27 luglio 2024
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Biografia di Luca Barbareschi (Luca Giorgio Barbareschi)
Luca Barbareschi (Luca Giorgio Barbareschi), nato a Montevideo (Uruguay) il 28 luglio 1956 (68 anni). Attore. Regista. Produttore. Conduttore. Direttore artistico. Politico (indipendente; già Alleanza nazionale, Popolo della libertà, Futuro e libertà per l’Italia). Ex deputato (2008-2013). «Tutti combattenti che poi diventano testimonial delle banche. Claudio Bisio e Gialappa’s. E lo stronzo servo del potere sempre io» • Primo dei due figli di Francesco Saverio Barbareschi, ingegnere ex capo partigiano bianco (nome di battaglia Luca), e Maria Antonietta Hirsch, economista, entrambi di famiglia ebraica. «Mio padre […] veniva da una famiglia di pirati sefarditi di Fez, i bucanieri più feroci dell’800, gente che impestò il Mediterraneo fino a quando la marina inglese non arrivò a sterminarli» (a Malcom Pagani). «Riavvolgiamo il film della sua vita. Prima scena. “Montevideo, la spiaggia d’inverno. Mio papà e mia mamma che ancora si amano, io piccolino e il cane lupo Whisky. Dormivamo in un seminterrato, da un antiquario ebreo che ci prestava i mobili, ma li cambiava ogni settimana”. Perché l’Uruguay? “Mio padre era ingegnere civile, lavorava per l’Edison”» (Elvira Serra). «Mamma era amica di Gustavo Rol: mi ci portava sempre, quelle poche volte che l’ho vista. Diceva che facevo muovere il tavolino, che avevo capacità medianiche. Ma io volevo le coccole, non fare il mago Zurlì. Mi rispondeva: “Leggi Incompreso, invece di frignare”» (Giovanna Cavalli). «“Un giorno mi ha detto: ‘Scusa ma io mi sono stufata, me ne vado’. Avevo sei anni, si era innamorata di un altro uomo e si è portata via mia sorella di un anno, dividendoci per sempre”. Cosa ha detto a sua madre, mentre se ne stava andando? “‘E io?’, ma mi ha risposto: ‘Mica possiamo andare tutti in vacanza insieme…’. Era molto simpatica, spiritosa”. Spiritosa? “Mi ha dato un libro, Cent’anni di solitudine, dicendomi di leggerlo. Per tutta la vita mi ha mandato un libro ogni due giorni”» (Cristiana Allievi). «“L’ho rivista dieci anni dopo. Mi hanno cresciuto due zie di 85 anni”. E suo padre dov’era? “In Arabia Saudita per lavoro. Mi metteva su un aereo della Middle East Airlines che entrava a Beirut e da lì proseguiva per Gedda”» (Serra). «Ho vissuto a lungo in Medioriente. Papà […] aveva disegnato la prima grande arteria d’asfalto che attraversava l’Arabia Saudita, gli aeroporti di Riad e Gedda, e poi era stato trasferito a Beirut. Vivevamo al Royal Beach Hotel e papà, che era fichissimo e suonava indifferentemente fisarmonica e tromba, faceva notte con le più belle fighe del pianeta: “Mettiti là e aspettami sul divano”. E io, ligio alle consegne, aspettavo». Istruzione privata all’istituto Leone XIII di Milano. «Sono stato un bambino molestato, da otto a undici anni. I preti gesuiti, a Milano, mi chiudevano in una stanza: uno mi teneva fermo e l’altro mi violentava» (ad Arianna Finos). «Ero timido, mingherlino, basso e avevo molto bisogno di sentirmi amato. […] Essendo un bambino molto solo, per me era fondamentale essere il cocco del professore. Poi a quell’età la sessualità è molto incerta, provi al tempo stesso schifo e curiosità… è l’età dei giochi ambigui con gli amici. Ma un conto è farlo tra coetanei, un altro è se uno di 60 anni, un sacerdote, abusa di te e ti tiene psicologicamente in pugno» (a Ferruccio Pinotti). «Il teatro quando arriva? “Da adolescente. Conoscevo Valentina Fortunato, che era stata salvata da mio padre durante la guerra. Andavo a vederla con la compagnia degli Associati, c’era anche Sergio Fantoni. Avevo 12-13 anni e una rabbia formidabile. Non fosse per il teatro, sarei diventato un delinquente”» (Serra). «“A 14 anni ero un tappo, 1 metro e 45, i compagni di classe erano già alti e con la barba, io con la vocina e senza un pelo. Di colpo mi venne un piede 46, sembravo Scarpantibus. Poi in pochi mesi arrivai a 1 metro e 87, con un nasone che non finiva più. A 16 ero una belva, facevo pugilato, pieno di rabbia, finivo sempre in qualche rissa”. A 18 ebbe una lite furibonda con suo padre. Se ne andò di casa gridandogli: “Spero che tu muoia”. “E lui mi rispose: ‘Anch’io spero che tu muoia’. Non ci siamo parlati per cinque anni. Me ne andai in America e giurai che sarei diventato più ricco di lui. Quando firmai il primo contratto con Berlusconi, da 2 miliardi di lire, lui alzò le spalle: ‘Bene. E poi?’. Aveva ragione. I soldi non sono mai stati un metro di paragone. Era un grande papà”» (Cavalli). «Cosa avrebbe voluto da lei? “Che facessi l’economista, diceva che avevo una mente veloce. Ma ho dato solo tre esami a Losanna”. […] L’America è stata una fuga? “All’epoca l’Italia era molto cupa, Milano aveva i micro-assegni al portatore, volevi suicidarti… Eroina e cocaina te le regalavano fuori dalle scuole, erano la droga di Stato per sedare una generazione. Andai con Oliviero Toscani, la prima volta in America: si immagini un diciottenne che si siede a tavola a Max’s Kansas City e incontra Mick Jagger, David Bowie, Lou Reed… C’era un’energia impensabile, io ero un povero cristo senza una lira ma andavo alle feste, giravo le case di tutti, vedevo aprirsi porte su porte”. Come si manteneva? “Facevo il cameriere e vivevo al ristorante Il Cortile: una volta Coppola mi diede 100 dollari di mancia. Finivo la settimana e avevo mille dollari in tasca, avevo il mio loculo sopra un barber shop e toccavo il cielo con un dito. Non dormivo mai”» (Allievi). «I primi passi nel mondo dello spettacolo, li ho mossi nella musica: suono tuttora chitarra e pianoforte. Dopo il liceo ho iniziato come aiuto regista di Virginio Puecher nell’opera lirica Racconti di Hoffmann di Offenbach del Teatro lirico di Chicago. Poi ho lavorato per una stagione intera agli allestimenti del Teatro Metropolitan di New York». «Sono stato una specie di Forrest Gump che si è ritrovato accanto e ha imparato da gente come Lee Strasberg, che a noi allievi dell’Actors Studio ripeteva: “Io non vi insegno nulla. Sgrezzerò il diamante che c’è, se c’è, in voi. Vi darò gli strumenti per tirare fuori da voi il meglio”. Oppure Nicholas Ray: mi ha insegnato che quando non hai creatività non te la puoi inventare. Roman Polański, che mi ha fatto innamorare dell’artigianato con cui si costruisce il nostro mestiere. Steven Spielberg, che mi ha fatto crescere professionalmente, educandomi a unire la creatività artistica allo spirito imprenditoriale» (a Emilia Costantini). «Fermi un’immagine del periodo americano. “Max’s Kansas City. Siamo io, Oliviero Toscani, Mick Jagger, David Bowie, Lou Reed e Andy Warhol. Ero il protagonista di Almost Famous”. […] Ha fatto troppe cose, la costringo a scegliere. Una regia teatrale? “Uomini e topi di Steinbeck, avevo 23 anni, al Carcano di Milano. Dovetti discutere con Erich Linder, il più duro agente letterario d’Europa, per convincerlo del mio adattamento”. Una cinematografica? “Ardena, primo film da regista e attore. C’è dentro tutta la storia della mia famiglia. Misero i picchetti davanti al Barberini per non fare entrare la gente. Ci ho sofferto”. Una produzione? “Adriano Olivetti, ma anche Io sono Mia. E poi J’accuse di Polański, e non perché abbiamo vinto il César e il Leone d’argento, ma è forse il più bel film sull’antisemitismo”. Della tv cosa tiene? “C’eravamo tanto amati: mi sono proprio divertito. Ancora unico caso nella storia di format italiano venduto in America, prodotto da un italiano che lo ha pure condotto. Ero una star”» (Serra). In tempi più recenti, tra il 2014 e il 2018 acquistò per circa 8 milioni di euro il Teatro Eliseo di Roma prossimo al fallimento, curandone poi ristrutturazione e rilancio anche grazie a contributi pubblici (a suo dire sempre insufficienti), per poi chiuderlo nel 2020, nella prima fase della pandemia, e metterlo quindi in vendita per 24 milioni di euro. «Non voglio più tenerlo. In teatro, ci rimango come direttore artistico se qualcuno mi vuole e mi dà uno stipendio, ma di conti non mi occuperò più» (a Gianluca De Rosa). Molto attivo nelle vesti tanto di produttore (con la sua Casanova Multimedia), cinematografico – spesso di registi ostracizzati a causa di vicende personali, quali Fausto Brizzi (Modalità aereo, Se mi vuoi bene, La mia banda suona il pop, Bla bla baby) e Roman Polański (L’ufficiale e la spia, The Palace) – e televisivo (recentemente, della miniserie Rai La lunga notte. La caduta del Duce), quanto di attore, teatrale (Il discorso del re, Cyrano de Bergerac, Il penitente), cinematografico (Noi credevamo di Mario Martone, Dolceroma di Fabio Resinaro, L’ufficiale e la spia e The Palace di Roman Polański) e televisivo (Giorni da Leone, Nebbie e delitti, L’Aquila. Grandi speranze), e di regista, teatrale (Il caso di Alessandro e Maria, Il discorso del re, Il penitente) e cinematografico (Il trasformista, Something Good, The Penitent, dei quali è anche protagonista). Da ultimo nelle sale con The Penitent, ispirato all’omonimo dramma di David Mamet. «Cosa la lega allo psicanalista del film, messo alla gogna mediatica perché accusato di omofobia? “In termini diversi anch’io ho passato anni terribili, oltre ad aver perso quasi un milione di euro in avvocati, con l’accusa di corruzione per aver ricevuto soldi per il mio Teatro Eliseo. Salvo, ovviamente, essere poi assolto”. Cancel culture e politically correct attraversano la vicenda. Cosa ne pensa? “Sono una tragedia dell’Occidente cominciata con i libri postmoderni: un seme terribile che dopo aver infettato Stati Uniti e Canada sta tornando in auge, soprattutto in Francia. […] Per fortuna l’Italia è un Paese talmente cazzaro che non può far leva più di tanto”» (Fabrizio Dividi). In questi anni è inoltre tornato alla conduzione televisiva con In barba a tutto (Rai 3), programma di monologhi e interviste, e in ottobre dovrebbe iniziare su Rai 2 la nuova trasmissione Terapia di coppia. «L’energia e la passione la muovono ancora? “Io dentro ho sempre tra i 12 e i 14 anni. […] Studio composizione, ancora ho sogni: dentro vorrei ancora fare la rockstar, essere un grande fotografo, un cuoco. Ed è bello che sia così, altrimenti muori. […] Io faccio ancora degli one man show, suonando per un’ora e 40, senza fiatone. E, per la prima volta, senza copione, senza rete, come faceva Walter Chiari”. […] Prepara un nuovo film? “Già pronto e già montato. Si chiama Svenduti: è la storia dell’Italia svenduta ai francesi”» (Finos) • «Ha sei figli. “Cinque. Lei si riferisce a Michael, che ha 48 anni [nel 2022 – ndr] e fa l’avvocato: ho scoperto la sua esistenza vent’anni fa a un party a New York, me l’ha confessato una ex. Sono pentito di averlo rivelato”. Perché? “I figli sono quelli che cresci, con i quali c’è una tensione emotiva importante. Per come vivevo in quegli anni, potrei averne altri 800”. Beatrice, Eleonora e Angelica, le ha avute dal primo matrimonio con Patrizia Fachini. Maddalena e Francesco Saverio da Elena Monorchio. Si sente un padre diverso, oggi? “Spero migliore”. […] Chiudiamo in bellezza: sua moglie. Quando ha capito che era “lei”? “Durante un viaggio in barca alle Bocche di Bonifacio, mare forza 7, io al timone. ‘Ora vomita e la scarico’, pensavo. E invece lei sparisce per un’ora sottocoperta e torna su con la pasta con la ’nduja al dente. Una macchina da guerra”» (Serra). Per Lucrezia Lante della Rovere abbandonò la prima moglie incinta della terza figlia. «“Ho perso la testa, Lucrezia aveva appena avuto due gemelle, siamo stati insieme 12 anni. Finché non mi ha lasciato, di colpo”. Perché? “La sua soglia del dolore era più bassa della mia, e stare con me era complesso”» (Allievi). «Io ho problemi miei di compulsività. Elena mi ha impedito di farmi del male, con dolcezza ma anche con fermezza: è una donna sana, finalmente ho scelto una persona strutturata, non una come me» (ad Anna Maria Speroni). Ha dichiarato di aver diseredato i figli. «Hanno potuto studiare in scuole interdette al 99,7 per cento degli esseri umani, possiedono più di un passaporto, conoscono le lingue, sono svegli e colti e possono lavorare ovunque. Nella mia logica errante, ai miei figli non lascio denaro, ma le opportunità di farsi strada nel mondo. […] I figli dei ricchi sono irrimediabilmente cretini» • «Con sua madre c’è stata una riconciliazione? “No, ed è il problema più grosso della mia vita. Quando ho capito un po’ meglio le cose, sono diventato suo padre: a 80 anni era ancora un’adolescente”» (Allievi) • «È ebreo praticante? “Abbastanza”. […] Anche sua moglie, Elena Monorchio, è ebrea? “No, lei è calabrese, che è peggio: è molto ortodossa. Ma insieme facciamo Shabbat, Chanukkah, Pesach e la Conta dell’Omer”» (Serra) • «Sono cresciuto nella politica, mio nonno era al Parlamento torinese, mia nonna la lavorato con De Gasperi, mio padre è stato partigiano in Val d’Ossola» (a Maria Pia Fusco). «Il ricordo più bello della sua esperienza in Parlamento? “Le celebrazioni per i 150 anni della Repubblica. Sono entrato con al braccio il Tricolore del mio papà, partigiano bianco”. Ha fatto dei bei record di assenze. “Questo è il solito populismo cretino”. […] Fini, l’ha più sentito? “Una volta. Non ci siamo lasciati in buona [all’epoca deputato, tra 2010 e 2011 Barbareschi militò per alcuni mesi nella formazione finiana antiberlusconiana Futuro e libertà per l’Italia, per poi aderire al gruppo misto – ndr], ma ogni volta che mi hanno chiesto di lui ne ho parlato bene”» (Serra). «Lei si considera di destra? “Sono un vecchio socialista. Un craxiano. Uno che sognava di pagare le tasse e vedersi restituire qualcosa”» (Pagani). «In Italia non puoi dire: “Mussolini”. Ma, alla fine, in che cosa ha sbagliato? Le leggi razziali e l’alleanza con i tedeschi. E, forse, c’aveva pure ragione, ad andare in culo agli inglesi. Ma, appena lo dici, ti becchi del fascista» (a Enrica Brocardo) • «È del periodo parlamentare la fondazione contro la pedofilia. Perché l’ha chiusa? “Era nata all’inizio del mio mandato politico e l’ho chiusa alla fine perché avevo fatto quello che potevo, costruito una casa di accoglienza in Sardegna, istituito la Giornata nazionale della pedofilia, che rimarrà a vita il 5 maggio, data di nascita di mia figlia Eleonora”. Se pensa ai preti che la molestarono da bambino, che sentimento prova? “Di pietà e di tristezza”» (Serra) • «Ascolto di tutto, dalla musica classica al rock passando per il jazz: il mio preferito è Bill Evans. Come letture prediligo romanzi e testi di filosofia delle religioni. Il mio preferito è La guida dei perplessi di Mosè Maimonide» • In passato aggredì fisicamente davanti alle telecamere l’inviato delle Iene Filippo Roma e Roberto D’Agostino. «Ha fama di avere un gran brutto carattere. “Ho un ottimo carattere”. Arrogante? “Lo ero. Ora meno, ma è dura: il mondo è pieno di imbecilli. Ho imparato a stare zitto. Beh, quasi”» (Cavalli) • «La solitudine, la vivo ogni giorno. È inevitabile, sono sempre infelice e disperato» (Cavalli). «“Ho fatto ipnoterapia, sono stato anche in cura per 8 anni da Matte Blanco, un analista cileno. Il problema non è guarire, ma accettare i propri dolori. […] Per i medici nel primo mese di vita ci succedono le cose più importanti. Con l’ipnoterapia parlavano col mio inconscio per eliminare i traumi, ma tutto si ferma a 10 giorni dopo il mio concepimento”. Cos’è successo? “So che mia madre voleva abortire: ha scritto una lettera a mio padre proprio 10 giorni dopo aver scoperto di essere incinta. Il feto ha ventimila neuroni che registrano tutto, e io ho registrato che non ero benvoluto”» (Allievi). Ha confessato di aver «“passato la vita a farsi del male”. In che modo? “Drogandomi, distruggendomi, punendomi ogni volta che ottenevo un risultato”. […] Anche col sesso ci si può fare del male. “Certo, e non è bello sconvolgersi e ritrovarsi il giorno dopo nel letto di qualcuno che non sai neppure chi sia. Inoltre, col tempo, ho capito che la trasgressione arriva a un punto di stallo. Lo puoi fare in due, in tre, con un altro uomo, una trans, ti leghi… Ma più in là di tanto non puoi andare”. […] Come si esce dalla voragine? “Non se ne esce, però si riduce col tempo. […] Lo sa, qual è la mia più grande debolezza? Ogni tanto vado a rileggermi il mio curriculum perché ho la certezza di non aver fatto un cazzo nella vita”» (Brocardo) • «Gabriele Lavia, con cui avrei dovuto recitare nel Tito Andronico, mi scartò dicendo che ero fisicamente sproporzionato per l’arco scenico dell’Eliseo: ci rimasi male, ma gli sono grato perché mi dette l’impulso di mandarlo al diavolo e di lanciarmi nella mia prima regia, e la mia carriera è decollata». Dino Risi gli disse invece di averlo scelto per il suo film Teresa (1987) «perché hai gli occhi da annunciatrice, il naso da caratterista e la bocca da figurante» • «Si considera un intellettuale? “Sono una persona curiosa che ama leggere da sempre. Forse perché continuo a voler capire come mai mia madre mi ha abbandonato a sei anni. Se ho letto tanto lo devo a lei, e forse questa è la sua maniera di amarmi”» (Dividi) • «Sono il miglior attore italiano e nessuno mi chiama». «Il mio problema è che lavoro con tutto il mondo ma la sera sto a cena con i miei figli e non frequento il meraviglioso circo Togni dello spettacolo italiano, e questo non va bene. D’altronde, se non sei pro Gaza e no global in quel mondo non sei cool» • «Si pente di qualcosa? “Non mi pento mai di nulla, sono responsabile delle mie azioni. Certo ho commesso tanti errori. […] Resta il rimorso, però non tornerei mai indietro”» (Cavalli). «Credo nella teoria ebraica della claudicanza. Si cade e ci si rialza. È solo inciampando che si cresce» • «Come invecchia? “Da brontolone spiritoso, un po’ come la mia mamma. […] Una donna coltissima. Aveva letto quasi 25 mila libri, ma non sapeva dire ‘Ti voglio bene’”» (Silvia Fumarola) • «Amici, ne ha? “Per anni ho avuto un’amicizia segreta con Giorgio Napolitano”. […] Ora quanti amici restano? “Tre. Sono già tanti. Daniele, Massimo e Attila. So che verranno al mio funerale”. Come se lo immagina? “Spero che mangino bene e mettano buona musica”» (Cavalli).