Corriere della Sera, 21 agosto 2024
Jannick Sinner è risultato positivo al doping
Quando un magistrato o un procuratore sportivo riceve da un laboratorio antidoping un referto di positività al Clostebol, steroide anabolizzante proibitissimo, lo associa istintivamente a due profili di atleta: un ragazzino curato per una piaga o un’ustione sulla pelle da genitori apprensivi e poco informati o un ciclista dilettante che risolve con il fai-da-te un doloroso foruncolo al sottosella.Impossibile pensare che una pomata o uno spray che riportano chiaramente la scritta «doping» sulla confezione e nel bugiardino e sono stati protagonisti di decine di dolorose squalifiche negli ultimi vent’anni vengano usate da un professionista di altissimo livello. Eppure è successo al n. 1 del tennis mondiale, Jannik Sinner il 10 e il 18 marzo scorsi, durante il Master 1000 di Indian Wells (controllo in competizione) e prima dell’Open di Miami, in un test a sorpresa.La vicenda è stata resa nota ieri dall’Itia (l’agenzia indipendente che si occupa del doping nel tennis) e dall’Atp assieme alla pubblicazione della sentenza: dopo un articolato processo avvenuto nel totale riserbo, Sinner è stato prosciolto dall’accusa di doping volontario (rischiava fino a 4 anni) ma anche da quella di «incauto uso» (l’unica realistica con una sostanza simile), che gli sarebbe costata 12/18 mesi, pagando la positività solo con la perdita dei 400 punti guadagnati al Master 1000 e del premio in denaro: lo steroide è penetrato in modo involontario nel suo organismo e lui ha usato ogni attenzione per evitare la cosa.Sinner ha convinto i giudici della totale involontarietà del suo comportamento ma la vicenda merita di essere approfondita. Tutto nasce dall’acquisto di una confezione di Trofodermin (il solo farmaco venduto in Italia che contiene Clostebol) nel febbraio di quest’anno da parte di Umberto Ferrara, il preparatore atletico di Sinner, che il mese dopo portò lo spray a Indian Wells quando partì con il giocatore per lo swing americano di primavera: a cosa servisse un preparato a base di steroidi e antibiotici per curare dermatiti, infezioni della pelle, piaghe da decubito e varici non è specificato o richiesto dai giudici che rimarcano solo come l’Italia sia uno dei pochi Paesi dove il farmaco si vende senza ricetta.Sta di fatto che alla vigilia di Indian Wells (dove lo staff del campione viveva assieme in una villa), il fisioterapista di Sinner, Giacomo Naldi, si ferisce a una mano con lo scalpello che utilizza per togliere i calli dai delicati piedi dell’atleta e che Ferrara gli offre lo spray per curare la ferita. A questo punto le versioni dei due divergono: Ferrara (che è laureato in tecniche farmaceutiche) spiega di aver messo in guardia Naldi sulla natura dopante della pomata, avvertendolo di lavarsi bene le mani prima di massaggiare Jannik, Naldi non ricorda l’avviso e nemmeno di essersi lavato o meno le mani. Sinner, dal canto suo, ha messo a verbale di aver notato la ferita sulle mani del fisioterapista ma di non aver mai avuto informazioni sulle sostanze assunte e sui rischi. Sta di fatto che (così hanno spiegato tre esperti indipendenti) le quantità di Clostebol trovate nelle urine di Sinner (100 pg/mL) sono compatibili con una «cross contamination», una contaminazione secondaria con il suo massaggiatore in un trattamento quotidiano a mani nude che durava dai 60 ai 90 minuti: il clostebol penetra con enorme facilità in circolo e ne basta una quantità minima per dare positività.Ingaggiando come collegio di difesa gli avvocati della Onside Law di Londra, Sinner ottiene subito due risultati: secretare il procedimento e annullare le due sospensioni dall’attività (dal 4 al 5 aprile e dal 17 al 20 aprile) che gli erano state inflitte e sono state rimosse sulla base della fondatezza delle sue motivazioni.Il cuore della sentenza (che sarà motivo di ampie discussioni) è stato capire se Sinner ha usato l’«assoluta attenzione» richiesta all’atleta nel garantirsi sui comportamenti di «amici, parenti, allenatori, medici e altri membri dello staff» in materia di doping, quella che non è servita (punto 17 del verbale) ad evitare la squalifica di Sara Errani per il caso della contaminazione dei tortellini della madre.Errani, spiegano gli arbitri di Itia, «aveva già assistito ad almeno un caso in cui una pillola dei farmaci assunti dalla madre era uscita dalla confezione» e quindi in qualche modo doveva valutare il rischio mentre Sinner «non era a conoscenza del fatto che il suo fisioterapista aveva accesso al Clostebol, che se l’era somministrato e che esisteva il rischio di contaminazione incrociata» e in più in passato aveva sempre mostrato massima attenzione ai rischi del doping. Il caso Sinner viene, infine, equiparato a quello del collega francese Richard Gasquet, assolto 15 anni fa dopo una positività alla cocaina derivata da un bacio con una donna che l’aveva appena sniffata: in entrambi i casi, impossibile sapere a cosa si andava incontro.