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 2024  luglio 10 Mercoledì calendario

Biografia di Giorgio Armani

Giorgio Armani, nato a Piacenza l’11 luglio 1934 (90 anni). Stilista. Imprenditore. Secondo la classifica della rivista Forbes (aggiornata ad aprile 2024), ha un patrimonio personale di 11,3 di miliardi di dollari ed è la terza persona più ricca d’Italia. «Se piace a me, piace anche a te» • Secondo di tre figli. «Sono nato a Piacenza, dove mio padre Ugo, pur non occupandosi di politica, lavorava alla Federazione del Fascio, anche se in seguito sarebbe approdato a un’azienda di autotrasporti. Mia madre si chiamava invece Maria (Raimondi) ed era una gran donna. Quando mia nonna morì di spagnola lei era ancora piccola, ma dovette ugualmente prendersi cura di una nidiata di ben undici fratelli». «Prima della guerra ricordo il fascismo, le adunate, le divise di “figlio della lupa”. Da bambini il fascismo ci stimolava, ma poi venne la guerra. Bombardarono la nostra casa, morirono sotto le macerie i miei due amichetti, uno di tre e uno di sei anni. Noi per fortuna quel giorno eravamo in campagna. Ho il ricordo del fiume Trebbia, le barche, i primi film a colori e il rumore degli aeroplani. Un’infanzia di guerra. Sono stato anche ferito dallo scoppio di polvere da sparo e sono finito in ospedale per venti giorni con un’ustione di terzo grado!» (ad Alain Elkann). «I miei mi passavano i vestiti di mio fratello maggiore, perché non avevano soldi per comperare cose diverse da ciò che era indispensabile per vivere. Ero consapevole dei loro sforzi, e questo accentuava il mio senso di responsabilità e la stima che provavo per loro, per quel modo silenzioso e dignitoso di fare fronte alle difficoltà. Mi hanno insegnato molto, senza parlare». «Per me fu uno shock, a sedici anni, lasciare Piacenza e venire a studiare a Milano. […] Piacenza, la provincia, significava un piccolo mondo nel quale noi vivevamo tranquilli e protetti. Belle case marrone, scure sotto la neve. Reminiscenze ottocentesche legate ai nonni. E poi lasciare la natura, la campagna, l’odore del fieno, delle aie. […] A Piacenza ho lasciato i miei amici. A Milano mi ero fatto un piccolo gruppo di amici. La domenica andavamo al parco a scattare fotografie. Facevo molte foto anche a mia sorella Rosanna, che poi diventò una modella di successo. Sentivo già una tendenza artistica. Lo capivo dal modo in cui preparavo il presepe o l’albero di Natale». Come studente, «un asino totale, ma ben vestito. Facevo il liceo scientifico Leonardo da Vinci con Enzo Jannacci: io apprezzavo il suo humour, lui il mio stile. Mi raccontava sempre di sua madre, che gli diceva: “Guarda Giorgio com’è elegante”» (ad Adriana Di Lello). «Ho fatto il servizio militare a ventitré anni ed è stata una grande delusione. Io pensavo fosse come nei film: bello, giusto, estetico. Pensi che partii portandomi la racchetta da tennis! Invece nei primi tempi avevo nostalgia di casa. Non ero mai uscito dalla famiglia, e quando vennero i miei a trovarmi, la prima volta, mi misi a piangere come un vitello. Non volevo crescere, avevo fatto due anni di Medicina pensando di diventare uno di quei medici di campagna molto romantici, come li racconta Cronin nei suoi romanzi. In quegli anni ero timido, fragile, goffo». Abbandonata la facoltà di Medicina, «a Milano Armani venne assunto alla Rinascente come assistente degli architetti che realizzavano le vetrine (“Peraltro senza grandi responsabilità”), quindi avrebbe affiancato gli addetti agli acquisti nel settore della moda. Di fatto “fu una interessante scuola formativa, che mi avrebbe indirizzato verso il comparto dell’abbigliamento. Insomma, furono otto anni spesi bene, mentre altri otto li avrei trascorsi presso la Hitman del Gruppo Cerruti, dove mi dovevo occupare di collezioni maschili. A fronte di uno stipendio che era arrivato a toccare le 650.000 lire al mese. E non erano poche, per quei tempi. In ogni caso, ritengo meritate, in quanto avevo dato, in questo appoggiato dal proprietario (il signor Nino), un’impronta speciale al prêt-à-porter maschile prodotto dall’azienda”. Tuttavia la vera svolta nella carriera di Giorgio Armani sarebbe arrivata nel 1968, quando il futuro magister decise di rischiare in proprio, facendo coppia con il geometra Sergio Galeotti (scomparso nel 1985). “Lo avevo conosciuto durante una vacanza a Forte dei Marmi e mi aveva subito colpito per la sua generosità e le sue esuberanti doti umane. Sta di fatto che, sorretti da un grande feeling, decidemmo di metterci insieme, lui come imprenditore e io come creativo. Così, all’insegna dell’incoscienza, avviammo un piccolo ufficio di consulenza, due locali in tutto a ridosso di corso Venezia a Milano. […] Passarono così alcuni anni, e in quei pochi metri quadrati a disposizione presero vita le nostre iniziali sfilate, dando voce alle prime giacche destrutturate, a fronte di tessuti inediti per l’uomo”. Soltanto in seguito Armani e Galeotti (con l’apporto di altri due soci, che ben presto avrebbero lasciato in quanto il loro contributo, quattrini a parte, risultava pressoché nullo) si sarebbero lanciati nel femminile, debuttando con una sfilata all’Hotel Palace. E qui ci scappa l’aneddoto: “Siccome di quattrini ce n’erano davvero pochi, bisognava fare di necessità virtù. Tanto che, non avendo la possibilità di comprarci un tessuto bianco a pois, decisi di arrangiarmi dipingendoli con un pennarello…”. […] Arriviamo così fra il 1973 e il 1974, quando la nostra coppia decise di dare vita alla prima linea Armani, a fronte di una fornitura di un certo peso a una catena di grandi magazzini Usa» (Mauro Castelli). «Volevo che le donne portassero giacche, cravatte e smoking come gli uomini, ma che restassero il più femminili possibile. I miei maestri furono i creatori dei vestiti che vi sono nel cinema americano degli anni Trenta, e Coco Chanel, poi Kenzo, Emmanuelle Khanh, Christiane Bailly… Avevo in mente quell’aria elegante e un po’ sommessa degli anni Trentacinque-Quaranta». «Il 24 luglio 1975, anche grazie all’incoraggiamento e al sostegno dell’amico e partner Sergio Galeotti, nasce la Giorgio Armani, etichetta di prêt-à-porter maschile e femminile che sfilerà l’anno seguente nella prestigiosa Sala Bianca di Firenze. Il giovane Armani lascia tutti a bocca aperta firmando una collezione dai soli toni del bianco e del blu, quella precisa tonalità caratteristica della sua ampia produzione che prenderà poi il nome di blu Armani e che verrà affiancata a una cromia in bilico tra il grigio e il sabbia, il famoso “greige”. Il successo è strabiliante, soprattutto grazie alle rivoluzionarie giacche destrutturate presentate: “Gli abiti tradizionali mi deprimevano. Ho voluto personalizzare la giacca, per armonizzarla maggiormente a chi l’avrebbe indossata, rimuovendone la struttura, facendone una sorta di seconda pelle”. Armani smonta il capo maschile per antonomasia e lo ripensa, eliminando le tele di sostegno interne e l’imbottitura, spostando i bottoni e modificando le spalline. La giacca scopre il suo lato più informale, mantenendo però l’allure elegante che la contraddistingue. Qualche mese dopo lo stesso percorso viene fatto per la donna, vestita con un nuovo concetto di tailleur a pantalone o una dissacrante visione dell’abito da sera accostato inusualmente a scarpe dal tacco basso o addirittura a scarpe da ginnastica. La forza del genio sta nell’aver creato uno stile inconfondibile, adatto alla vita di tutti i giorni ma che mantiene intatta la sua classe, rigorosamente sobrio ma seducente, casto ma altamente intrigante. […] Il successo di Giorgio Armani diventa globale anche grazie alla fortunata collaborazione con il cinema, una delle sue più grandi passioni. A Hollywood si fanno carte false per ottenere costumi firmati dal re della moda, e nel 1980 ci riesce il regista Paul Schrader. Che gira una scena di American Gigolò destinata a fare la storia: Richard Gere passa in rassegna giacche, camicie e cravatte Armani assemblandole con maniacale perfezione, a ritmo di musica. […] Il guardaroba di Richard Gere nel film è interamente firmato Armani, e Giorgio diventa una vera leggenda per il cinema. […] La consacrazione definitiva del genio arriva nel 1982, quando Time gli dedica l’ambita copertina: prima di lui, tra gli stilisti, tale onore era stato concesso solo a monsieur Christian Dior, ben quarant’anni prima. È solo l’inizio di un’innumerevole serie di riconoscimenti sfociata nel 2014 con la consegna del Compasso d’oro alla carriera, il più antico riconoscimento d’Europa nel settore del design. […] Il gruppo Giorgio Armani (a cui oggi fanno capo i marchi Giorgio Armani, Emporio Armani, A/X Armani Exchange, Armani Privé e Armani/Casa) rappresenta una delle ultime compagnie privately owned nel settore moda. […] Oggi è normale interrogarsi sul futuro di un’azienda da 2,5 miliardi di euro di ricavi, che pare però messo al sicuro per sempre grazie alla recente istituzione della Fondazione Armani. A questa (a cui è stato versato per ora lo 0,1% del capitale, e che poi erediterà il restante 99,9%) sarà affidato il compito di reinvestire i capitali a scopo benefico e garantire l’equilibrio nella Giorgio Armani spa, grazie a un meccanismo che stimoli gli eredi a governare in armonia per evitare che il gruppo venga acquistato da altri o spezzettato» (Elisa Rossi) • «Giorgio Armani nutre una grande passione per lo sport, il che lo porta a diverse collaborazioni con questo mondo: nel 2012 il segmento sportivo EA7 ha realizzato le divise della Nazionale italiana per i Giochi olimpici svoltisi a Londra, rimanendo sponsor ufficiale. […] Armani inoltre è prima sostenitore principale della squadra di pallacanestro dell’Olimpia Milano, e pochi anni dopo, nel 2008, ne rileva la proprietà, trasformandola dalla stagione 2011/12 in EA7-Emporio Armani. Nella stagione 2013/14, a diciotto anni di distanza dall’ultima volta, la squadra milanese torna a essere campione d’Italia, conquistando il suo ventiseiesimo scudetto» (Rossi). La squadra, la più titolata della pallacanestro italiana, ha poi vinto anche i campionati 2015/2016, 2017/2018 e gli ultimi tre dal 2022 al 2024 • Grande passione per il cinema. Da ragazzo sognava di diventare attore o regista, «ma allora, quand’ero giovane, non c’erano le condizioni per farlo. E poi quel sogno era troppo lontano dalle aspettative di una famiglia borghese come la mia, non particolarmente benestante» • Celibe, ha dichiarato di aver amato sia uomini sia donne. Fondamentale il sodalizio lavorativo e sentimentale con Sergio Galeotti, che morì prematuramente nel 1985, a 40 anni, lasciando Armani in uno stato di profonda prostrazione, al punto di fargli meditare il ritiro. «Ma poi realizzai che abbandonare avrebbe significato rinunciare a tutte le speranze che Sergio aveva messo nel nostro lavoro. Mi feci forza. Riuscii in qualche modo a tirare avanti». «Felice non sono. Qualcosa me lo impedisce e mi spiace. È un fatto caratteriale: era così mia madre, isolata, chiusa. Ma per aprirsi occorre tempo, e io non ne ho. Devo dedicarlo al mio lavoro» • «Negli anni Settanta, rivoluzionò il modo di vestire di uomini e donne, in parte vestendoli gli uni come gli altri. Negli anni Ottanta ridefinì il look di Hollywood con un fascino più sottile, e negli anni Novanta ha costruito un impero vendendo jeans e abiti eleganti» (Dana Thomas). «Prima di Giorgio, non c’era un’industria di moda italiana. C’era un’industria di fabbriche italiane» (Lauren Hutton) • «Amo il bello quando è essenziale, perché diventa senza tempo. Ho detto una volta che l’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare. […] Amo sottrarre, eliminare, purificare, perfezionare. È un processo infinito, che esige attenzione continua». «Ho sempre pensato che far moda significa disegnare abiti, ricordando però che la moda è molto di più. La moda è lo specchio della società, e anche il primo segnale di ciò che sarà. Per questo mi appassiona. […] Mi sono sempre ritenuto un rivoluzionario che non ha voglia di accettare il sistema e sa trasformare le regole in una scelta di libertà». «Il mio lavoro è la mia vita. E Milano è la mia città. Le due cose si legano. È la città che ho scelto: gode di una bellezza che è molto vicina al mio stile di vita, al mio modo di vedere le cose. Una bellezza discreta». «Do molta importanza all’Emporio Armani. Un luogo dove si può comperare il gusto di Armani a prezzi giusti per il mondo di oggi. Vorrei essere ricordato come quello che ha fatto l’Emporio». «Credo di aver contribuito a cambiare il modo di vestire di uomini e donne, e questa è una delle più grandi soddisfazioni. Dopo oltre quarant’anni di onorata attività, con tutta questa esperienza sulle spalle, sarei autorizzato a tirare i remi in barca e godere di quel che ho. Ma non ci riesco. […] Sento ancora il bisogno di esprimere la mia visione e lo faccio impegnandomi al massimo, come il primo giorno. A volte mi fermo e mi chiedo: a chi devo ancora dimostrare qualcosa? Ecco, la risposta ce l’ho: a me stesso. Lo dico onestamente. Mi interessa il giudizio degli altri, ma il mio giudice più severo è il signor Giorgio Armani. Sono un perfezionista cronico, ed è in questo che trovo la spinta incessante a fare di più e meglio. […] Voglio il meglio, aspiro alla perfezione, mi impegno al massimo per raggiungerla» • Nell’aprile 2024, ha rilasciato un’intervista a Bloomberg dove, alla soglia del suo novantesimo compleanno, ha parlato dei piani per il futuro dell’azienda: «L’indipendenza dai grandi gruppi potrebbe rappresentare ancora un valore trainante per il Gruppo Armani in futuro, ma non sento di escludere nulla – ha dichiarato – Ciò che da sempre caratterizza il successo del mio lavoro è la capacità di adattarsi ai tempi che cambiano» • «Insomma, il designer, che ha impostato il suo lavoro su un grande controllo su ogni dettaglio della filiera produttiva e organizzativa della griffe, non esclude che un giorno la sua creatura possa finire nel portafogli anche di un grande gruppo del lusso. Sì, ricorda ciò che è già successo per altri tesori dello stile italiano, come Valentino, Gucci, Versace o Fendi, solo per citarne alcuni, entrati, in un modo o nell’altro, nel corso degli anni, nelle mani di agglomerati finanziari, soprattutto francesi, presi dall’urgenza più di far quadrare i conti che di far brillare di creatività le passerelle. Pietra miliare per il dopo-Armani è stata l’assemblea svoltasi a Milano, nello studio del notaio Elena Terrenghi, alle ore 9,30 del 26 settembre 2023 che ha modificato lo statuto con efficacia differita, all’apertura della successione di Armani, titolare del 99,9% del gruppo dei cui la Fondazione Armani ha lo 0,1%. L’imprenditore non ha figli, ma solo i nipoti Andrea Camerana (figlio della sorella Rosanna), Silvana e Roberta Armani (figlie del fratello Sergio). Lo statuto che sarà adottato alla scomparsa del fondatore prevede sei categorie di azionisti nel capitale, considerati uguali al momento della distribuzione del dividendo (sarà ripartito solo il 50% degli utili) ma diversi in termini di diritti di voto e di nomina del vertice. Ma a parte lo sbarco in Borsa, tutte le alleanze sono sulla carta possibili, comprese quelle con Lvmh di Bernard Arnault o con Kering di François Pinault, senza tralasciare nemmeno Essilux. Va ricordato che Armani ha avuto un solido legame di amicizia e di affari con Leonardo Del Vecchio: i due gruppi sono legati da accordi commerciali dal 1888 al 2003 per poi riallacciare le intese per 15 anni dall’1 gennaio 2023 fino al 2037» (Rosario Dimito e Anna Franco).