19 luglio 2024
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Biografia di Carlos Santana (Carlos Humberto Santana Barragán)
Carlos Santana (Carlos Humberto Santana Barragán), nato ad Autlán de Navarro (Jalisco, Messico) il 20 luglio 1947 (77 anni). Chitarrista. Compositore. Fondatore (nel 1966) e leader dei Santana. Oltre cento milioni di dischi venduti. «La chitarra sotto le mie dita è come la mia lingua. Quando suono non penso più all’alfabeto, ma penso direttamente alle sensazioni musicali. Non faccio più caso agli accordi o alle scale. È il riflesso dei miei pensieri: pensieri belli suoni belli, pensieri brutti suoni brutti. Ecco, le mie dita non sanno mentire» (a Mario Luzzatto Fegiz) • «Santana ha il destino segnato: il papà è un violinista mariachi dei Los Cardenales, mentre il nonno, Antonino Santana, suonava il corno francese nella banda municipale. A soli 5 anni il piccolo Carlos prende in mano per la prima volta un violino» (Sonia Montrella). «Qual è stata la prima vera lezione che ha imparato sulla musica? “Fu quando mio padre, che suonava il violino, mi portò in una radura dietro casa, mi fece sedere, tirò fuori lo strumento e cominciò a suonare, finché un uccello si posò sul ramo di un albero che era lì accanto e si mise a fissare mio padre. Poi cominciò a cantare. Per un po’ dialogarono, e io ero sbalordito. Alla fine mio padre mi disse: ‘Capisci? Quello che ho fatto ora con quell’uccello, tu lo puoi fare con la gente’. Non l’ho mai dimenticato”» (Gino Castaldo). «A 11 anni la famiglia Santana si trasferisce a Tijuana, dove Carlos impara da autodidatta a suonare la chitarra, guadagnandosi da vivere intrattenendo i turisti dagli Stati Uniti» (Montrella). «A Tijuana da bambino lei vendeva gomme da masticare ai gringos americani. Subì anche molestie sessuali da uno di loro. “Io non sono ciò che mi è accaduto, e anzi grazie a quell’episodio ho avuto l’opportunità di diventare migliore. Vede, esistono la velocità del suono e la velocità della luce, ma poi c’è la velocità del perdono e della compassione, che è la più veloce di tutte”» (Carlo Moretti). «Quando ci trasferimmo da Jalisco a Tijuana, cominciai ad ascoltare be-bop, rock’n’roll, T-Bone Walker, B.B. King e John Lee Hooker». «Carlos […] si era fatto le ossa suonando nei club di Tijuana, la storica città di confine con la California, e poi era cresciuto a San Francisco nel pieno della Summer of Love. Dopo aver fatto il lavapiatti e il musicista da strada, si era fatto notare al Fillmore West, il leggendario club di Bill Graham, l’uomo che lo porterà a Woodstock» (Paolo Biamonte). «Alla fine del 1966 Carlos diventa la voce e la chitarra di un gruppo appena messo in piedi da Tom Frazier, anch’egli alla chitarra. Passa poco tempo e i Santana – la band prende il nome del suo frontman – firmano con la Columbia Records. Dall’esibizione di Woodstock in poi è storia (della musica)» (Montrella). «A Woodstock eravamo tutti sotto l’effetto della mescalina, ce l’aveva offerta Jerry Garcia dei Grateful Dead. Sapevamo di dover salire sul palco a tarda sera, e così quando Jerry ce la offrì nessuno di noi ci pensò su due volte. Il problema fu che dopo neanche un’ora vennero gli organizzatori e ci dissero che era il nostro turno: dovevamo salire subito sul palco. Mi sentivo come un acrobata sul filo, ricordo che pregai Gesù di farmi restare intonato e sul tempo giusto». «Risultato: i sette minuti di estasi mistica di Soul Sacrifice […] e una delle esibizioni più infuocate e devastanti di sempre» (Michele Primi). «La statura dell’artista è gigantesca, la maschera del chitarrista di Woodstock indelebile. Giovane, fiero, libero, selvaggio, gli occhi chiusi, la testa all’indietro, la folta capigliatura al vento, il volto sfigurato dalla smorfia di chi sta affrontando uno sforzo (creativamente) disumano, Carlos Santana […] parlava a una generazione che tanto sapeva di rock e poco di musica latina, di Tito Puente, di Celia Cruz e degli anni d’oro del Palladium, quando New York fu preda della febbre del sound afrocubano. […] Già allora il suo stile era riconoscibile tra milioni: la chitarra che strazia e improvvisa, poi placa il furore con un timbro di zucchero e miele che appartiene a lui e a nessun altro; Ritchie Valens e B.B. King, Jimi Hendrix e Santo & Johnny in una sola chitarra. “Quel suono è nel mio sangue”, mi avrebbe ripetuto come un rosario nelle molte interviste degli anni in cui era già costretto a ripetere all’infinito il copione, dopo il 1980» (Giuseppe Videtti). «Per lui, dopo quel festival tutto cambiò. “Fu merito del film, in realtà. Proiettò la nostra immagine in una maniera straordinariamente mitica, amplificò moltissimo non solo la già potentissima portata dell’evento, ma contribuì a farlo diventare un festival planetario, a diffondere la musica e il messaggio in ogni angolo del mondo. E per me, l’ho detto tante volte, è stato un trampolino dal quale non sono più sceso. […] Il mio primo disco uscì qualche mese dopo, in novembre, e furono in tanti a chiedere di incidere per loro. Scesi da quel palco, fummo sommersi di richieste”» (Ernesto Assante). «La formula era imbattibile. Santana non aveva dimenticato la musica della sua terra e semplicemente l’aveva mischiata al rock, con percussioni latine, ritmi sudamericani, creando una miscela di forte impatto, originale, travolgente. Da lì fu un percorso ricchissimo, con Abraxas e Caravenserai, dischi capolavoro nei quali allargò i suoi orizzonti prima di calarsi in vicende spirituali che lo portarono a una sorta di gemellaggio, musicale e spirituale, con John McLaughlin, altro gigante della chitarra. Nel giro di pochi anni Santana era entrato nelle ristretta cerchia dei grandi chitarristi, e da lì non è mai più uscito» (Castaldo). «In tre anni, dal 1969 al 1971, i Santana partirono per un viaggio che li portò dall’anonimato […] fino alla vetta del mondo. Poi tutto cambiò, anche i Santana capirono che la droga era diventata un problema: “L’anno prima l’eroina si era portata via Hendrix, nell’estate del ’71 era morto Morrison a Parigi. Di lì a qualche mese se ne sarebbe andata per lo stesso motivo Janis Joplin. E purtroppo l’impressione era che alcuni di noi fossero sulla stessa strada”, spiega Carlos Santana, che in quel momento decise di lasciare la band nel mezzo di un tour, finché le droghe (“solo quelle pesanti: non ho mai avuto problemi con erba e Lsd”) non fossero uscite dal gruppo. L’album Caravanserai segnò la spaccatura: Santana e Shrieve in una nuova dimensione musicale ma anche spirituale, dall’altra Rolie e il resto della band» (Moretti). «Nel 1973 Carlos Santana iniziò con John McLaughlin un percorso spirituale che lo portò, attraverso la meditazione, a esplorare nuovi universi sonori, anche se il latin rock di cui fu pioniere è ciclicamente ricomparso nella sua produzione. […] “Avevo bisogno di recuperare le vere motivazioni che mi hanno spinto a fare questo mestiere: combinare musica e coscienza. Ne ero già consapevole dopo il trionfo di Woodstock: rock e successo non sono cibo per l’anima. Per me la musica è anche altro. Avevo seguito con interesse le Pantere nere, le lotte per i diritti civili, le proteste dei coloni messicani. Avevo capito che la musica può smuovere le coscienze, grazie a Lennon, Dylan, Marley… La musica è un dono di Dio”. […] Negli anni in cui Santana, con il nome di Devadip, cercò di elevare il suo spirito dal pantano del rock, fece la conoscenza con alcuni pionieri che stavano lavorando a una forma di musica totale che ben corrispondeva il suo anelito alla trascendenza. “Incontrai Miles Davis nel 1970”, ricorda, “e nel 1967 avevo scoperto la grandezza del John Coltrane di A Love Supreme. Miles non parlava molto, poche parole che servirono più di mille libri di testo: “Se vuoi creare una musica che investa il mondo, il suono che produci deve essere più grande di te, della tua famiglia, della tua città, del tuo Paese. Le radici sono solo un punto di partenza: la musica deve rappresentare la totalità”. I discografici gli spararono addosso. “Clive Davis, il boss della Columbia, mi disse: stai suicidando la tua carriera. Risposi: Santana non è cibo congelato, fatto sempre con la stessa ricetta. Se mi fossi fermato a Black Magic Woman, forse avrei venduto più dischi, ma avrei ucciso me stesso. L’industria voleva che io fossi il punto d’incontro fra B.B. King e Tito Puente, che diventassi il nuovo re del latin rock, ma non era questa la mia vocazione”» (Videtti). «Santana, che nel frattempo è diventato un devoto del guru Sri Chinmoy, per un lungo periodo ha voltato le spalle al grande successo, realizzando album più vicini al jazz e alla fusion che al rock, ha approfondito la sua passione per il jazz suonando con i suoi idoli, tipo Herbie Hancock, Ron Carter, Wayne Shorter e Tony Williams (cioè i componenti del quintetto di Miles Davis degli anni ’60, uno dei gruppi migliori della storia), ha coltivato più la critica che il pubblico. Quando è tornato sulla strada del rock, il mondo era cambiato: anche uno come lui ha dovuto attendere a lungo, vivendo anche un periodo di album non indimenticabili e tournée di medio livello, prima di tornare al successo» (Biamonte). «Così come era accaduto per il suo folgorante debutto, il grande ritorno di Carlos è avvenuto quasi all’improvviso nel 1999, grazie all’idea di un tycoon dell’industria del disco, Clive Davis, lo stesso che trent’anni prima gli aveva fatto firmare il primo contratto. È di Davis l’idea di fare un album zeppo di ospiti star come Eric Clapton, Lauryn Hill, Wyclef Jean, Dave Matthews, Maná, per citarne solo qualcuno. L’album si intitola Supernatural e contiene due hit clamorose, numero uno della classifica di Billboard: Smooth, un pezzo scritto e cantato con Rob Thomas dei Matchbox Twenty, e Maria Maria, canzone che ha dato il nome a una catena di ristoranti messicani fondata dall’accorto Carlos. In quell’anno l’album ha venduto 15 milioni di copie solo negli Stati Uniti, ha vinto otto Grammy più tre Latin Grammy ed è il maggior successo commerciale della carriera di Santana, che così, più che cinquantenne, è clamorosamente tornato al centro della scena» (Biamonte). Numerosi gli album pubblicati, con alterne fortune, negli anni successivi (Sharman, All That I Am, Shape Shifter, Santana IV, Africa Speaks): da ultimo Blessings and Miracles, uscito nel 2021. «Carlos Santana si muove sempre più libero tra generi musicali molto diversi, proprio come questo suo […] album, che di canzone in canzone passa dal reggae all’heavy metal, dal rock al rap, e in ogni brano risplende però il marchio inconfondibile della sua chitarra. […] “Un album magico, come magico potrebbe essere ognuno di noi, se solo riuscissimo a utilizzare i nostri poteri: la luce, lo spirito e l’anima”, dice. […] È anche un album familiare: cantano i suoi figli, sua moglie Cindy Blackman suona la batteria. “Mi sento come Barry White che cantava con la moglie Glodean (abbassa la voce e ne fa l’imitazione, ndr). Suonare con mia moglie e i miei figli è come giocare in giardino a colpire la pignatta per raccoglierne insieme i dolci che cadono. Mi auguro di poter presto cantare anche con Angelica, la figlia più piccola”. Come i Rolling Stones, lei negli ultimi 60 anni a ogni decade ha avuto un album nella top ten. Succederà anche negli anni Venti? “Perché no? Nulla è impossibile”» (Moretti) • La sua vita è stata raccontata nell’autobiografia Suono universale (Mondadori, 2014) e nel documentario di Rudy Valdez Carlos (2023). «È interessante vedere questa persona che un minuto primo lava i piatti in un drive-in e quello dopo è sul palco con Jerry Garcia ed Eric Clapton e loro mi guardano come se volessero imparare da me qualcosa. Mi chiedevano: come ti sei inventato quel suono? E io spiegavo loro che ascoltavo un musicista gitano ungherese, Gábor Szabó, e che avevo preso molto dai batteristi africani» • Tre figli (Salvador, Stella e Angelica) dal primo matrimonio (1973-2007), con l’attivista Deborah King, figlia del musicista blues Saunders King. Dal 2010 è sposato in seconde nozze con l’acclamata batterista Cindy Blackman (cui chiese la mano nel corso di un loro concerto), con la quale vive a Las Vegas • «Uomo spirituale, etico e generoso» (Paolo Russo). «L’approfondimento delle religioni e delle filosofie orientali è stato un modo di invecchiare più serenamente? “Non c’era bisogno di cercare tanto lontano, perché anche la nostra religione esprime gli stessi sentimenti”» (Videtti). Sostiene di avere una sorta di angelo custode di nome Metatron. «Fu lui, dal nome cibernetico e dalla natura assai pratica, a sussurrargli durante una meditazione: “L’ora è giunta per tornare in Fm”. Testuale. Metatron è la sua guida? “È un angelo, ma non il mio personale. Di chi lo chiama, di chi gli si apre. Lui è sempre qui, a mia disposizione. Gli angeli sono portatori di vera energia, come l’elettricità. Devi soltanto imparare ad accenderla”» (Laura Putti). «Ciò che intendo dire per “essere totale”, quella “frequenza di Santana”, riguarda la mia immaginazione. Sin da quando ero bambino potevo vedermi nel futuro con Eric Clapton o Sting o Prince o Stevie Ray Vaughan, qui su questo pianeta o sul prossimo. Non mi alzo dal letto per piacere alle persone. Lo faccio per il mio spirito» (a Kory Grow) • «Trump in America rappresenta la paura collettiva, come un Hitler, Obama è al contrario la possibilità collettiva. Noi umani abbiamo bisogno di qualcuno che ci rimbocchi la coperta, che ci dia calore, una Madre Teresa, un papa Francesco. Che porti in alto la speranza, la fede, il credo. Trump non include tutta l’America arcobaleno, ma solo l’America bianca. Papa Francesco rappresenta l’arcobaleno più di ogni altro papa» • Molto attivo nella beneficenza, soprattutto con la sua Milagro Foundation, costituita nel 1998 • «“Per me esistono droghe e medicine: per droga io intendo cocaina ed eroina, al contrario il peyote e la marijuana non sono droghe, sono medicine. L’uomo costruisce le droghe in laboratorio, madre natura ci offre medicine dalla terra: sono due cose ben diverse”. […] Usa ancora le “medicine”? “Ultimamente no, ma non ne ho paura, e se ne avessi l’opportunità le userei: sono convinto che mi divertirei”» (Moretti) • «Che album ascolti quando vuoi rilassarti? “A Love Supreme di John Coltrane. Quel disco farebbe piangere un kamikaze pronto a farsi esplodere. Gli farebbe dire: ‘Ma cosa mi è venuto in mente?’. La musica di Coltrane è in grado di correggere una mente deviata”» (David Browne) • «È uno dei padri spirituali della controcultura Sixties» (Browne). «Ha unito il rock di Black Magic Woman alle melodie esotiche di Samba pa ti. Il primo a mischiare i generi. Per dirlo con una brutta parola, il primo a inventare il crossover» (Marco Imarisio). «Il suo suono si è sempre distinto non solo per la grande abilità tecnica, piuttosto per la sua liricità, per quegli acuti ricchi di tensione emotiva, per aver concepito il suo strumento come il perno assoluto di un intero mondo espressivo. Che poi è il motivo del grande fascino che ancora contraddistingue la sua musica» (Castaldo). «Santana è un’entità, un’idea di musica senza confini di tempo e luogo che non si lascia condizionare da niente, neanche dal proprio passato» (Primi) • «La mia chitarra è la mia miglior amante di sempre. Gli amanti vanno e vengono, ma il tuo rapporto con la chitarra, di qualsiasi marca o altro, rimane. Il tuo rapporto è con quel suono. Quando metti le dita su quella nota, ti vengono i brividi. Scopri la sensazione di ricevere il primo bacio alla francese. Tutto gira intorno a questo. Quando suoni musica del genere, diventa emozione, sentimento, passione» • «Durante i concerti se ne sta sempre più in disparte, come per lasciare il posto ai suoi musicisti. Perché? “È una cosa che ho imparato da Miles Davis. Lui lasciava suonare gli altri, poi arrivava sul palco e cristallizzava quello che loro avevano espresso. Ho imparato da Miles che con tre note puoi dire quel che di solito si dice con tre milioni. E, queste tre note, la gente se le ricorda”» (Putti). «Santana suona quasi immobile; solo la gamba sinistra batte il tempo durante assoli che invece potrebbero scuoterlo (come scuotono il pubblico). Ma da anni ha abbandonato atteggiamenti esteriori, troppo dimostrativi: dal 1972, quando il suo guru indiano Sri Chinmoy aggiunse al suo nome quello di Devadip, “Luce della lampada del Supremo”. È dal 1981 che l’immagine del guru è scomparsa dal palco durante i concerti, ma la spiritualità è rimasta in lui come un grande dono. Santana è riuscito a coniugare spiritualità con sensualità, praticandole entrambe allo stesso tempo. Dice che la musica deve essere “anima, cuore, mente, corpo e cojones”» (Putti) • «Come giudica il mondo della musica nell’èra dei talent show? “Le gare musicali ci sono sempre state. […] Mettiamola così: un vincitore è un vincitore, anche quando perde; un perdente è un perdente, anche quando vince”» (Videtti) • «Hai appena compiuto 70 anni [intervista del 2017 – ndr]. Un tempo dicevi che saresti andato in pensione a questa età. “Ho mandato in pensione la pensione”. […] Come si fa a invecchiare con grazia? “Alcuni ricorrono alla chirurgia plastica. Io invece sono diventato consapevole dei miei pensieri. Mi sono detto: ‘Quando vai in autostrada, c’è sempre qualcuno che ti manda affanculo. Lascia che quella persona sprechi le sue energie: dopo cinque minuti l’avrai già dimenticata’. All’improvviso, le conseguenze emotive smettono di perseguitarti. È come superare un’audizione”» (Browne) • «C’è un bambino in me che perde ancora la testa per Jimi Hendrix e Michael Jackson, per Marvin Gaye e Miles Davis, anche se in un certo senso ora sono uno di loro. C’è un bambino in me che è ancora meravigliato da Michael. E sarà sempre così. Sono loro le persone più grandi della vita stessa. […] Mi vedo ancora come il lavapiatti di Tijuana, determinato a ottenere la possibilità di condividere il palco con Jerry Garcia, i Grateful Dead e Michael Bloomfield. Mi vedo ancora così… insomma, quel lavapiatti messicano sta vivendo un lunghissimo sogno».