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 2024  luglio 17 Mercoledì calendario

Biografia di Paul Verhoeven

Paul Verhoeven, nato ad Amsterdam (Paesi Bassi) il 18 luglio 1938 (86 anni). Regista. Sceneggiatore. Produttore cinematografico. Autore di RoboCop (1987), Atto di Forza (1990) e Basic Instinct (1992). «Il regista olandese emigrato ad Hollywood e colà ricoperto di gloria per aver immortalato Sharon Stone senza le mutandine» (Maurizio Porro, CdS 17/1/1998) • Meticoloso e di formazione classica, ma caustico e provocatorio. Temi ricorrenti: ammazzamenti, stragi, sesso e stupri. Frequenti riferimenti simbolici a cristianesimo e nazismo. Ampio uso di effetti speciali. Opera segnata da un irriducibile pessimismo. «Affermatosi in Europa come cineasta tra i più controversi e scandalosi, per il gusto dell’eccesso e la rappresentazione iperbolica della violenza, ha poi trovato, nei generi americani, un ambito dove far convivere la propria personalità artistica con i dettami degli studios» (Treccani) • «Nella vita Verhoeven è quanto di più lontano si possa immaginare dal suo cinema, altero e cinico, duro e spietato […] ostenta una grandissima giovialità, è disponibile e tranquillo […]. Scarpe da ginnastica, un inglese fluido, ma molto precario, con un fortissimo accento olandese nonostante la lunga permanenza in America, e una gran voglia di scherzare» (Gabriele Niola, BadTaste 15/3/2017) • «L’“olandese violento” si rivela un giovanottone d’inestinta vitalità e soprattutto, nonostante il logorante ventennio di studios, di intatte aperture europee» (Mario Serenellini, Rep 18/4/2016) • Guarda alle critiche con scanzonato compiacimento. Le accuse di volgarità, misoginia e maschilismo sembrano scivolargli addosso. E quando dicono che è ossessionato dal sesso, risponde: «Si tratta pur sempre di una delle cose più importanti del mondo, no?».
Titoli di testa «Abbiamo tutti ancora gli occhi appiccicati allo schermo, davanti all’insoluto quiz-voyeur delle gambe accavallate di Sharon Stone. E il cinema più guardone sbucò proprio a Hollywood, tempio delle platee puritane. Il regista di tanto scandalo oggi sorride: “Il sesso di Basic Instinct in realtà aveva un alibi, un guscio protettivo: accalappiato dalla nudità il pubblico si chiedeva se la donna fosse un’assassina. Nessuno l’ha cronometrato, ma il rapporto torrido con Michael Douglas dura ben cinque minuti, un’eternità rispetto ai tempi canonici di questo tipo di scene: anche qui, sesso cinematograficamente protetto, essendo in gioco un suspense extra-eros: il dubbio che lei lo uccida”» (Serenellini).
Vita Figlio di Wim e Nel Verhoeven. Lui, insegnante. Lei, casalinga • Infanzia all’Aja, accanto a una base di lancio delle Vergeltungswaffen naziste (la bomba volante V1, il razzo V2 e il cannone V3). «La guerra io ho l’ho vissuta, da bambino, ed essendo bambino l’ho vissuta con estrema incoscienza, quasi fosse una festa, una sorpresa quotidiana. Se un aereo precipitava in città, correvo con i compagni a vedere lo spettacolo dei resti ancora fumanti» (Serenellini). È da quello spettacolo che Paul fa derivare la sua fascinazione nei confronti della violenza. «Un’altra delle cose più importanti del mondo, oltre al sesso, è la violenza. Il sesso in generale è percepito come creativo e la violenza come distruttiva. Ma talvolta la violenza è necessaria e anche il sesso a volte diventa violenza». «La guerra è stata fondamentale. Se non fosse stato per l’occupazione tedesca e poi per l’occupazione americana, non avrei mai fatto film» • Altra grande forma di ispirazione: i grandi pittori olandesi. «Brugel, Bosch, Rembrandt non andavano tanto per il sottile: ritraevano la vita in tutta la sua crudezza. Nei loro quadri scorrono fluidi corporali: gli uomini vomitano, le donne orinano. Non hanno tabù, tanto meno quello della nudità. Tra il Cinquecento e il Seicento, l’arte fiamminga è la sola a permettersi questa enorme libertà, riproducendo la vita come la si vede, non come la s’immagina. Perché mai impegolarsi in inutili metafore?» (Ciak, 23/5/2016) • Terzo elemento decisivo: le forze armate. «È stata la Marina olandese a far di me un regista: avevo girato qualche corto, ai tempi degli studi universitari di matematica a Leida, abbandonati quando ho capito che non sarei stato abbastanza creativo come il mio mito, Albert Einstein. Forte del cine-curriculum di fuori corso, venni reclutato per girare un documentario sui trecento gloriosi anni della nostra flotta. Riprese a Tolone, Panama, Antille. Ne feci un James Bond di mezz’ora, sulla scia di Dalla Russia con amore che mi ero appena degustato. Ed eccomi regista» (Serenellini) • Dopo un periodo in televisione «riscosse un notevole successo con il suo film d’esordio, Wat zien ik? (1971; Gli strani amori di quelle signore) che, attraverso la vita di due prostitute, indaga sul mondo del sesso a pagamento. La predilezione del regista per temi e situazioni di intenso impatto emotivo, che affrontano i lati più oscuri della sessualità, risultò però particolarmente evidente nelle opere successive, da Turks fruit (1973; Fiore di carne), racconto di una carnale e cupa storia d’amore tra uno scultore (Rutger Hauer, che diventerà il suo attore-feticcio) e una giovane sessualmente disinibita, a Keetje Tippel (1975; Kitty Tippel… quelle notti passate sulla strada), ritratto eccessivo e barocco di una prostituta di fine Ottocento, da Spetters (1980; Spetters o Spruzzi), cruda storia di depravazioni giovanili, il cui lato melodrammatico è nascosto da una messa in scena ai limiti della pornografia, a De vierde man, noto anche come The fourth man (1983; Il quarto uomo), onirico thriller a sfondo sessuale, ricco di risvolti cinefili» (Treccani) • Nel periodo olandese, tra un film e l’altro, è costretto a campare con i sussidi di disoccupazione. Ma non passa molto tempo prima che i soldi smettano di costituire un problema. Racconta Rutger Hauer: «Ebbi un colpo di culo. Paul mi offrì il ruolo di protagonista in Fiore di Carne, tratto da un libro molto venduto che trattava temi universali. La liberazione del sesso. Il dolore. L’amore che sfiorisce. La malattia. Anche il film andò bene. Un trionfo. Tre milioni di spettatori nella sola Olanda. La candidatura all’Oscar come miglior film straniero. In un minuto, sembrava che il mondo fosse esploso sul mio volto» (Malcom Pagani e Federico Pontiggia, Fatto 12/8/2013) • Racconta Verhoeven: «Mio padre, che mi voleva insegnante come lui, s’è via via rassegnato – davanti ai successi. Ma alla vigilia del mio trasloco negli Stati Uniti, mi aveva ritagliato l’annuncio per un posto di professore di matematica part time: “Così la mattina insegni e nel pomeriggio ti dài al tuo hobby”. Era il 1985 e avevo già girato sette film» (Serenellini) • Sua prima opera hollywoodiana: RoboCop (1987). Scrive la Treccani: «Nel film Verhoeven rielabora, non senza autoironia, la figura del cyborg, enfatizzando il connubio di carne e macchina» (Treccani). Scrive Wikipedia: «Ambientato in una Detroit distopica dominata dal crimine, il film è incentrato sull’agente di polizia Alex Murphy che viene assassinato da una banda di criminali e successivamente rianimato dalla megacorporazione OCP (Omni Consumer Products) come cyborg tutore della legge» • Vista così, a Paul la storia sembra una discreta cretinata. «Glielo confesso sottovoce: della fantascienza non m’importa nulla, mi ci ha costretto Hollywood». «[…] Quando ho ricevuto il copione di RoboCop […] lo cestinai subito. Fu mia moglie a raccoglierlo e a leggerlo, convincendomi poi ad accettare suggerendomi che poteva essere una metafora del Calvario e della resurrezione di Gesù […]. Io sono ateo, ma sul piano storico la figura di Cristo mi ha sempre attirato – direi alla stregua di uno Stravinskij o di un Bryan Ferry». Paul accetta dunque il lavoro. Già che c’è, ci infila i soliti richiami all’immaginario nazista: impossibile non notare una certa somiglianza tra il cattivo Clarence Boddicker, interpretato da Kurtwood Smith, e il Reichsführer delle SS Heinrich Himmler. Grande risultato finale: da un’americanata terribile, ottiene una sorta di critica anticapitalista. Scrive Rep: «Verhoeven è stato l’occhio europeo dentro il cinema americano: in sostanza ha accettato committenze per poi abilmente stravolgerle, realizzando “di contrabbando” un cinema tutto suo». Spiega lui: «Sì, fumetto in superficie ma qualcosa di serio nel fondo. Che altro fare, se no? Film di supereroi dove il regista dà il meglio di sé quando sparisce? Robocop, nell’87, è un macigno sull’imperialismo reaganiano». Grandissimo successo di pubblico e di critica. Una candidatura all’Oscar per la miglior regia • Arrivano altri lavori: nel 1990 Atto di Forza, altro film di fantascienza, tratto da un racconto di Philip K. Dick, con Arnold Schwarzenegger. «Abbandonata la società del futuro, si è misurato con il thriller, ottenendo un altro grande successo con Basic instinct (1992), film che ha lanciato Sharon Stone, sfruttandone le doti di perfetta dark lady, ma che ha suscitato anche numerose polemiche, a causa della raffigurazione esplicita di brutalità ed erotismo» (Treccani). «Per Basic Instinct ho avuto lo stesso montatore di RoboCop, a cui non è parso vero di trovarsi davanti non uno metà-uomo-metà-robot, ma una donna-donna». «All’università avevo conosciuto una ragazza che non portava le mutandine e faceva continuamente questo gesto. Ne ho parlato con Sharon Stone e abbiamo filmato la sequenza a fine giornata in dieci minuti. Me n’ero quasi dimenticato fino alla fase di montaggio. Ci siamo resi conto solo all’uscita nelle sale che avevamo infranto un tabù». Successo strepitoso. Presentato in concorso a Cannes. Due candidature agli Oscar e ai Golden Glob. Oltre 350 milioni di dollari di incassi, uno dei film che incassarono di più del decennio • Verhoeven ormai è un regista affermato e può permettersi di fare quello che vuole. Nel film successivo, Showgirls (1995), racconta la storia di «una ragazza sexy e grintosa, Nomi (Elizabeth Berkeley) che decide di andare a Las Vegas a far fortuna. Ci arriva con l’autostop, viene assunta come lap-dancer (cioè si agita nuda sulle ginocchia dei clienti del night-club), e cerca di prendere il posto di Cristal (Gina Gershon) come numero uno di tutte le spogliarelliste della capitale del gioco e del vizio» (Maurizio Porro, CdS 17/1/1998). L’inserto spettacoli del New York Times pubblica in copertina una foto a colori della protagonista. Calze a rete. Labbra carnose. Capelli Ricci. Titolo: «Pochi vestiti e nessun rimorso» • Secondo quanto scrivono i critici colti «la rappresentazione dell’osceno serve a V. per criticare l’ipocrisia della società statunitense, dominata dalla mercificazione del sesso, ma incapace di parlarne per il suo puritanesimo» (Treccani). Secondo la censura americana il film è veramente troppo sconcio: viene vietato ai minori di diciasette anni, in pratica equiparandolo a un porno • Lui, in tutta risposta, fa sfoggio di commovente e simulato candore: «Che pericolo c’è se un ragazzino di tredici anni vede questo film? Che vada a casa e si masturbi?» • È troppo orgoglioso per ammettere che si diverte un mondo a scandalizzare il pubblico.
Amori Sposato, due figlie. «Non è un mistero che io subisca, e con gioia, il fascino delle donne, quelle ben temprate ovviamente. Mia madre era fatta di ferro. E anche Martine, mia moglie da sempre, è una donna forte».
Nazisti Starship Troopers – Fanteria dello Spazio (1997). «Tutto il film ha una precisa presa di posizione, ironica e sopra le righe, contro il militarismo: lo stile è quello patriottico dei film bellici della seconda guerra mondiale e dei documentari di propaganda politica: la voce del commentatore è simile, così come le divise e certa tipologia fisica. Il futuro descritto nel mio film dovrebbe far ridere. O almeno far riflettere: dove non si mette più in dubbio nessun tipo di autorità, che sia quella del presidente o quella di Dio, si è molto vicini al fascismo». I giovani arruolati sono disposti a tutto pur di difendere il loro paese attaccato dagli invasori… «In realtà è il contrario: sono gli uomini che hanno aggredito il mondo degli aracnidi. Un gruppo di mormoni estremisti invade infatti il loro territorio per crearsi una colonia. È un po’ quello che succede spesso nella politica americana quando si fa credere di essere stati attaccati ma in realtà si è fatta la prima mossa. L’atteggiamento “facciamoli fuori una volta per tutte”..» (Alessandra Venezia, l’Unità 7/12/1997).
Nazisti/2 Dopo vent’anni in America, tornò in patria per girare Black Book (2006). Un modo per affrontare i fantasmi della sua infanzia. Lietta Tornabuoni sulla Stampa: «Sembra un film antinazista classico, ma non lo è: è un prodotto del revisionismo storico, della convinzione del regista […] che “nessuno sopravvive innocente a una guerra”, della sua ottica inconsueta. Si vedono ragazze che fanno sesso con gli ufficiali nazisti, nude, oppure in mutande, e nelle posizioni più intime o sguaiate. Si vedono scene di tortura e scene ignobili di militari nazisti che depredano i cadaveri degli ebrei rubando soldi, gioielli ma anche scarpe. E si vedono, poste sullo stesso piano e mescolate all’esultanza, le scene turpi che non mancarono dopo la liberazione anche in Olanda: donne vere o false collaborazioniste sottoposte alla rasatura dei capelli o innaffiate di escrementi, equivoci e crudeltà che costarono tante vite, la scoperta di capi della Resistenza traditori. Molto spettacolare, il racconto segue una giovane cantante ebrea che, dopo aver visto massacrare tutta la sua famiglia, si unisce ai partigiani, s’infiltra nel comando nazista come amante d’un ufficiale del quale s’innamora, viene scoperta e imprigionata, bastonata e quasi uccisa da un traditore come “donna del nazisti”. Il revisionismo arriva qui corretto dalla forma migliore, quella pacifista».
Dio «La religione è una forma di schizofrenia. Un modo per dare ordine a un’estistenza caotica».
Dio/2 Ha dato alle stampe L’uomo Gesù. La vera storia di Gesù di Nazaret (Marsilio 2010), su cui ha lavorato per vent’anni.
Dio/3 Il thriller Benedetta (2021), che racconta la storia vera di una mistica italiana del XVII secolo, suor Benedetta Carlini di Pescia, imprigionata dopo che si scoprì la sua relazione lesbica con una conserella. La pellicola uscì al cinema il giorno di Venerdì Santo, suscitando le proteste di gruppi cattolici in vari Paesi • Mariarosa Mancuso sul Foglio: «Lo scandalo è sempre annunciato, anticipato, rilanciato, sviscerato. Prima di entrare a vedere
Benedetta di Paul Verhoeven sapevamo nei dettagli come le due suore avrebbero peccato, nel convento di Pescia. Così dicono nel film, in realtà girato a Montepulciano nel 2018. […] Arriva anzianotto (per gli standard del cinema). E decisamente vecchio per il modo di girare, didascalico e senza brio» • Paolo Mereghetti sul Corriere: «C’è una scommessa azzardata alla base di Benedetta […]: quella di poter raccontare una storia di spiritualità e tentazione, di vocazione e sessualità, come fosse un centone ottocentesco (o, cinematograficamente, con uno stile da anni Sessanta e Settanta, alla Hammer o giù di lì). Una storia che appassioni e intrighi – anche per i suoi risvolti pruriginosi – ma che ogni tanto riprenda all’improvviso la barra della riflessione storico-religiosa, alzando le ambizioni del film per sottolineare l’ambiguità della natura umana. E naturalmente della vocazione religiosa. Una scommessa, aggiungo, che non sempre trova uno spettatore disposto ad accettarla perché mai come in queste operazioni […] il rischio che il registro “alto” e quello “basso” finiscano per cozzare più che riuscire a fondersi è altissimo […] Da abile conoscitore delle aspettative del pubblico, il regista sa fin dove può spingersi (la statuetta della Madonna trasformata in strumento di piacere) ma anche dove fermarsi. Così che, alla fine, il film sembra più provocatorio quando lo si racconta che quando lo si vede. Perché è molto più ossessionato dal sesso l’inquisitore papale (Lambert Wilson) che le due peccatrici. Ma questo è appunto il gioco preferito da Verhoeven: mescolare spunti alti (il legame tra estasi e sessualità) e modi bassi (ai limiti del cattivo gusto), cinema popolare e ambizioni autoriali. Che funzionava con le gambe accavallate di Catherine Tramell ma meno con la santità e le tentazioni nell’Italia della peste e della Controriforma».
Curiosità Alto 1,73 m • Parla olandese, inglese, tedesco e francese • Beve Coca Cola light • Detesta Donald Trump • Non gli dispiace papa Francesco. «Devo dire che è il migliore che abbiamo avuto negli ultimi 200 anni» • Ama i fumetti • Gruppo musicale preferito: i Rammstein • Regista che più lo ha influenzato: Luis Buñuel • Non riguarda mai i suoi film • Avrebbe voluto girare un film sui pirati con Geena Davis, ma non trovò l’accordo con i produttori che volevano imporgli come protagonista maschile Harrison Ford • Dice che il suo unico vero amico a Hollywood è John Landis (Un lupo mannaro americano a Londra, Animal House, The Blues Brothers, Una poltrona per due) • Unico vincitore dei Razzie Awards, i premi dedicati ai film più brutti, a essersi presentato per ritirarlo • In Basic Instinct Sharon Stone e Michael Douglas hanno inscenato l’amore per ore ma mai i loro sessi sono venuti a contatto. Douglas non ha avuto la minima erezione, né la Stone si è bagnata • Sharon Stone dice che la scena del film Basic Instinct in cui si vede lei che accavalla le gambe senza mutande nacque da un «tradimento» del regista Paul Verhoeven: «Mi chiese di sfilare gli slip bianchi perché si vedevano nella cinepresa. Mi assicurò che non si sarebbe notato nulla. Quando poi ho visto il film, a pochi giorni dalla presentazione al festival di Cannes, nel 1992, mi sono sentita tradita. Così mi sono alzata e l’ho schiaffeggiato». Lui dice che non è vero niente. Che lei sapeva tutto • «Quando andai negli Stati Uniti nel 1985 metà dei film erano vietati ai minori di 17 anni, ora sono praticamente scomparsi. Evidentemente ad un certo punto gli studios hanno deciso che non gli interessavano le materie controverse. E così: sesso eliminato, seni nudi eliminati, tutti devono essere felici e tutti devono vedere il film. È un movimento verso la bottom line, cioè “quanti soldi faccio a fronte di quanti ne ho messi nel film”. Gli studios vogliono 3-4 volte quel che investono e per questo ora i film sono così noiosi, non c’è audacia, perché l’audacia è vietata ai minori di 17 anni. Invece in Europa non interessa a nessuno la censura, si cerca solo di fare un film interessante, che sia controverso o meno. Del resto di cosa parla Spider-man vs Superman se non dei soldi?»
Titoli di coda «Non c’è ragione di denigrare il talento che uno ha. Sia esso nel cervello, negli occhi o nelle tette».