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 2024  luglio 31 Mercoledì calendario

Biografia di Paolo Guzzanti

Paolo Guzzanti, nato a Roma il 1° agosto 1940 (84 anni). Giornalista e politico. Nel 2001 e nel 2006 eletto al Senato con Forza Italia (presidente della commissione Mitrokhin nella XIV legislatura, 2001-2006), nel 2008 alla Camera col PdL. Nel 2009 rompe con Berlusconi (accusandolo con lettera aperta di essere diventato una sorta di Kim Il-sung). Dopo una breve esperienza nel Pli, chiude la legislatura con l’adesione a Iniziativa Liberale (Gruppo Misto). Giornalista. Scrive sul Riformista e sul Giornale, di cui è stato vicedirettore. È stato inviato speciale ed editorialista de La Stampa e inviato di Repubblica.
Titoli di testa «Io odio la natura e i tramonti mi fanno schifo. L’universo è una trappola assassina, una cloaca di vomito e sassi. Noi nasciamo non si sa perché. E tutto sarà finito senza che resti memoria di nulla» [a Katia Ipaso, Mess].
Vita «È il 19 luglio 1943, ho tre anni, guardo fuori dalla finestra e chiamo la mamma: “Il cielo è pieno di pesciolini!”». Il bombardamento di San Lorenzo. «Mia mamma mi ghermì con una coperta, chissà come avrà trovato una coperta in piena estate – era oscena, azzurra a quadri rosa da una parte, rosa a quadri azzurri dall’altra –, e mi portò di corsa nel rifugio. Fu quasi un divertimento. Ma più di cento bambini come me morirono». Cos’altro ricorda della guerra? «Ci trasferimmo vicino al ghetto. Forse è un ricordo ricostruito nella mia mente; ma i rumori dei camion e le urla del 16 ottobre a me pare davvero di averli sentiti […]. Poi nel 1948, quando scoppiò la prima guerra arabo-israeliana, il mio vicino di banco Alberto Limentani mi raccontava che la sera andava in Israele a mitragliare con il suo caccia; e io ingenuo lo guardavo come si guarda un eroe» [ad Aldo Cazzullo, Cds] • Nipote di Elio Guzzanti, medico e famoso politico italiano, ex ministro della Sanità nel Governo Dini (anni 1995-1996) • «Mi dicevano “Roscio malpelo schizza veleno”. Mio padre mi insegnò a non farmi notare. Mettere il cappello in testa in modo che non si vedessero i capelli. È anche divertente» [a Bruno Giurato, Giornale] • Suo padre gli assicurava che non stingono e oggi lui conferma: i capelli rossi lasciano una traccia perenne che, fissando i ricordi, rallenta lo smaltimento del tempo. «Anche i padri lasciano tracce indelebili e io ho avuto la fortuna di sistemare i conti con il mio prima che se ne andasse nel suo modo ordinato, da ingegnere che prende atto dei difetti del mondo. Ci promettemmo, lo vidi a disagio nella sua bara, di non disturbarci a vicenda con i sogni se non per assoluta necessità» [Guzzanti, Senza più sognare il padre] • «Ero uno scolaro completamente pazzo, indisciplinato e ingestibile... […] Avevo una maestra, Agnese Marcucci, che ho condiviso con Alberto Ronchey. Era una maestra nazista e papalina in una maniera raggiante. Un personaggio carducciano. Era irresistibile ed era impossibile non imitarla. Fin da bambino io ho avuto questa dannazione: quella di saper imitare, per una specie di sesto senso, in nome di un’acutezza innata e crudele…» [Katia Ipaso, Mess] • Per qualcuno lei è pazzo. «Avevo una madre che era matta con tutte le ruote e regolare non sono neanch’io» [a Malcom Pagani, cit.] • «All’Università, ho studiato tre anni di medicina perché volevo fare lo psichiatra. Sarebbe stato un altro modo per mettere a frutto questa particolare “percezione degli altri”» [Ipaso, cit.] • Come è iniziata la sua carriera? «Ero socialista dai 17 anni. Nei primi anni 60 andai a lavorare senza essere pagato, al Punto della settimana. Settimanale fichissimo: ci scrivevano da Kennedy a Pietro Nenni» [a Bruno Giurato, Giornale] • «Poi come tipografo e correttore di bozze all’Avanti!. Poi andai a fare il redattore capo al Giornale di Calabria. D’estate venivano a trovarmi i miei bambini, Sabina e Corrado: facevano le due di notte con me in redazione, quando crollavano dormivano nel sacco a pelo. Lasciavo loro una pila di monete da cento lire, perché di giorno non andavano al mare ma in fumosi sottoscala a giocare a flipper. Mi divennero quasi due campioni» [Cazzullo, cit.] • «Tre anni interessanti e anche devastanti. Poi conobbi Serena Rossetti, la compagna di Scalfari» [Giurato, cit.] • La svolta con Repubblica «Quella è stata la mia università. Avevo conosciuto la moglie di Scalfari, Serena Rossetti, proprio nei giorni in cui lui preparava l’uscita del quotidiano. All’epoca dirigevo Il Giornale di Calabria. Una sera venne a chiamarmi il centralinista, trafelato. “Dutturi, dutturi, c’e lu dutturi Scalfari al telefono”. Viaggiai di notte, in macchina, con pochi vestiti raccolti in fretta. E firmai. È stata una bellissima stagione professionale. Tantissima politica italiana, e poi Cile, Polonia, Beirut, Medio Oriente, ho girato il mondo. D’estate Eugenio mi commissionava dei reportage fantastici» [Scafi, cit.] • 27 febbraio 1980. Lei era socialista, e Scalfari detestava Craxi. «Craxi aveva proposto la lira pesante, da mille lire». Praticamente l’euro. «Eugenio in riunione disse: “Non è una buona idea; è un’ottima idea. Ma è una sua idea. Quindi, noi la avverseremo”». La sua intervista a Franco Evangelisti – A Fra’, che te serve? – anticipò Tangentopoli. «Doveva essere un’intervista riparatrice, dopo un servizio dell’Espresso sugli assegni di Andreotti. Evangelisti mi ricevette con il suo tratto romanesco da vecchio cronista di boxe: “A Guzza’, qui avemo rubato tutti”» [Cazzullo, cit.] • A Fra’ che te serve finì a teatro nel 2015 • «Tornai a casa, c’erano Sabina e Corrado, allora adolescenti. Gli raccontai i dettagli: “adesso la scrivi esattamente così”, dissero». E lei ubbidì. «La portai di contrabbando in tipografia perché nessuno la vedesse. Uscì e scoppiò il casino» [Malcom Pagani, Fatto] • «Evangelisti telefonò a Scalfari inviperito: “Sto Guzzanti è ’n gran fijo de ’na mignotta!”. Intanto il caso era esploso nei tg, alle radio. E Scalfari ne fu felice; perché dava lustro a Repubblica» [Cazzullo, cit.] • «Guzzanti ha dato il meglio nell’intervista pirata a Evangelisti, nei resoconti sull’estate degli italiani, a Vermicino, nei reportages sui minatori rumeni, durante la fuga d’amore di Woody Allen e in tanti altri racconti, anche di cose noiose, che pochi altri giornalisti riuscivano, come lui, a coprire d’interesse» (Filippo Ceccarelli) • Nel 1989 ha condotto in tv Chi l’ha visto? Il primo anno, con Donatella Raffai: si ritirò spontaneamente perché non ne condivideva l’ideologia • Noto per le sue imitazioni di personaggi politici, soprattutto Sandro Pertini: chiamò Arbore in tv durante una puntata di Quelli della notte e Arbore credette che fosse davvero il presidente: «Mi allenavo nelle serate a casa Minoli. Suo cognato Roberto Bernabei, che ora è l’archiatra pontificio, fingeva di essere il centralinista del Quirinale, che passava al malcapitato il presidente. Il primo fu Gianni Minà» [Cazzullo, cit.] • «Al mio Pertini feci dire cose demenziali: “Domani parto per l’America Latina e ho bisogno di mappe a colori”. Mappe. Minà si mise a farle e, ignaro della beffa, si presentò al Quirinale. Scherzo memorabile» [a Malcom Pagani, Fatto] • «Pertini lo imitavo anche troppo bene. Un giorno, Mauro Bene, vicedirettore di Repubblica, mi accolse terreo in redazione: “Per caso ieri sera hai telefonato qui imitando Pertini?”. “No!”. Fui felice di poter negare. Pertini però, il vero Pertini, in redazione aveva chiamato davvero. Incontrando la furia del caporedattore Franco Magagnini: “E nun rompe i coglioni, Guzzanti, vedi d’andà affanculo”» [Pagani, cit.] • «Per la verità non erano proprio scherzi, io facevo satira politica dal vivo e Pertini è stato per un po’ il mio ventriloquo. E lui, l’ho saputo dalla moglie Carla Voltolina, era pazzo di queste scorribande. Diceva che gli ricordavo Le Canard enchaîné, il foglio satirico di quando era esule a Parigi. Con la voce di Eugenio Scalfari ho licenziato qualche caporedattore centrale. L’umorismo è la vera arma rivoluzionaria degli uomini liberi, ma solo se rischi» [Scafi, cit.] • È vero che Scalfari si sdraiò davanti all’ascensore per impedirle di andare al Corriere? «Mi aveva chiamato Ostellino. Avevo pure già firmato, di nascosto da Eugenio. Ero a Varsavia per il processo Popieluszko, il prete ucciso a bastonate dal regime, quando la notte mi infilarono sotto la porta della stanza un telegramma di Scalfari: “Sono stato a Milano. Stop. Non devo aggiungere altro. Stop”. Tornai subito in redazione. Era giorno di sciopero». E Scalfari? «Finse di non vedermi. Parlava con il vicedirettore vicario, Gianni Rocca, e intanto si tolse la giacca, la piegò a mo’ di cuscino, la sistemò davanti all’ascensore, si distese: “Se poi qualcuno, ad esempio Paolo Guzzanti, volesse andarsene, dovrà passare sul mio cadavere…”. A quel punto mi sciolsi in lacrime. E commisi l’errore di non andare al Corriere» [Cazzullo, cit.] • «Poi nel 1990 Paolo Mieli mi chiamò alla Stampa e quella volta ci salutammo compostamente: del resto da due anni ero stato riposto nell’armadio delle scope. Ero socialista, quindi politicamente scomodo, ingombrante» [Scafi, cit.] • Lei andò via da Repubblica in polemica. «Ero a Bucarest, per raccontare la rivolta degli studenti repressa nel sangue dai minatori di Iliescu, sgherri del regime e di Gorbaciov. Un gruppo di studenti entrò urlando nel nostro albergo per salvarsi la vita. Ne nascosi tre o quattro nella mia stanza: piangevano raccontando dei compagni decapitati. Scrissi tutto». E poi? «Dall’ufficio centrale mi dissero: non è possibile, le agenzie non raccontano questa storia. Risposi che l’avevo sentita con le mie orecchie; le agenzie erano controllate dal regime. Eppure uscì, con la mia firma, un articolo del tutto diverso, che riferiva la versione ufficiale. Non mi restò che andarmene» [Cazzullo, cit.] • Con Scalfari avete fatto pace? «Certo, tanti anni più tardi ci siamo incontrati in una libreria e, saputo che cercavo testi sul 43, esclamò: ah, il 43! Io allora non ero fascista, ma fascistissimo. È molto onesto che uomini come lui, Biagi e Bocca abbiano raccontato sé stessi come fascisti entusiasti» [Scafi, cit.] • Guzzanti, «giornalista straordinario, lasciava a bocca aperta i giovani cronisti, che l’adoravano, infilzando con corrosiva irriverenza e due tocchi di penna leggera ogni Vostraeccellenza che gli capitava a tiro» (Gian Antonio Stella) • Dica, anzi dicaaa, è una citazione. È l’attacco di un tuo articolo sulla Stampa degli anni 90 sulla burocrazia, è «quella parola magica che, con tono strascicato. l’impiegato romano usa da duecento anni per darsi importanza e per evitare di risolvere i problemi». «Dica è un alibi, serve per fingere di affrontare una situazione. Una volta l’ho usato arditamente con il mio editore, che era Gianni Agnelli quando lavoravo alla Stampa. Gli chiesi candidamente: dica avvocato, perché la cultura del suo giornale è una riserva per i comunisti». E lui? «Fu rapido e cinico, molto sincero: vede, mi disse, io devo avere dei sindacati felici per le mie aziende, e la cultura aiuta tantissimo. Era nata un’amicizia, mi invitava nel suo studio e parlavamo per ore di America Latina e di scrittori. Ovviamente sapevi dove scrivevi e ti davi una regolata. Come su tutti i giornali italiani» [Massimiliano Scafi, Giornale] • Confessore di Cossiga, quando Cossiga, da presidente della Repubblica, picconava (e in contrasto per questo con Eugenio Scalfari, allora direttore di Repubblica): «La Stampa mi mandò a Gela all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Cossiga mi vide tra i cronisti in attesa e mi prese sottobraccio; rubai insomma il posto al sindaco di Gela, che per vendetta mi agganciò la grisaglia da dietro, aprendola in due» [Cazzullo, cit.] • «Il giorno dopo Cossiga mi chiamò la mattina presto a casa, tanto che mio figlio ancora bambino si impressionò e mi chiese cosa avessi fatto a Bush (per lui il presidente era infatti quello americano) per meritarmi una sua chiamata» [Francesco Subiaco, generazioneliberale.it] • Andò a fare colazione al Quirinale: «C’erano anche gli habitués: Sandro Curzi, Andrea Barbato, Luigi Pintor. La sinistra comunista ed extraparlamentare andava a prendere cappuccino e cornetto tutte le mattine dal capo dello Stato democristiano» [Cazzullo, cit.] • Su Cossiga, ha scritto nel 1991 Cossiga uomo solo (Mondadori) • Con Craxi invece sempre d’amore e d’accordo. «No, ci volevamo molto bene ma non lasciava tanto margine all’autonomia. Come a Repubblica mi consideravano troppo socialista, i socialisti mi ritenevano troppo di Repubblica. Finché un bel giorno mi chiamò Giampaolo Sodano, il capo di Raidue: “Guzza’, brutte notizie, Bettino ha detto che te devo da chiude’ la trasmissione”. Conducevo Rosso di sera, che faceva cinque milioni di ascolti. Nessuno obiettò sulla censura». E tu? «Niente, era così. Mi risuccesse anni dopo con Bar Condicio, ma per motivi diversi. Ottimo share, però dopo la vittoria di Romano Prodi la Rai sospese il programma che dovevo fare. Ero sempre alla Stampa, che mi mandò a vivere a New York. Infine, divenni vicedirettore del Giornale» [Scafi, cit.] • «Amo ed ho amato New York come si può amare una donna. Quando vado a New York, aspetto il momento in cui sono sicuro che nessuno mi guardi e mi chino per baciare il suolo» [Ipaso, cit.] • Lei però criticò Craxi per Sigonella. «Mentimmo agli americani, sostenendo che sull’Achille Lauro non fosse morto nessuno. Ma io a Port Said avevo visto e fotografato la scia di sangue lasciata sull’Achille Lauro dall’ebreo americano Leon Klinghoffer, vilmente assassinato con un colpo alla nuca e gettato in mare con la sua sedia a rotelle. Sono convinto che quell’inganno sia costato caro a Craxi». Perché? «Perché Mani Pulite fu un’operazione avviata dagli Usa, per liberarsi della vecchia classe dirigente democristiana e socialista, considerata inaffidabile» • «Silvio mi convocò ad Arcore, dopo un mio disastroso programma per Mediaset. Da conduttore fallito, mi preparai al peggio. Invece fu gentile: “Ho trovato il nome del partito, Forza Italia, ti piace?”. Mi vennero i brividi, ma tacqui. Mi portò alla finestra: “Guarda, i liberali sono tutti con noi”. E come fenicotteri, come trampolieri con un calice in mano, li vidi in giardino. Martino, Urbani e tanti altri che oggi, come molto altro, sono morti» [Pagani, cit.] • Nel 2001 è entrato in parlamento con Forza Italia. «Un po’ per inerzia naturale. Un socialista liberale come me non poteva che avvicinarsi a Forza Italia. Un po’ per sbaglio: quando decisero di istituire la commissione Mitrokhin, chi altro avrebbe potuto presiederla se non io, che avevo creato il caso con la mia inchiesta, proprio da voi sul Giornale?» [Scafi, cit.] • «La commissione l’aveva chiesta D’Alema. Si insediò nel 2002. E un mese dopo Berlusconi si innamorò di Putin. Nessuno voleva fare davvero luce sullo spionaggio sovietico in Italia. Scrissi a Putin, due volte, la prima tramite Berlusconi, la seconda attraverso il ministro degli Esteri. Si trattava di ricostruire insieme una pagina nelle relazioni tra i due Paesi, e di chiuderla. Tempo dopo mi arrivò uno sgorbio: c’era scritto che la mia richiesta rappresentava un grave pericolo per la sicurezza dello Stato russo. Il mio principale informatore, Litvinenko, morì avvelenato. Non dico che accadde per causa mia. Ma morì avvelenato» [Cazzullo, cit.] • Su Litvinenko, ha pubblicato nel 2023. Litvinenko. Dal tè al polonio radioattivo alla guerra in Ucraina (Aliberti)• Ai tempi di Mitrokhin, lei si disse in pericolo. «Non ho mai ricevuto minacce di morte, però, intorno a me, ammazzarono sei persone. Al mio capo scorta spararono nella schiena. Ora è in sedia a rotelle. Enzo Fragalà, l’ex parlamentare che aveva condotto l’indagine sull’attentato al Papa, è stato ammazzato a bastonate in testa, con il cranio fracassato. Segnali chiarissimi». Molti giornali scrissero che lei e Mario Scaramella, faccendiere e consulente della commissione Mitrokhin indagato più volte e poi arrestato, producevate dossier che avevano il nascosto scopo di colpire Romano Prodi. «Che Prodi fosse un eroe del Kgb sovietico lo sapevano tutti. Appena fiatava, a Mosca brindavano. Dell’ufficetto partenopeo in cui avrei prodotto documenti falsi, si occuparono in tanti. A partire dal giornale che avevo contribuito a fondare». Che idea si era fatto di Scaramella? «Aveva un carattere difficile, ma fu una povera vittima che pagò per colpe non sue. Mi diceva: “Guarda che Litvinenko sostiene che dall’Ucraina stia arrivando un pulmino con delle armi destinate a un attentato sul suolo italiano”. Io gli rispondevo: “Perché lo dici a me? Se hai queste notizie vai dalla polizia e dalla magistratura”. Mi diede retta e per questo motivo fu arrestato e accusato di calunnia nei confronti di un ex capitano del Kgb ucraino di stanza a Napoli. Una cosa grottesca. Mitrokhin mi ha rovinato la famiglia e il matrimonio. Quattro anni sotto scorta. Mia moglie si ruppe le palle e mi lasciò. Il mio corpo reagì alle menzogne e alle pressioni con una depressione terrificante. Chiusi con la tv e con i giornali. Non li ho mai più riaperti, i giornali. Mai più». Perché? «Quando ti accorgi che nessuno verifica nulla e che in pagina vanno solo le notizie che i magistrati passano agli scoopisti, ti arrendi. Per il vergognoso trattamento ricevuto da Repubblica mandai accidenti tremendi a Giuseppe D’Avanzo, accidenti che mi provocarono profondi sensi di colpa. Mi lamentai con Mauro. Fu evasivo e gelido: “Non mi interesso di queste cose”. Replicai con durezza: “Che cazzo dici?”. Pensare che io ed Ezio eravamo come fratelli» [Pagani, cit.] • Nel 2009 lei ruppe con Berlusconi per difendere sua figlia Sabina. «Guardi che per questa affermazione ebbi una lite furiosa in tv con Sgarbi, che pure è un amico. Io ruppi con Berlusconi quando Putin invase la Georgia nel 2008. Il Cavaliere convocò i gruppi parlamentari e disse: “Vladimir mi ha detto che inchioderà per le palle a un albero il presidente georgiano, Saakashvili”. Mi alzai, me ne andai, lasciai il partito. Saakashvili prese un aereo e venne a Roma per ringraziarmi: ero stato l’unico parlamentare europeo a denunciare la prima invasione di un Paese europeo ai danni di un altro dal 1939. Tutti zitti, a destra come a sinistra. «Intanto Saakashvili sta morendo di fame in carcere. Io sono stato trattato come un cane, reietto, scacciato, disprezzato. E ne vado fiero» [Cazzullo, cit.] • Mignottocrazia (Aliberti, 2010): «Lo scrissi solo per dare un avvertimento a Berlusconi. C’era questo girovagare di sgallettate, anche a sinistra beninteso. Scrissi un libro-sberleffo. Non fu un atto di vendetta, fu un messaggio: occhio o ti incastreranno» [Giurato, cit.] • Prima di Mignottocrazia, ha scritto nel 2009 Guzzanti vs Berlusconi (Aliberti): «Io ho rotto con lui e lui ha rotto con me in una maniera drammatica, drastica e irrimediabile. Lui mi telefonò a giugno e mi chiese: Posso sapere che cosa ti ho fatto? Perché mi odi tanto? Io gli risposi che la simpatia umana non era cambiata ma che ero convinto che lui fosse diventato un pericolo per la democrazia… Mi offrì di andarlo a trovare ed io rifiutai» [Ipaso, cit.] • Guzzanti, lei ha lasciato il Pdl per entrare nel Pl. Ma cosa fa il Partito Liberale? Quanti siete? «In effetti siamo un po’ pochini». Esiste una sede del Partito Liberale? «Ma no, figuriamoci. Ci riuniamo clandestinamente nei caffè, o nei ristoranti. Siamo poverissimi» [Ipaso, cit.] • Ha scritto anche la biografia di De Benedetti. «All’inizio, non voleva darmi l’intervista sostenendo di essere troppo giovane per dettare le sue memorie. Dopo aver letto il libro su Berlusconi, che ha trovato “onesto”, ha cambiato idea. Ancora una volta la storia d’Italia raccontata attraverso l’infanzia, l’educazione sentimentale, la storia familiare» [Ipaso, cit.] • «Dopo il libro mi chiese se volevo rientrare a Repubblica. Ma dopo un po’ mi disse che c’erano dei problemi. Gli dissi: perché sono berlusconiano? Mi rispose “quello si supera, il fatto è che hai fatto la commissione Mitrokhin”. Mi indignai. Repubblica aveva scritto una serie incredibile di falsità su di me. Dicevano che mi fabbricavo i documenti in un ufficetto a Napoli» [Giurato, cit.] • «Da quattro anni ho spento la televisione per sempre. Trovo inaccettabile tutto quello che accade in tv. Mi vergogno, ma io non guardo cinema italiano. Mi fa impressione. In genere, quando vedo un film italiano, vengo infastidito da tutto quel meta-linguaggio finto» [Ipaso nel 2010] • Nel 2012 l’autobiografia, Senza più sognare il padre (Aliberti) • Torna di nuovo in Forza Italia nel 2014. Alle Elezioni europee del 2014, candidato per Forza Italia nella Circoscrizione Centro, non viene tuttavia eletto, raccogliendo soltanto 6.792 preferenze • Gli italiani del 2015 le piacciono? «Degli italiani ho una pessima opinione». Cose che detesta? «Il fazismo […]. Il capitano di questa via italiana all’ovvietà è Massimo Gramellini. Mai un esperimento, un lampo di coraggio, un gesto dirompente. Lo conosco fin dai tempi de La Stampa. Era diverso. A forza di saziarlo di gratificazioni per aver espresso in serie opinioni mediocri lo hanno trasformato» [Pagani, cit.] • Da Pertini a Conte, da Craxi a Berlusconi. Li hai conosciuti tutti, molti li hai intervistati. «Tutti tranne uno, Enrico Berlinguer. Avevamo un buon rapporto, ci stavamo simpatici e ci incontravamo spesso sull’aereo per Bruxelles. Però lui evitava i temi politici, parlava di altro. Di storia, di letteratura. Una volta di calzini». Di pedalini? «Sì, abbiamo discusso a lungo se andavano abbinati al colore dei pantaloni o delle scarpe, se era meglio accordare le tinte o cercare il contrasto. Era davvero un tipo elegante. Mi incuriosiva, apprezzavo il suo tentativo di sganciarsi definitivamente dall’Urss, ma il caso Moro ha ammazzato tutto. È rimasto il rimpianto di non averlo mai intervistato» [Scafi, cit.] • Altri leader più o meno eterni. In Israele ha vinto il suo amato Netanyahu. «E sono contento. Io sono islamofobico, voglio essere ammanettato per islamofobia. Per il reato di islamofobia reclamo il diritto di andare in galera». Le daranno del reazionario. «Non mi preoccupo. Vale la vecchia legge inglese: chi non è di sinistra a vent’anni è senza cuore, chi non è di destra dopo i 40 è senza cervello» [Pagani nel 2015] • Nel 2022 pubblica La Maldestra. Su Berlusconi, nel 2023 ha scritto ancora Silvio, la vera vita di Berlusconi: «Inizio a scrivere alle nove e trentacinque di lunedì 12 giugno 2023, appena saputo della morte di Silvio Berlusconi […]. L’avevo visto per l’ultima volta il 3 marzo 2023, nella sua villa di Arcore dove ero stato altre tre volte in trent’anni» [a Pino Nano, giornalistitalia.it] • Ultimi libri: Putin con Francesca Mereu Vasilyev (Aliberti), Dieta mediterranea, addio! Il primo romanzo dimagrante dell’editoria italiana (Aliberti, 2024), La grande truffa. Potere e magistratura: perché siamo un Paese senza verità (Piemme, 2024) • «Ha fatto il giornalista, sempre con arte, spesso con sprezzo della realtà modesta offerta dalla cronaca» (Pietrangelo Buttafuoco).
Amori «Ho avuto due mogli, e da ognuna ho avuto tre figli» • Sabina (1963), Corrado (1965) e Caterina (1976), sono nati dal matrimonio con Germana Antonucci: Come va in famiglia? Ti sei riavvicinato a Corrado e Sabina?«E che palle! Sono quarant’anni che la menano con questa leggenda della rottura, i rapporti sono solo nostri, intimi, personali e non pubblici. L’unico problema che abbiamo è che per venire da me in centro ci vuole il permesso Ztl» [Giurato, cit.] • «Con Corrado ci scriviamo sms in inglese. Sabina si è molto tranquillizzata perché sono uscito dall’ottica berlusconiana che, comprensibilmente, le dava disagio. Caterina sta emergendo grandiosamente e siccome è la più piccola ne sono strafelice» [Ipaso nel 2010] • «Io e papà ci assomigliamo solo nei polpacci» [Caterina Guzzanti a Katia Ipaso, cit.] • Liv Liberty (2001), Lars Lincoln (2003) e Liam Lexinghton (2006) sono i figli americani avuti dalla seconda moglie Jill Falcigno: «Il primo dei nomi di ciascuno è svedese-irlandese in omaggio alla nonna, il secondo nome è americano, e il cognome naturalmente italiano» [Ipaso, cit.] • «Ci siamo conosciuti a New York tredici anni fa – io allora lavoravo per La Stampa – e ci siamo sposati nel 1999 a Long Island. Andiamo spesso in America, e soprattutto in Florida. Ma il mio grande amore americano resta New York» [ibid.] • I due hanno divorziato [vedi sopra Mitrokhin] • «Certo, è stata una vita privata complicatissima, e in crescendo. Ma l’amore ti sorprende sempre. Cerchi di sentirti ridicolo a innamorarti. A 84 anni, poi. Ma non ci riesci» [Cazzullo, cit.] • Lei è innamorato? «Sì. Non le posso dire di chi. Ma non fa parte del jet-set politico e giornalistico» [ibid.].
Titoli di coda «Io sono un ventaglio di identità. Cerco di rifare il verso a tutti».