È finale, ma con un problema: bisogna giocarla a Santiago, contro il Cile, qualificatosi perché l’Urss ha rifiutato di battersi contro la squadra che rappresenta il Paese del dittatore Pinochet. L’occasione di vincere l’Insalatiera è unica» (Stefano Semeraro) • Anche in Italia la discussione se andare o non andare fu molto accesa, dato che una parte non indifferente dell’opinione pubblica avrebbe voluto, disertando la finale, ribadire la condanna per il regime di Pinochet. La decisione di andare fu presa dal presidente del Coni, Giulio Onesti. L’Italia (Panatta, Barazzutti, Bertolucci, Zugarelli, capitano non giocatore Nicola Pietrangeli) vinse 4 a 1 • Sulla squadra azzurra che vinse la Coppa Davis Mimmo Xalopresti ha realizzato la docu-serie La squadra • «Sono in pace, non ho mai ragionato per accumulo di gloria, per sedermi sui titoli. Non ho più nemmeno i trofei, persi in qualche trasloco, ho preferito provare, esistere, curiosare. Non ho lottato contro il mio talento, gli ho concesso pause, ne ho rispettato le pigrizie che erano fame di altro. L’attimo mi è sempre andato bene, sessanta secondi di felicità sono un lampo di eternità soddisfacente. La magia non può durare, io l’ho avuta, me la sono fatta bastare. Ricordo la tristezza che provai dopo aver vinto Parigi: tutto qui? Ti senti vuoto, freddo, depresso. L’agonismo chiede molto al tuo corpo, ti fa oltrepassare il limite, esci fuori da te, poi rientrarci è un problema (…) Il professionismo esasperato non è per me. Non parliamo del divismo. Trovo insopportabili i giocatori che girano con baby-sitter e guardie del corpo. Io ero gestito dal gruppo di Mc Cormack e non sopportavo i lacci: dovevo dire dove andavo, chi vedevo, come e quando. Un’intrusione nella mia vita privata. Così per tornare libero m’inventai che ero ricco di famiglia e che mi sarei ritirato nel mio castello in Toscana» (a Emanuela Audisio) • Con Paolo Bertolucci, storico compagno di doppio e in Coppa Davis, continua a scherzare e battibeccare sui social. Insieme hanno un podcast, La telefonata. «Adriano Panatta e Paolo Bertolucci, il mitico doppio azzurro del tennis che continua anche nella vita. Adriano: ‘Eri parecchio bruttarello, già da ragazzino’. Paolo: ‘Tra noi fu antipatia a prima vista: tu fighetto romano dei Parioli, io di un paesetto della Toscana, era la prima volta che varcavo l’Appennino’. Adriano: ‘Sembravi uno di mezza età, ma in miniatura”. Paolo: “Rubavi le palle. Poi sei migliorato col tempo”. Adriano: “Sono 62 anni che dici stupidaggini”. Paolo: “Senti chi parla”. Cesenatico ‘62, torneo Under 13. Adriano Panatta posa per la prima volta gli occhi su Paolo Bertolucci, e viceversa. Ancora non sanno che quell’amicizia virile, a dispetto della falsa partenza, diventerà la più grande storia d’amore della loro esistenza. Tra alti e bassi, tennis e vita, passando da Santiago del Cile con la stessa maglietta rossa, Domenico Procacci li ha rimessi insieme nella strepitosa docu-serie Una Squadra, e poi li ha costretti a sentirsi regolarmente (“Purtroppo...”, dicono all’unisono) per alimentare “La Telefonata”, il podcast che spopola dalle Atp Finals di Sinner. Questa è la cronaca per niente seria di una telefonata fuori onda con la strana coppia: se Neil Simon li avesse incontrati, avrebbe scaricato Lemmon e Matthau. L’intuizione del maestro “Il maestro Belardinelli ci mise in camera insieme a Formia” ricorda Paolo, 72 anni, che in questa storia passa per il gregario ma in realtà è un leader camuffato. “Venne da me – lo interrompe Adriano, 73 anni —, mi disse: c’è questo Bertolucci, gioca benino però non ha voglia di fare fatica, magari se te lo prendi in stanza gli viene...”. Segue lungo battibecco condito da insulti plateali e particolari diffamatori (“Paolo, tu eri uno che a merenda si mangiava quattro zeppole in pasticceria! Quando Belardinelli ci faceva correre in salita fino a Maranola, ti facevi dare un passaggio!”), promesse reciproche di non sentirsi mai più, rivendicazioni di antiche verità su cui la coppia è stata edificata (“Gli altri, le pippe, dovevano allenarsi; noi sapevamo far scorrere la palla”). Tra le risate, un palpabile e felpato affetto rimbalza da una parte all’altra del campo. C’è un episodio, nell’agiografia, che meglio di ogni altro racconta una relazione lunga oltre 12 lustri? “A Formia c’è un albero, attorno al quale ci costringevano a massacranti ripetute – racconta Paolo –. Sulla corteccia incidemmo un cuore, con la scritta: qui soffrirono Panatta e Bertolucci”. L’indignazione di Adriano è autentica: “Escludo di aver mai disegnato un cuore con te!”. “Non ti ricordi niente”. “Può essere”» (Gaia Piccardi) • Socio del circolo Canottieri Aniene • Dal 2020 è proprietario del circolo di tennis e padel di Treviso Racquet Club • Opinionista a La domenica sportiva (Rai 2). Su Rainews con l’amico Antonello Piroso commenta la rassegna stampa insieme a Roberto Vicaretti: «Si cazzeggia, è divertente». La domenica su Radio 2 con Paola Perego e Nicoletta Simeone conduce Touché. «“Mi trovo a mio agio in tutte e tre le cose, con i ragazzi della Domenica sportiva – Simona Rolandi, Eraldo Pecci, Lele Adani, Alberto Rimedio, Giusy Meloni – si è formata una bella squadra. Parlo di tutto. Naturalmente non di moduli e strategie calcistiche”. Dica la verità, si raccomandano perché faccia il bravo? “Le trasmissioni di calcio sono sempre state ecumeniche: si arrabbiano i tifosi, l’allenatore. Credo di non mancare mai di rispetto a nessuno, faccio ironia. Anche Jacopo Volpi approva: qui ci pensa Adriano. Non stiamo a fa’ Radio Maria, non bisogna prendersi troppo sul serio”. Il politicamente corretto ha ucciso anche i talk sportivi? “Soprattutto ha rotto le scatole, per non dire altro, perché bisogna stare attenti a dire qualsiasi cosa. L’educazione è la prima cosa. Poi a cosa bisogna stare attenti? Se uno dice a una ragazza che è bella è un reato? Per favore”. Riesce a essere se stesso davanti alle telecamere? “Sono sempre me stesso, è più forte di me. A volte mi mordo la lingua perché vorrei dire un doppio senso, e vedo un tale terrore in giro. Non mi tocca, sono in grado di capire se una cosa si può dire o no”. Vinceva e faceva sognare. Com’è cambiato il divismo sportivo? “Non sono cambiati i campioni, ma la comunicazione. Una volta volevi fare l’intervista? Telefonavi. Oggi passi per l’addetto stampa, l’avvocato, il manager. Insopportabile”. Differenza tra campione e fuoriclasse? “Il fuoriclasse fa cose che non si possono fare, Federer faceva cose oltre il talento. Poi ci sono i campioni che hanno grande inventiva. Nel calcio, quelli che in un’ora e un quarto non toccano palla, ma segnano il gol decisivo”» (a Silvia Fumarola) • Tennista (azzurro di coppa Davis) anche il fratello Claudio (Roma 2 febbraio 1960) • Appassionato di rally • Nel 2004 vinse il titolo mondiale di motonautica Powerboat PI • Più dritti che rovesci il titolo della sua autobiografia (Rizzoli, 2009).
Politica Già consigliere comunale a Roma (1997-2001) e assessore allo Sport della Provincia (2008), nel 2008 tentò invano di farsi rieleggere al Comune (col Pd). Sul campo con molti politici, ha raccontato di una partita a tennis del 1999 contro Massimo D’Alema, allora presidente del Consiglio: «Lo facevo andare da una parte all’altra del campo incrociando i colpi, come diciamo noi gli facevo fare il “tergicristallo”. Lui non si fermava mai. Incredibile per uno che non fa sport da professionista».
Calcio «Tifo Roma, ma nello stesso tempo non tifo contro la Lazio».
Amori Dopo una storia con Loredana Bertè, il 15 marzo 1975 sposò Rosaria Luconi. Tre figli: Niccolò (1975), Alessandro (1979), Rubina (1980) • «Sono ancora innamorato di mia moglie Rosaria. Il giorno che l’ho vista, mi sono detto: “Basta, questa me la sposo, fine dei discorsi”. Il classico colpo di fulmine. Mi vedo bene invecchiare insieme a lei».